Archivi tag: mattarella

LA VIOLENZA TRAVOLGE LA POLITICA


LA VIOLENZA TRAVOLGE LA POLITICA

A Meloni basterebbe finirla con le balle e lavorare per il popolo!

Altrimenti è istigare il popolo! È andarsele a cercare!

Poi arriva “la violenza che travolge la politica” e serve Mattarella per calmare gli animi.  

C’è sempre un limite da rispettare. Sia da una parte che dall’ altra.

E in democrazia si chiama rispetto, sia istituzionale che popolare.

Altrimenti si arriva alla rivoluzione o al fascismo! 

Che è quello che cerchi di attuare! Vero Giorgia?

Il Presidente Mattarella, come sempre, richiama la politica al decoro e al rispetto.

Ha ragione.

Soprattutto per il fatto che sarebbe il caso di non perdere tempo in accuse e controaccuse.

Bisognerebbe occuparsi di cose molto più concrete che possano migliorare le condizioni di vita in Italia e affrontare nel modo migliore le crisi internazionali.

Se Meloni è stata offesa nel suo ruolo di Presidente del Consiglio, ha la mia solidarietà.

Per il resto non condivido nulla della sua politica.

Come sempre il Presidente Mattarella dice cose sacrosante, che non si possono non condividere.

La grande amarezza consiste nel fatto che ormai sono quasi un’utopia, in questo mondo sempre più in decadenza.

Nessuna violenza è giustificata o tollerata.

Quindi è giusto chiedere scusa quando si sbaglia o quando si esagera con atti vandalici.

Però Mattarella ha la funzione di sorveglianza e di coordinamento.

Di fronte a episodi di violenza o di tumulti di piazze, un Presidente della Repubblica ha anche il compito di chiedersi il perché certi fenomeni violenti accadono, ha il compito di rimuovere possibilmente le cause confrontandosi con tutte le forze politiche che ci governano.

Insomma un Mattarella meno nascosto e più visibile e attento alle lamentele dei cittadini.

 

 

MATTARELLA, MATTARELLA, MATTARELLA


MATTARELLA, MATTARELLA, MATTARELLA

Ha vinto la logica politica.

Alla fine ha vinto lui, Guglielmo da Occam, monaco francescano coevo di Guglielmo da Baskerville (chissà Umberto Eco chi aveva in mente …), che teorizzò, con il suo rasoio, “un principio metodologico che, tra più ipotesi per la risoluzione di un problema, indica di scegliere, a parità di risultati, quella più semplice”.
Così è stato.

Tra sostituire Mattarella o sostituire Draghi la cosa più semplice era lasciare tutto come prima e non sostituire nessuno. Qualcuno ha finalmente impugnato il “rasoio” ed l’ha adoperato. Evviva.
Ha perso la politica o ha vinto la logica?
La risposta è che ha vinto la logica politica.
Ovvero quel senso dello Stato, quella percezione del reale, quel principio di fattibilità, che sempre dovrebbero ispirare l’azione dei politici.

Si dirà che abbiamo assistito ad uno spettacolo inverecondo, che la politica ha dimostrato la sua incapacità di risolvere i problemi, si approfitterà dell’occasione per montare ancora di più quel sentimento populista antipolitico che informa larga parte dei nostri media principali e che ha già sparato le sue sentenze.
Facili bersagli per il qualunquismo.

In realtà, le sentenze sono ben altre, prima tra tutte la completa e totale inadeguatezza del personale politico del centrodestra e dell’area populista: non facciamo nomi, ma i cognomi sì: Salvini e Conte.
Due autentiche sciagure nazionali. Due perniciosi incompetenti presuntuosi, a cui nessuno osa dire quello che effettivamente valgono: zero. Non un atomo di più.
Purtroppo “l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto” spinge a dare credito a figure impresentabili, che fanno del male alla loro parte (e chissenefrega!), ma soprattutto fanno del male al Paese.
Ora rifiatiamo e prepariamoci ad un anno che non sarà uno scherzo.
Non faccio fatica a pensare che sia Draghi che Mattarella avranno chiesto (e ottenuto, per quel che valgono, visti certi soggetti) le più ampie garanzie di stabilità e agibilità politica.

Il centrodestra è a pezzi e dovrà trovare in fretta il modo per rimettersi all’onor del mondo, soprattutto decidendo una buona volta se vuole seguire l’estremismo di Meloni o provare a proporsi come forza moderata di Governo.
Faranno congressi? Si sfideranno a duello? Faranno finta di niente fischiettando allegramente? Oggi hanno toccato il fondo. Ma, come si sa, si può sempre scavare.
I cinquestelle e Conte hanno ormai dimostrato, anche ai più ottusi ed increduli, quanto poco ci sia nelle loro zucche. I più furbi di loro cercheranno altre strade: lo stanno già facendo. Degli altri non rimpiangeremo nulla, inghiottiti dal vortice della loro incompetenza.

Infine, ancora una volta si presenta una prateria davanti ai riformisti di centrosinistra, cui potranno aggiungersi anche riformisti di altra provenienza.
Capiremo, capiranno?
Vorranno insistere nella “lungimirante” strategia dalemiana di derenzizzazione dell’area? O continuare ad inseguire “il punto di riferimento fortissimo del progressismo europeo” (qualcuno chiederà mai scusa per l’abbaglio preso solo un anno fa e pervicacemente portato avanti sinora? non credo)? A Bettini e soci fischiano le orecchie?
O si potrà finalmente mettere insieme un programma di governo tagliato apposta sulla capacità, sul carisma, sulla autorevolezza di Mario Draghi e pregarlo di occuparsi di noi per un quinquennio almeno?
Mattarella, suo sponsor, è stato riconfermato. Anche lui deve esserlo.

Il programma c’è già e si chiama PNRR; c’è da aggiungere una legge elettorale proporzionale con sbarramento alto e qualche riforma costituzionale indispensabile (Titolo V, bicameralismo, sfiducia costruttiva; forse, ma ci vuole più tempo, un modello istituzionale semi-presidenzialista, se davvero siamo stufi della manfrina a cui abbiamo assistito nell’ultima settimana).

Attenzione, perché tutto può invece rimanere esattamente come prima, comprese le difese corporative, le resistenze al cambiamento, gli orticelli e le parrocchiette, dai magistrati ai concessionari delle spiagge, dai tassisti agli insegnanti o ai medici di base.
Passata la festa … Tutto il fervore odierno si può spegnere in un attimo, se nessuno ha la capacità e l’acume di tenere acceso il lumicino delle riforme. Ora serve continuità e tanto coraggio.

Intanto ci siamo: sono le otto meno dieci e Fico comincia a contare. Mattarella, Mattarella, Mattarella, qualche Nordio (malgrado lui, che è un signore …) e Di Matteo, giudici per tutta la destra giustizialista e manettara; ma sono pochi. Travaglio forse sta piangendo.
Sono le otto e venti: manca solo qualche scheda al quorum di 505 voti. Sono nervoso, anche se ormai è tutto già scritto. Mi sudano le mani. Meno tre, due, uno, … è fatta.
Non si accende nessun motore, non parte nessun razzo, nessuna missione interplanetaria, ma forse parte una fase nuova della politica italiana.
Illuso, mi dico. Il Gattopardo è sempre in agguato. Altro che giaguaro di Bersani.
Applauso dei quattro gatti presenti in un’aula semivuota causa Covid, applauso lungo, ma sparuto. Anche da destra qualcuno batte le mani, dopo essersele mangiate. Gli altri elettori, saranno da qualche parte, lì fuori, da Giolitti o da Clemente, forse a riavvolgere il nastro e capire cosa è successo e come possono andare avanti con il nuovo scenario, che è quello vecchio. Travaglio piange ancora …
Si riprende a contare: in un attimo sono le otto e cinquanta. Scrutinio finito: 759 voti.

Il Parlamento ha parlato; e in una democrazia è giusto così. Altri applausi sparuti, veri o falsi, che importa?
Mattarella resta dov’è. E Draghi pure, anche se per lui le prove sono appena cominciate e già qualcuno starà apparecchiando le trappole per rendergli il cammino più difficile.
Questa è la storia d’Italia.
C’è chi costruisce e chi demolisce. Eros e Thanatos.

Va be’, non esageriamo, ma davvero, da lunedì comincia un’altra storia.
C’è chi ha vinto, ma c’è soprattutto chi ha perso, e ha perso di brutto.
Farà finta di niente, ci proverà. Non bisognerebbe permetterglielo. Bisognerebbe fargli pagare il conto. Bisognerebbe urlare a tutti che la logica offre sempre la soluzione. Spesso non piace, oppure fa male. Ma la soluzione, seppure dopo qualche giro a vuoto, arriva e bisogna saperla cogliere.

È un gioco da professionisti, mica da improvvisati incantatori di serpenti. E non bisogna sbagliare.
Cari riformisti, veri o presunti tali, la strada è spianata, almeno per un po’. Non abbiate paura.
Se non ora, quando?

(Ernesto Trotta)

DUE PERSONAGGI


DUE PERSONAGGI

Il primo è il Capo dello Stato.

Lo sospettavano di eccessiva timidezza: ma era solo rispetto delle regole e delle procedure.

Quando è stato il momento, ha mostrato che la democrazia non ha bisogno di urlare per essere forte.

Il secondo è Matteo Renzi.

Con pochi seggi e molti nemici, ha preso un’iniziativa che poteva condurlo all’irrilevanza.

Ha rischiato fino all’ultimo, forse ha giocato d’azzardo, ma se ora siamo qui a parlare di Draghi è per quello che fatto lui.

Grazie ad entrambi con riconoscenza.

IL MERITO DI MATTEO RENZI


IL MERITO DI MATTEO RENZI

No, non rimpiangerò Giuseppe Conte.

Se uscisse di scena, sarebbe una buona notizia. Almeno a me pare una buona notizia.

Dopo di lui non c’è il diluvio, come il reality show di Palazzo Chigi ben diretto da Rocco Casalino, vorrebbe far credere.

Il Paese con un nuovo Governo e un nuovo premier e ministri un minimo più autorevoli e preparati potrebbe guadagnarci e molto.

In ballo c’è il futuro nostro e la capacità di spesa di ben 209 miliardi che i più giovani e chi nascerà ci stanno prestando.

Sarebbe da matti lasciare una partita tanto importante a un gruppo di ministri davvero scarsi.

Nessun presidente del Consiglio ha mai avuto il potere che ha avuto Giuseppe Conte, dal 23 febbraio ad oggi.

Conte ha Governato al ritmo di 2 decreti del Presidente del Consiglio al mese, arrivando alla cifra monstre di 22 Dpcm.

L’uso dei Decreti del presidente del consiglio dei ministri, invece del Decreto legge, hanno di fatto aggirato il Parlamento ed escluso il controllo da parte del Capo dello Stato.

Da quasi un anno gli italiani sono appesi a dirette Facebook, a orari improbabili, per capire, una volta ogni 12 giorni, come sarà la propria vita senza poter programmare nulla, né per la propria vita privata, per le attività economiche, per la mobilità, per l’educazione dei figli, puniti da marzo in poi nella loro vita sociale e scolastica.

Una condizione, quella dell’essere appesi, che non si verifica in nessun altro Paese dove le decisioni più a breve sono almeno mensili.

In pratica, dall’inizio dell’autunno l’Italia è stata governata alla giornata.

Inoltre, Giuseppe Conte, è un assoluto campione mondiale di trasformismo.

È passato dalla guida del Governo più di destra dal dopoguerra, alla guida di un Governo di sinistra (si fa per dire), senza un plissé, senza neppure uscire dal suo ufficio a Palazzo Chigi e ora vorrebbe fare un altro giro con Mastella.

Ha gioito in favore di telecamere per gli sciagurati decreti sicurezza made in Salvini e sorriso con la Lamorgese per averli cambiati.

Insomma, è come se non avesse un’idea propria, una visione, un ideale, ma concepisse la sua permanenza sullo scranno di Presidente del Consiglio, come burocratico punto di equilibrio tra spinte contrapposte.

Una politica, quella di Conte definita anche “politica del galleggiamento”.

E, forse, il tutto si spiga così: Rocco Casalino, vera eminenza grigia a Palazzo Chigi, con sapienza, gli ha costruito attorno una casa dove le percezioni non impattano quasi mai con la realtà.

Ha continuato a dire cose scontate, stando bene attento a non dire mai nulla che potesse tradire una posizione precisa, e ha governato con il metodo del “Salvo intese”, chiosa ad ogni decisione e provvedimento importante.

La formula “Salvo intese” con norme aperte per giorni e passibili di cambiamenti, ha lasciato campo aperto a mille manine e lobby, come sull’azzardo (istituito persino come metodo con la lotteria scontrini e il cashback) e il tabacco elettronico per fare solo due esempi.

E, da ultimo, Conte ha messo in piedi l’illusione di poter ancora continuare col trasformismo, chiamando a raccolta i cosiddetti costruttori o “responsabili”, attratti da incarichi e poltrone.

La manovra non ha avuto successo perché si è compreso, forse, che la somma delle insoddisfazioni non fa una politica.

Mi preme sottolineare, invece, che Matteo Renzi, unica mente lucida e politica, in questo senso, ha avuto il merito o la funzione di fare da detonatore dentro una polveriera pronta a esplodere.

UN ANNO ORRIBILE


UN ANNO ORRIBILE

 Come tutti volevo passare queste feste il più serenamente possibile.

La famiglia unita, i bambini, i giochi, le chiacchiere, e la meravigliosa tavola, che, per antica usanza di mia nonna, si imbandisce la vigilia di Natale e si sparecchia solo con l’arrivo della Befana. C’è sempre la bella tovaglia e qualcosa di buono sopra.

Arrivano gli ospiti per il “Buon Anno” e ci si augura ogni felicità. È un po’ un tempo magico, per chi ha famiglia, sta bene, e non ha grossi problemi.

Come detto volevo passare questo tempo serenamente, ma ci vuole sempre il pungiglione di uno scorpione per rovinare l’atmosfera.

La TV è sempre accesa o quasi ed ecco che appare “Conte” che, con la sua voce adenoidale e cantilenante, pronuncia un “discorso” di un’ora e un quarto, facendo credere alla gente che sia cosa straordinaria far dimenticare la democrazia, compromessa, per la prima volta, con l’approvazione di una manovra economico-finanziaria da parte del parlamento, a scatola chiusa. Il tutto fra scroscianti applausi (60 si dice).

C’è chi ha cercato di opporsi, com’è logico che sia in una vera democrazia, ma i nostri illuminati governanti grillini e legaioli bollano l’opposizione come un atto di terrorismo mediatico. È la dittatura del popolo, non è democrazia, ma in verità neppure del popolo che, appunto, subisce,

In sostanza il governo ha esautorato il Parlamento, i rappresentanti del popolo, il Senato e si è arrogato il potere di decidere come gli pare.

Tralasciamo, per insopportabilità e per difendere la nostra salute mentale, la conferenza stampa che ne è seguita. Imbarazzante.

Il Parlamento, così difeso strenuamente dai noisti di due anni fa, è diventato, di fatto, un organo inutile.

Ma se lo avesse fatto quello stronzo di Renzi che cosa si sarebbe detto e fatto? Si sarebbe incendiato tutto?

Il volere dei noisti si è compiuto, ma per quanto mi riguarda l’unica persona che ci rappresenta degnamente è il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Facciamoci coraggio e attacchiamoci al quadrifoglio, non ci resta altro, per ora.

Un grande abbraccio a tutti voi e Buona Fortuna per un 2019 diverso e migliore.

A NAPOLI SI DICE L’ARTE DEI PAZZI E NON È UN’ESPRESSIONE OFFENSIVA


A NAPOLI SI DICE L’ARTE DEI PAZZI E NON È UN’ESPRESSIONE OFFENSIVA

Succede anche questo.

Quando si vede la propria casa bruciare, si tenta tutto il possibile, quando si vedono sfumate le possibilità di avere posti di prestigio, si affronta anche il ridicolo.

Insomma Di Maio ci riprova. Vuole tornare da Mattarella per formare un governo politico, dopo 90 giorni.

È bastato che si presentasse Cottarelli, che subito Di Maio è corso a più miti consigli.

Stranamente io capisco la sua iniziativa e il suo ripensamento, forse ha parlato finalmente con i suoi, non ha deciso tutto da solo (o solo con la società di Casaleggio) e ha capito che era stato tratto in inganno da Salvini.

Finalmente Di Maio si è reso conto, o glielo hanno spiegato, che ci sono circa 400 nomine in posti di prestigio da rinnovare e che Cottarelli, esperto e veloce com’è, potrebbe mettere in pratica. Dopo sarebbe troppo tardi, anche se stravincessero le prossime elezioni (quelle, pare, di fine luglio), le assegnazioni fatte non verrebbero disdette.

E ancora, i deputati e senatori che sono stati nominati dopo il 4 marzo e che adesso guadagnano un sostanzioso stipendio, potrebbero non essere confermati tutti, qualche poltrona potrebbe saltare, se ne stanno rendendo conto soprattutto i neofiti.

Ieri, al senato per esempio, i neosenatori si sono riuniti (lasciando fuori dalla porta Toninelli e Crimi), proprio perché preoccupati di come stando andando le cose e di come loro sono informati solo dai giornali.  Non c’è da meravigliarsi, perdere la possibilità di ricevere un bello stipendio può preoccupare e molto. C’è chi si è messo a piangere. Capisco.

E così, uscito dalla porta principale del Quirinale con il professor Conte che rimette il mandato, il governo giallo-verde potrebbe rientrare dalla porta di servizio.

Un colpo di scena oltre ogni immaginazione.

La crisi post-elettorale più lunga della storia repubblicana potrebbe riservare un finale a sorpresa (provvisorio, ci mancherebbe) degno di un feuilleton di fine Ottocento.

È davvero prematuro per considerarla come soluzione possibile o solamente probabile, ma in una calda notte romana si materializza il ritorno in campo di un esecutivo tra Lega e 5stelle, senza Paolo Savona all’Economia, ma con Matteo Salvini in una posizione di primissimo piano.

Intendiamoci, il voto anticipatissimo a luglio è ancora una prospettiva: la macchina del Viminale si è rimessa in moto.

Ma la furia dei mercati e la lacerante crisi istituzionale di queste ore potrebbero aver spinto tutti i protagonisti della partita a recuperare un terreno comune di dialogo, “anche” in nome di un superiore interesse nazionale.

Da un lato, ci troveremmo di fronte a una campagna elettorale al calor bianco che spaccherebbe l’Italia più di quanto già non lo sia, con il Capo dello Stato trascinato in mezzo alla pericolosa contesa.

Dall’altro, invece, avremmo all’orizzonte la ricomposizione di un conflitto istituzionale e la ricostruzione di un percorso democratico che da una maggioranza parlamentare conduce a un governo politico.

La via è strettissima e impervia, dopo le macerie cadute nelle ultime giornate, ma la politica, a volte, è capace di trovare sentieri in mezzo ai calcinacci e alle nebbie della polvere che si è alzata.

Certo, gli interessi di parte degli stessi leader, giocano un ruolo rilevante anche in questo ennesimo tornante della crisi: Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono trovati a un metro dal governo prima che tutto svanisse.

I 5 stelle, soprattutto, hanno più di un motivo per temere che l’exploit elettorale del 4 marzo non si ripeta.

Il Presidente Sergio Mattarella, a sua volta, ha tutto l’interesse a far partire un governo politico e a evitare che il Paese si avviti in un vortice sospinto dalla bufera dello spread e dalla lacerazione del tessuto connettivo della Nazione.

A Napoli si dice l’arte dei pazzi, e non è un’espressione offensiva.

Anzi, meglio una lucida pazzia che la razionalità di un disastro annunciato.

Si parla e si parla, ma sembra di capire che ci siano tre governi in questo momento: Quello di Gentiloni che non ha ancora consegnato la campanella a nessuno, quello di Cottarelli a bagnomaria, e quello lega-m5s in forse sì o forse no.

Alla fine qualcuno governerà. L’unica cosa che mi sento di elogiare è la grandissima e sconfinata cortesia e pazienza del Presidente della Repubblica, Mattarella.

NESSUNO VUOLE COLLABORARE CON NESSUNO, INTANTO PERÒ…


NESSUNO VUOLE COLLABORARE CON NESSUNO, INTANTO PERÒ…

Se, per quanto riguarda la formazione del governo, nessuno ha voluto collaborare con nessuno, in altri ambiti ci sono stati parecchi accordi che hanno avuto successo.

Movimento 5 Stelle e centrodestra sono riusciti infatti ad accordarsi per dividersi tutti gli incarichi parlamentari.

Hanno votato insieme la presidente del Senato, che è andata al centrodestra, e quello della Camera, che è andato al Movimento 5 Stelle.

Si sono spartiti anche tutti gli incarichi degli uffici di presidenza, l’organo parlamentare che aiuta i presidenti delle camere, lasciando a PD e altre forze soltanto pochissimi posti.

Si sono divisi anche le presidenze delle Commissioni speciali, che svolgeranno una serie di importanti incarichi fino all’insediamento del governo.

Per fare finalmentente un governo, bisognerebbe che il Presidente della Repubblica, che non a caso si chiama Mattarella, uscisse con un “mattarello” in mano, stangasse tutti i litiganti e obligasse i vincitori a fare un governo ammucchiata tra loro. Basta bizze e litigi infantili.

Però l’avvenire non sarebbe rigoglioso per il nostro paese.

Come minimo continuerebbero e litigare, o a dire no per principio, o a non collaborare tra loro per dispetto. Ci riescono benissimo.

Si mettono d’accordo solo quando c’è da dividere o spartire qualche torta golosa.

Che futuro straordinario ci aspetta.

 

 

MASSIMINO ALLA RISCOSSA


MASSIMINO ALLA RISCOSSA

6228531-kMqB-U43220561865593QTE-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Ci sta riprovando. D’Alema ci sta riprovando. Ci riuscì nel 1998. Cacciò via Prodi e Veltroni, e, con l’aiuto di Cossiga, riuscì a formare ben 2 due governi. Durò sostanzialmente due anni, fino a che nel 2000, Berlusconi stravinse.  Chiarissimo.

In quel tempo (parole evangeliche) il duo D’Alema-Berlusconi andava d’amore e d’accordo, nulla di nuovo, Berlusconi a suo tempo ottenne gratis tutte le frequenze televisive che voleva, su regalo di D’Alema e soci e Berlusconi, da indebitato che era diventò straricco, grazie a quella deliziosa classe dirigente. Condivisero le crostate, le bicamerali e poi, Berlusconi, sicuro della vittoria, cacciò tutto all’aria. E D’Alema e compagnia rimasero col cerino in mano. Storia. Storia vecchia, che ormai olezza.

Ora ci riprova. Quel meraviglioso profumo che invita a scalzare chi è al governo e a togliergli la sedia da sotto il sedere, è una tentazione irresistibile per D’Alema. Con la scusa del referendum costituzionale, forma ufficialmente, solennemente e con tutte le cerimonie liturgiche del caso, come il novello Mosè che vuole salvare il suo popolo, un comitato del no, o comunque un palco su cui salire per porsi all’attenzione del mondo politico, e dei vari commentatori al seguito.

Senza mezzi termini dichiara che “se vince il no, Renzi va a casa e la sinistra va al governo”.

Quale sinistra ha in mente D’Alema? Quella che al momento si configura in alcune persone, scontente di Renzi e desiderose di tornare a galla? La sua? Quella delle crostate in casa Letta? O quella divisa in mille rivoli e che, messa tutta insieme raggiunge sì e no il 15%?

Temo che si illuda un po’ troppo. Il partito non è diviso così tanto come crede, la cosiddetta base, vuole solo l’unità, non la discordia e le va benissimo anche Renzi.

Dunque per D’Alema, Renzi se ne andrebbe. Punto.

Ma bisognerebbe fare i conti con l’attuale Presidente della Repubblica, Mattarella, che è lontano anni luce da Cossiga. Il suo essere Presidente è encomiabile, non affiderebbe mai un governo a mani frantumate.

Renzi, comunque, se dovesse vincere il no al referendum, è chiaro che si dimetterebbe la sera stessa e con lui il suo governo, ma Mattarella, con ogni probabilità, lo incaricherà di formare un nuovo governo, lo rimanderà alle Camere per vedere se ottiene la fiducia e tutto continuerà come prima fino al 2018. Per me hanno già parlato di questa eventuale possibilità, in caso di supremazia del no al referendum.

Se Renzi non dovesse ottenere la fiducia, Mattarella scioglierebbe le Camere, e potrebbe indire nuove elezioni.

A questo punto la storia di D’Alema e compagni sarebbe finita. Renzi è ancora segretario del Pd, e sono sicura che sceglierà “chi” mettere in lista per le elezioni politiche, come hanno sempre fatto tutti i precedenti segretari. E Renzi farà il Renzi.

Saremo di nuovo da capo, ma almeno forse un po’ di pulizia si sarebbe fatta.

Comunque vada.

Potrebbero vincere i 5 stelle? Possibile, ma rimarrebbe il Senato e la vedo molto, ma molto in salita, la possibilità di governare, per un movimento siffatto che non vuole allearsi con nessuno, e in quella sede dovrebbe fare i conti con i parlamentari veri, e non con il direttorio, grillo, i vari studi di avvocati. Alleanze tali da poter governare.

Certo c’è sempre la Lega, che potrebbe dare una mano, c’è la parte rimanente di FI, la sinistra scontenta e vari delusi.  Sufficienti? Non si sa.

D’Alema vive nel passato, dice di essere un riformista, ma non vuole cambiare la costituzione con quello che è stato proposto a questo governo, perché, secondo lui, è sbagliata, pasticciata, confusa. Ma qualcuno ha letto la sua proposta che fece durante la bicamerale? Era così chiara,bella, lucida e splendente? Tuttavia, anch’essa era frutto di un compromesso. Sfido chiunque a ricordarsene i contenuti. Mentre questa riforma, proposta e, a breve, sottoposta a referendum, è quella dell’Ulivo, pari pari. Ma si sa, a D’Alema non piaceva Prodi, l’inventore dell’Ulivo.

Tuttavia, prima di pontificare tanto, si dovrebbe chiedere perché il Pd, portato avanti anche da lui, nel 2013 non ha vinto.

Si chieda il motivo del movimento di protesta nato in quegli anni, si chieda perché l’Italia è entrata nella crisi economica messa malissimo, si chieda perché la disoccupazione aumentava sempre e non si è mai stati capaci di promuove una che una opera pubblica, insomma faccia l’esame di coscienza se ne ha una, e si renderà conto che la sua magnifica stagione è finita.  Non si riusciva a combinare niente. Tanto meno una legge decente. L’immobilismo più totale.

Ora c’è gente diversa nel mondo politico, anch’io sono diversa, il mondo è diverso. I problemi che abbiamo sono molti e molto gravi e anch’essi sono diversi. Migliorare la possibilità di fare le leggi, sarebbe di grande aiuto, nell’attuale situazione, ma comunque sia, Renzi, per questi smaniosi di rivivere il passato, non va mai bene.

D’Alema la smetta di criticare il suo segretario, non rovini il Pd, non rovini il paese e la smetta di creare discordia. Fa solo pietà.

NEMESI


NEMESI

Riporto un articolo  scritto dal Giornalista Maurizio Guandalini sull’Huffington post, particolarmente brutto e allarmante. Se così fosse il rancore e l’odio si trasformerebbero in vera e propria vendetta. Nemesi.

Il trio Prodi, D’Alema e Letta trama contro Renzi senza aver fatto i conti con Mattarella

Pubblicato: 16/02/2016 11:16 CET Aggiornato: 4 ore fa
PRODI D ALEMA LETTA

Consigliamo vivamente a Renzi e la sua squadra di indagare e verificare se le notizie uscite in questi giorni su Il Foglio, con un pezzo del direttore Cerasa e poi su il Giornale, a firma di Adalberto Signore, sono vere. E, se sono vere al cento per cento, fare una conferenza stampa e spiegare, per filo e per segno, quello che è successo.

Pare, secondo Cerasa, che ci sono elementi certi che vedrebbero il trio (Prodi, D’Alema e Letta) dei rottamati da Renzi, indaffarati a scalzare il premier e metterci, al suo posto, Tito Boeri, economista e presidente dell’Inps. Il trio utilizzerebbe gli agganci internazionali per spedire in salamoia l’ex sindaco di Firenze e confinarlo sulle rive dell’Arno.

La notizia, alla quale noi non crediamo perché riteniamo l’alto valore, intellettuale e politico, del trio assolutamente non commisurabile a queste miserie, è passata un po’ sottobanco. Però, le smentite, anche del professor Boeri, non sono arrivate. Tutto l’ambaradan, così come spiegato, e architettato, se fosse vero, sarebbe di un fatto sconcertante con estremi preoccupanti (anche di ‘attentato contro la costituzione dello Stato’?). Ci mancherebbe. Renzi sta sulle scatole a molti. E infatti le opposizione varie, pure interne al Pd, si danno da fare – chi più chi meno, chi in modo convinto, chi lo deve fare per contratto, per fronteggiare il Presidente del Consiglio. Ma quello che viene imputato al trio è di tramare contro il Presidente del Consiglio in carica, ed effettivo, votato dal Parlamento italiano, secondo la Costituzione, facendo pressione su istituzioni europee e finanziarie. Che degli ex presidenti del Consiglio tramino contro la loro nazione per sostituire il Presidente del Consiglio in carica che sta lavorando per tenere il timone della barca (Italia) in tempesta è quanto meno uno scenario pesante e losco. Tra l’altro trattasi di tre personaggi del centrosinistra, alcuni anche iscritti al Pd: se fosse vero, e lo ribadiamo, se fosse vero, il Pd dovrebbe immediatamente espellerli. Sarebbe, però, il minimo sindacale di questa vicenda.

C’è qualcuno che si è affrettato a comparare in modo egualitario l’azione del trio con quello che è capitato al Presidente del Consiglio Berlusconi nel novembre del 2011. Ma non c’è nemmeno una goccia che nel vaso pro-Berlusconi. Sono due scenari e azioni diverse, soprattutto perché anche se ci fosse stata trama, nel caso Berlusconi, fu condotta in primis da un soggetto che era primo cittadino della Repubblica, il presidente Napolitano che prese atto delle dimissioni del Cavaliere. Il rinunciatario fu Berlusconi che non ha avuto il pelo sullo stomaco di proseguire perché in evidente stato confusionale, senza riforme al suo attivo e soprattutto con le aziende della Casa madre sotto scacco (interessi privati).

Lo scenario di oggi è completamente diverso. C’è un Presidente del Consiglio che ha eletto, in prima persona, l’attuale Presidente della Repubblica Mattarella a scapito proprio di due del trio: D’Alema e Prodi. Inoltre nell’ultima visita negli Stati Uniti, il Presidente Mattarella ha detto chiaro che in Italia c’è una guida di Governo per l’intera legislatura. Napolitano, Presidente della Repubblica emerito, lavora per Renzi perché il premier è il solo erede del riformismo socialista e progressista, quella che anni addietro veniva identificato con l’area migliorista. Ma quello che è più evidente, e che non lascia spazio per manovre oscure è lo scenario europeo e italiano.

Oggi l’Europa è in crisi. Tutti i leader e i soggetti del popolarismo e del socialismo europeo sono a rischio. A partire dalla Merkel e finire con Hollande. Hanno tanto da fare in casa loro che non stanno ad ascoltare D’Alema, Prodi e Letta, tre stelle cadenti della politica italiana, senza alcuna possibilità di ritornare in passerella, a breve. Tra l’altro tre ex premier che nessuno di loro ha cariche nel Parlamento e nelle istituzioni italiane. Domande dalle cento pistole: e se oggi Renzi non fosse anche segretario del Pd? Chiaro non sarebbe più Presidente del Consiglio. Capiamo ora perché la minoranza delle minoranze Pd ha insistito così tanto perché Renzi non tenesse anche il doppio incarico di premier e segretario. Inoltre il trio non ha alcuna influenza nemmeno nel Partito socialista europeo a parte D’Alema che è presidente della Fondazione del PSE che però ha una incidenza molto ma molto relativa. Lì in Europa quello che vale è il segretario del Pd in carica e quello è Renzi.

A livello generale è fallita la ricetta europea. Un ostacolo in più per incuneare l’uscita di Renzi da Palazzo Chigi. Con quali motivazioni verrebbe cacciato? Perché non è troppo da austerità? Ma le intervista di Prodi e D’Alema contro l’austerità dell’Europa e la Germania della Merkel le abbiamo lette tutte e non erano tenere. Mettere Boeri al posto di Renzi, perché? Non capiamo il valore aggiunto: niente da paragonare con Monti meglio di Berlusconi. Sarebbe la fine definitiva della politica per il vezzo rancoroso di un trio che, alla fine della storia, rappresenta a malapena se stesso. Mattarella se fallisce Renzi manda l’Italia al voto. E manda l’Italia al voto con la riforma appena approvata (che deve passare per il referendum). Non con altro.

Se proprio vogliamo dare credito allo scenario delle trame descritto da il Foglio vorremmo aggiungere un tassello che manca sul giornale di Cerasa: il ruolo di Alfano, sì il ruolo del Ministro dell’Interno e della sua area. Abbiamo sentito il leader di Ncd: sul tema della legge delle unioni civili gioca la sopravvivenza di tutti gli ex democristiani, ex forza italioti che contornano il sostegno al governo Renzi. In assenza di un valore identitario e programmatico distintivo, Alfano prende il tema delle unioni civili stiracchiandolo fino al limite, considerando cosi anche una eventuale crisi di governo. Crisi di governo per poi rientrare nel governo che viene dopo. In questo lasso di tempo potrebbe diventare una stampella di un eventuale piano del Trio mirato a scalzare Renzi. Certo, direte voi, fanta-fantapolitica. Ma in Italia, si sa, il genere fantastico più di un genere letterario o cinematografico è una categoria della scienza politica.

MINIMO SFORZO, OTTIMO RISULTATO


MINIMO SFORZO, OTTIMO RISULTATO

matteo_renzi_pollice_thumb400x275E l’ebetino, il Renzie, il parvenue della politica con un sol colpo ha ricompattato il suo partito, frantumato l’opposizione, reso ininfluente i pentastellati e fatto eleggere al quarto scrutinio il Presidente della Repubblica Italiana.

I suoi antagonisti politici sono davvero poca cosa, spesso privi di cultura politica e democratica, vecchi nel proporsi, superati anche quando si vogliono dipingere come il nuovo.

Se non si è ottenebrati da faziosità di sorta, occorre ammettere che ha portato a casa, con il minimo sforzo, un ottimo risultato.

Il nuovo presidente è persona onesta e perbene, coerente con i suoi principi, come la sua storia politica e personale stanno lì a dimostrare.
Valori che, allo stato dell’arte della politica italiana, sono un bene prezioso e vitale.

Per chi non credeva che il segretario del PD avesse capacità politiche e strategiche, il risultato è servito.

Ora, dopo questa importante parentesi di esercizio democratico, occorre tornare a lavorare, se possibile, con maggior lena di prima.
Il paese è stanco e provato, ha bisogno di riforme e provvedimenti.

Che giornate come queste servano come monito ed insegnino che la frammentazione è perdente e l’unità vincente.