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FASCISMO COMUNISMO


FASCISMO COMUNISMO

Marco Damilano ha chiesto al prof. Alessandro Barbero se ha ragione chi equipara antifascismo e anticomunismo e se è vero che in Italia c’è stata una dittatura comunista.

La risposta di Barbero è la risposta definitiva a questa sciocchezza insopportabile e una lezione di Storia in due minuti che tutti dovrebbero leggere, ascoltare, soprattutto i giovani.

Soprattutto i fascisti, i Sangiuliano, i La Russa e quelli che ancora oggi non riescono a definirsi antifascisti.

“C’è una differenza immensa tra fascismo e comunismo.

E la differenza è questa.

Che il fascismo è qualcosa che è nato in Italia, è durato vent’anni, ha contagiato altri Paesi, ha assunto una forma molto più spaventosa nella Germania nazista, e in tutte le sue forme conteneva dichiaratamente l’ideologia della violenza, della sopraffazione, della gerarchia, dell’autoritarismo, del razzismo, ed era esplicitamente questo.

E gli orrori che i nazifascisti hanno commesso li hanno commessi realizzando quello che hanno sempre detto di voler fare.

Il comunismo, purtroppo, è stata un’esperienza tragicamente fallimentare perché dove i comunisti sono andati al potere hanno quasi ovunque creato regimi fallimentari e, in alcuni casi, spaventose dittature, non c’è il minimo dubbio.

Ma il comunismo è stato anche la fede di milioni di persone in tutto il mondo che non sono mai andate al potere, non hanno mai creato dittature, che sono state perseguitate e massacrate per un secolo in tantissimi paesi e che sentivano di lottare per la giustizia, per la democrazia e per la libertà.

E allora i comunisti sono anche stati questi, mentre i nazisti e i fascisti sono solo quelli lì, non esistono nazisti e fascisti che non aderiscono a quello che le loro dittature hanno fatto”.

(Lorenzo Tosa)

[Condivido anche le virgole]

 

SANTA DE CHÉ?


SANTA DE CHÉ?

Tutti i politici a cui Santanché ha chiesto di dimettersi

27 marzo 2024

La ministra del Turismo è indagata per truffa aggravata ma ha già detto che non si dimetterà, per ora. Negli anni l’esponente di Fratelli d’Italia ha invitato molti altri colleghi a dare le dimissioni

 

di Carlo Canega

In questi giorni il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, tra gli altri, sono tornati a chiedere le dimissioni di Daniela Santanchè. Il 22 marzo la Procura di Milano ha comunicato alla ministra del Turismo che sono state concluse le indagini in cui Santanchè è indagata per truffa ai danni dell’Inps. Già l’anno scorso l’esponente di Fratelli d’Italia era andata in Parlamento per chiarire la sua posizione sulle presunte irregolarità commesse da alcune società a lei collegate durante la pandemia di Covid-19. Dopo la notifica della procura, Santanchè ha detto in una nota che farà «una seria e cosciente valutazione di questa vicenda» solo dopo la decisione del giudice per l’udienza preliminare (Gup), che dovrà decidere se mandare la ministra a processo.

Al di là delle valutazioni politiche sulla condotta di Santanché, e al di là del fatto che in base alla Costituzione la ministra non è considerata colpevole fino a condanna definitiva, è interessante notare che in questi anni l’esponente di Fratelli d’Italia ha chiesto a molti politici di dimettersi, anche se non indagati. Basta fare una breve ricerca sul suo profilo Twitter (ora X), o tra le interviste rilasciate ai giornali, per individuare questo tratto distintivo della comunicazione politica di Santanchè.

Da Lamorgese a Bonafede

Per esempio durante il governo Draghi, rimasto in carica dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre 2022, Santanchè – che all’epoca era all’opposizione – ha chiesto più volte le dimissioni di due ministri: il ministro della Salute Roberto Speranza e la ministra degli Interni Luciana Lamorgese. Le dimissioni di Speranza sono state chieste per l’uso delle mascherine a scuola, per la gestione della pandemia  per la proroga dello stato d’emergenza e per la chiusura degli impianti  sciistici. Santanchè ha chiesto a Lamorgese di dimettersi perché, a detta sua, ad agosto 2021 l’allora ministra dell’Interno aveva permesso di organizzare un rave party in provincia di Viterbo. Anche Giuseppe Conte, quando era presidente del Consiglio, è stato più volte oggetto di richieste di dimissioni da parte di Santanchè, soprattutto durante la crisi di governo di gennaio 2021, che ha poi portato alla formazione del governo Draghi.

Nel 2021 l’esponente di Fratelli d’Italia ha invitato a dimettersi l’allora vicesegretario del PD Giuseppe Provenzano, che a ottobre di quell’anno aveva scritto su Twitter che Fratelli d’Italia si poneva «fuori dall’arco democratico e repubblicano». «È Provenzano a essere fuori dall’arco costituzionale per le sue gravissime dichiarazioni. Non c’è nulla di più antidemocratico che eliminare il primo partito d’Italia. Adesso l’unica cosa che può fare è dimettersi!», aveva scritto in risposta Santanchè. A marzo 2021 l’attuale ministra del Turismo ha invitato a dimettersi l’allora presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra (Movimento 5 Stelle), per aver contestato l’operato di un centro vaccinale a Cosenza, dove era entrato accompagnato dalla sua scorta.

Prima ancora, Santanchè aveva chiesto le dimissioni della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, per l’acquisto dei banchi a rotelle, e del presidente dell’Inps Pasquale Tridico, colpevole a detta sua dei malfunzionamento del sito dell’Inps durante il lockdown e accusato di essersi «triplicato» lo stipendio. In realtà questo aumento era stato deciso dal primo governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Ad agosto 2020 Santanchè aveva scritto che si sarebbero dovuti dimettere anche Manlio Di Stefano (Movimento 5 Stelle), sottosegretario agli Esteri, e Carlo Borghetti (PD), vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. Il primo aveva confuso in un tweet il Libano con la Libia, il secondo  aveva messo un mi piace a un post su Facebook in cui si diceva che Meloni stava diventando «calva».

Altri ex ministri oggetto delle richieste di dimissioni di Santanchè sono stati Alfonso Bonafede e Lorenzo Fioramonti, entrambi del Movimento 5 Stelle. A maggio 2020 l’esponente di Fratelli d’Italia  aveva accusato l’allora ministro della Giustizia Bonafede di aver fatto uscire dal carcere «mafiosi e boss», giudicato un «atto gravissimo». In realtà, come abbiamo spiegato in passato, le cose non stavano così. A ottobre 2019 Fioramonti er stato criticato da Santanchè perché erano stati trovati alcuni suoi commenti su Facebook, scritti prima che Fioramonti diventasse ministro dell’Istruzione, in cui veniva insultata l’esponente di Fratelli d’Italia. Un paio di mesi dopo Fioramonti si è dimesso, ma per un altro motivo: aveva accusato il secondo governo Conte, di cui faceva parte, di investire troppo poco in istruzione.

Leggi anche: Dal 2001 si sono dimessi oltre 30 ministri.

Il caso di Josefa Idem

Andando ancora indietro nel tempo, richieste di dimissioni sono state rivolte da Santanchè verso vari ministri dei governi Gentiloni, Renzi, Letta e Monti. Solo per citare due esempi: «Oggi aspetto le dimissioni del ministro Terzi», si legge in un tweet di marzo 2013 (curiosità: Giulio Terzi di Sant’Agata era il ministro degli Esteri del governo Monti e alle elezioni politiche del 2022 è stato eletto senatore con Fratelli d’Italia). «Cosa aspetta Maria Elena Boschi a dimettersi?»,  si legge in un tweet di dicembre 2017.

Nel 2013 un caso che fece molto discutere riguardò l’allora ministra delle Pari opportunità, dello Sport e delle Politiche giovanili, ed ex campionessa olimpica, Josefa Idem. Dopo alcuni articoli di giornale, Idem ammise di non aver pagato l’ICI – un’imposta sugli immobili – su un palazzo di sua proprietà. «Intanto perché s’è dimostrata anche molto arrogante, e l’arroganza non premia mai. Certamente non è una ladra. E del resto non penso che quello che ha fatto, se l’ha fatto, sia una mancanza pazzesca. Il problema è un altro», aveva dichiarato il 24 giugno 2013 Santanchè in un’intervista a la Repubblica, giustificando la sua richiesta di dimissioni. «Il fatto che lei si sia presentata con l’immagine di una paladina della morale, dell’etica, della correttezza. Ebbene, quelle cose che ha fatto, pur essendo per me peccato veniale, sono del tutto incompatibili con l’immagine che aveva voluto dare di sé, ovvero di campionessa integerrima. È per questo, ribadisco, che Letta farebbe bene a sostituirla». Quello stesso giorno Idem  si è poi dimessa effettivamente, sanando alcune settimane dopo la sua posizione con il fisco.

Va sottolineato comunque che Santanchè non ha sempre chiesto le dimissioni dei suoi avversari politici. A luglio 2019 il sindaco di Milano Beppe Sala è stato condannato in primo grado per «falso materiale e ideologico» per una cosa avvenuta nel 2015, quando era il commissario per l’Expo. Nel 2021 il reato è andato prescritto. Alla notizia della prima condanna di Sala, Santanchè aveva scritto su Twitter: «Non chiederò oggi le dimissioni di Beppe Sala: garantisti lo si è sempre. Io combatto la sua politica: in prima linea al carrozzone del Pride, totalmente assente sulla sicurezza dei milanesi, specie in periferia. La sinistra giustizialista invece dovrebbe chiederle, per coerenza».

 

Insomma lei è lei, detta Santanché, nata Guarnero, come il marchese del grillo, e noi non siamo un cazzo.

 

 

IL VOTO DEI GIOVANI


IL VOTO DEI GIOVANI

Alle elezioni amministrative di domenica, l’autocrazia o democrazia illiberale di Recep Tayyip Erdoğan s’è presa una bella botta, e la scrittrice Elif Shafak, sul Corriere della Sera, individua le cause nell’andamento dell’economia (l’inflazione è al 67 per cento) e concede meriti ai giovani.

Lo conferma Mariano Giustino (Radio radicale) da Istanbul: un milione e centomila diciottenni sono andati per la prima volta a votare e l’impressione è che siano andati numerosi, per indicare un’alternativa a Erdoğan e riprendersi la speranza della democrazia. È incredibile, mi dice Giustino, visto quello che succede qua.

I dissidenti finiscono in carcere, la sproporzione di mezzi economici arricchisce la propaganda di Erdoğan e impoverisce quella delle opposizioni, i giornali stanno tutti col governo, eppure la dittatura non è ancora compiuta e nel varco rimasto aperto, si infilano in tanti, soprattutto i ragazzi.

Per i loro coetanei iraniani il varco è ormai meno di un pertugio, e alle elezioni del primo marzo non sono andati a votare, per non riconoscere legittimità all’esercizio plebiscitario di un regime teocratico che imprigiona, tortura e spesso ammazza i ragazzi, esausti della legge di Dio e delle sue imposizioni patibolari.

Poi ci sono i ragazzi italiani. Meno della metà degli under trenta va a votare, e non ci va perché non interessa, non sembra importante, ma c’è un fatto importante e cioè  la libertà, come la salute, si trascurano quando ci sono, e ce ne si preoccupa soltanto quando si fanno precarie, e spesso è troppo tardi.

Non è una colpa, è una maledizione.

 

E COSÌ TUTTO TORNA


E COSÌ TUTTO TORNA

Le contestazioni di queste settimane, in nome della pace, dello stop alla guerra, della fine del genocidio, non possono essere rubricate alla sola voce antisemitismo.

Non solo o non tanto perché nessuno grida ancora al complotto giudo-demo-pluto-eccetera, ma perché striscioni e manifestazioni hanno dentro più cose, e non se ne capisce a fondo la natura se la si riconduce solamente all’avversione nei confronti degli ebrei e dell’«entità sionista».

Che c’è, purtroppo, e si fa sentire, ma collegata a una certa interpretazione della storia e dell’Occidente, che è il primo bersaglio delle proteste in corso.

Che cosa ci fa Israele in Medio Oriente?

Cosa c’entra con i paesi arabi e musulmani uno Stato voluto dagli europei e dagli americani per risarcire gli ebrei del crimine della Shoah?

Come si può tollerare, in un mondo decolonizzato, questo resto di una logica coloniale imposta dall’Occidente al resto del mondo?

Come si può giustificare un avamposto degli Stati Uniti in quell’area, se non in nome del petrolio e di inconfessabili interessi economici?

Gratta gratta, sotto la geopolitica c’è l’economia, ed economia significa capitalismo, e capitalismo significa egemonia americana e strapotere finanziario, politico, militare.

La storia che raccontano quelli che stanno con la Palestina libera dal fiume al mare (cioè: senza Israele di mezzo) è fatta così, molto all’ingrosso ma ben inscritta in umori e passioni radicate e in un patchwork ideologico che non sarà una ricognizione storiografica meno semplicistica, o meno dozzinale, a mandare in pezzi.

Israele è la potenza occupante: questo è il punto, dicono.

Dopodiché, come accade purtroppo a tutti i capri espiatori, Israele diventa disinvoltamente pars pro toto, e il tutto che rappresenta, violente o nolente, è l’Occidente con i suoi torti.

Questa chiave di lettura si vede benissimo nel differente trattamento che viene riservato alla guerra in Ucraina.

Cosa c’è di occidentale, lì: la Nato?

Ed è dunque alla Nato e ai paesi Nato che si addossano le vere responsabilità (ha provocato la Russia accerchiandola, e ora non smette di alimentare il conflitto sulla pelle degli ucraini), ma anche al più cieco odiatore dell’Occidente che sposa senza difficoltà questa versione dei fatti, per la gioia di Peskov e della propaganda putiniana, riuscirà difficile esprimere solidarietà al popolo russo per le bombe che piovono pur sempre sul suolo ucraino.

Nel conflitto medio-orientale non c’è da avere di questi imbarazzi: la guerra è a Gaza e le vittime sono i civili palestinesi. E quella che Israele chiama la sua sicurezza è solo il suo sopruso. Non è pensato, in genere, come un sopruso, esistenziale, ontologico, razziale, ma è descritto come la prepotenza di un paese militarmente più forte, appoggiato, sostenuto, foraggiato dall’Occidente capitalistico.

 E così tutto torna.

LA VIOLENZA TRAVOLGE LA POLITICA


LA VIOLENZA TRAVOLGE LA POLITICA

A Meloni basterebbe finirla con le balle e lavorare per il popolo!

Altrimenti è istigare il popolo! È andarsele a cercare!

Poi arriva “la violenza che travolge la politica” e serve Mattarella per calmare gli animi.  

C’è sempre un limite da rispettare. Sia da una parte che dall’ altra.

E in democrazia si chiama rispetto, sia istituzionale che popolare.

Altrimenti si arriva alla rivoluzione o al fascismo! 

Che è quello che cerchi di attuare! Vero Giorgia?

Il Presidente Mattarella, come sempre, richiama la politica al decoro e al rispetto.

Ha ragione.

Soprattutto per il fatto che sarebbe il caso di non perdere tempo in accuse e controaccuse.

Bisognerebbe occuparsi di cose molto più concrete che possano migliorare le condizioni di vita in Italia e affrontare nel modo migliore le crisi internazionali.

Se Meloni è stata offesa nel suo ruolo di Presidente del Consiglio, ha la mia solidarietà.

Per il resto non condivido nulla della sua politica.

Come sempre il Presidente Mattarella dice cose sacrosante, che non si possono non condividere.

La grande amarezza consiste nel fatto che ormai sono quasi un’utopia, in questo mondo sempre più in decadenza.

Nessuna violenza è giustificata o tollerata.

Quindi è giusto chiedere scusa quando si sbaglia o quando si esagera con atti vandalici.

Però Mattarella ha la funzione di sorveglianza e di coordinamento.

Di fronte a episodi di violenza o di tumulti di piazze, un Presidente della Repubblica ha anche il compito di chiedersi il perché certi fenomeni violenti accadono, ha il compito di rimuovere possibilmente le cause confrontandosi con tutte le forze politiche che ci governano.

Insomma un Mattarella meno nascosto e più visibile e attento alle lamentele dei cittadini.

 

 

“È ORA DI SVEGLIARSI”


“È ORA DI SVEGLIARSI”

A maggior ragione dopo i riferimenti all’Italia di Vladimir Putin, ritengo importante portare all’attenzione alcuni estratti dell’intervento pronunciato dall’ammiraglio Carlo Dragone, capo di Stato Maggiore della Difesa, pochi giorni fa. 

 Riassumerei il tutto questo titolo: “È ora di svegliarsi”.

Ecco le sue parole:

 “La difesa della libertà è doverosa, necessaria, e riguarda tutti. Da Kviv, dove sono stato recentemente in visita, la realtà che abbiamo finora vissuto, il mondo che abbiamo finora conosciuto, si percepiscono sotto una luce del tutto inedita e densa di interrogativi.

C’è un Paese che combatte per la sua. e anche per la nostra, libertà di poter scegliere il proprio futuro.

 L’aria che si respira in Ucraina o in Stati vicini come la Moldavia è resa soffocante, non solo dalla pressione militare russa, che non risparmia i centri abitati e le infrastrutture civili, ma da una narrativa fuorviante e incalzante a tutti i livelli, il cui obiettivo è di condizionare il libero arbitrio e quindi le libertà democratiche che ne discendono e che nessuno vuole vedersi negate.

La difesa della loro e della nostra libertà non è assolutamente un concetto retorico, ma una discriminante prioritaria del nostro sostegno incondizionato all’Ucraina.

Due visioni antitetiche della realtà e del mondo si contrappongono.

 E noi non possiamo permetterci tentennamenti o distinguo.

Ne va del nostro modello di vita, dei nostri valori.

 Stiamo assistendo proprio in questi giorni all’intensificarsi di una strategia di disinformazione russa che vede impegnato in prima fila lo stesso Putin. Con l’obiettivo di disorientare le nostre opinioni pubbliche attraverso la diffusione di una narrativa fallace i cui cardini sono principalmente tre:

– l’immagine di una Russia desiderosa di pace;

– il quadro di una guerra ormai inutile e il cui esito a vantaggio di Mosca non è più in discussione;

– la percezione di un Occidente ormai stanco di sostenere un conflitto di attrito costoso e senza speranze di successo.

L’obiettivo di Mosca è di approfittare della finestra di opportunità apertasi con l’imminente stagione di consultazioni elettorali che interesseranno anche altri Paesi atlantici dell’Occidente.

Ben diversa è però la realtà dei fatti.

La Russia che sperava in una “guerra lampo” si trova invece impegnata in un conflitto di attrito a lunga durata, accusando ingenti perdite, di uomini e di mezzi. Nessun obiettivo militare primario di Mosca può dirsi raggiunto. Per fare un esempio: la flotta russa del Mar Nero, che continua a subire danni importanti, ha notevolmente ridotto il suo raggio operativo.

E infine: il supporto dell’economia allo sforzo bellico non sarà sostenibile a lungo alla luce di sanzioni sempre più stringenti e di un impegno finanziario per la difesa nazionale salito a circa il 6,2% del PIL, che è pari a 1/3 dell’intera spesa pubblica.

Dobbiamo guardare alla geopolitica di domani con grande realismo.

La NATO è il vero scudo di cui disponiamo per difendere la libertà e la democrazia.

Il Segretario generale della NATO ha recentemente dichiarato che il confronto con la Russia avrà una portata decennale.

Da Tel Aviv, dove sono stato nelle scorse settimane e ho toccato con mano la drammaticità di una crisi che è interesse di tutti risolvere il più rapidamente possibile, si comprendono chiaramente le implicazioni della citata frase d Stoltenberg: la guerra in Ucraina potrebbe anche finire molto prima, ma in realtà gli effetti innescati da tale conflitto si sono propagati a livello globale, accelerando dinamiche e tensioni già preesistenti, come l’attuale crisi in Medio Oriente, e che richiederanno molto tempo per riassorbirsi”.

C’è bisogno di informazione indipendente.

 

LA SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA


LA SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA

La “sindrome della morte improvvisa” che, secondo l’incredibile versione di Putin (e qualcuno,  infatti, ci crede), ha colpito Aleksej Navalny nel lager siberiano, dove il regime lo aveva rinchiuso, perché non ne uscisse mai più, dovrebbe aiutare anche i più sprovveduti, ammesso che qualcuno ci sia,  a capire definitivamente con chi abbiamo a che fare.

E bisogna essere davvero sprovveduti, ai limiti e oltre della dabbenaggine, oppure, con maggiore probabilità, sostenitori, complici o sodali, per rifiutarsi di vedere l’evidente.

Eppure c’è chi sfida il ridicolo e ogni riferimento ai leghisti nostrani è puramente casuale.

Gira sulla rete un collage di dichiarazioni (e sono tantissime, con video e audio originali) di Salvini, ed anche di Meloni, nelle quali si esaltano le doti di statista di Putin: roba di solo pochissimi anni fa. Fanno rabbrividire. 

Qualcuno ha paragonato questo ennesimo omicidio al delitto Matteotti, ma non serve andare tanto in là.

I regimi dittatoriali eliminano i dissidenti per definizione: non lo facessero e li lasciassero liberi di dissentire, non sarebbero dittatoriali.

Sembra ovvio, no?

Ma qui c’è sempre qualcuno che ne sa una più del diavolo e quindi aspetta i risultati dell’indagine (intanto il corpo è sparito), come se avessimo a che fare con un normale Stato di diritto.

Scommettiamo che risulterà che “è morto perché morto”?

Ma tanto purtroppo ora è irrilevante.

Questa nuova impresa del regime russo arriva a qualche settimana delle elezioni convocate anche colà, alle idi di marzo, ma il parallelo finisce lì, elezioni che, come affermano tutti i sondaggi, danno per vincente Putin, oppure Putin, ma forse anche Putin.

Fatto sta che ormai è chiarissima la direzione che ha preso la sua politica: Putin sta cercando,  e ci sta riuscendo, di accreditarsi come il punto di riferimento di tutte le forze anti-occidentali del pianeta: appoggia l’Iran, Hamas, Hezbollah, le forze della Jihad, chiunque abbia giurato di distruggere il mondo occidentale con i suoi valori, il suo modo di vivere, la sua storia.

Li ha già invitati a Mosca, li coordina, probabilmente li foraggia. Come starà facendo con tutte le forze che, in occidente, lavorano contro la democrazia, usando ogni mezzo, nessuno escluso.

Ma il mondo occidentale pare non averlo capito, visto che si divide, perde tempo, discute, distingue, attende, sperando in chissà quale miracolo.

Temo che non sarà così. 

 

 

MELONI ATTACCA JOHN ELKANN E REPUBBLICA E FERISCE LIBERTÀ STAMPA E D’IMPRESA


MELONI ATTACCA JOHN ELKANN E REPUBBLICA E FERISCE LIBERTÀ STAMPA E D’IMPRESA

Ieri la Presidente del Consiglio ha attaccato John Elkann per “aver venduto ai francesi” e poi Repubblica dicendo che il quotidiano di Maurizio Molinari non ha diritto di criticare le privatizzazioni che ha in testa la Meloni perché la proprietà di Repubblica è in mano a Elkann. Abbiamo registrato l’ovazione da parte di chi non ha mai amato la Fiat, la famiglia Agnelli, Villar Perosa, la Juve e il dominio sabaudo.

Ma ciò che ha detto la premier è gravissimo. Nessuna antipatia verso la proprietà di Stellantis può giustificare una sgrammaticatura così volgare e insidiosa. In Italia la libertà di iniziativa economica è costituzionalmente garantita. Se io decido di vendere una mia proprietà il Premier non ha diritto di mettere in discussione la mia scelta. Mentre se il Premier decide di vendere un bene pubblico quale le quote di ENI chiunque ha il diritto di criticare. Anche e soprattutto un quotidiano che illustra una legittima posizione di dissenso rispetto al Governo.

È l’ABC della democrazia. Ieri la Meloni ha ferito la libertà di stampa ma anche la libertà d’impresa. E lo ha fatto come ritorsione a una critica. John Elkann può stare simpatico o meno. Ma i liberali alle vongole che oggi lo attaccano dovrebbero rendersi conto della gravità della posizione di Giorgia Meloni, una Influencer sempre più nervosa, sempre più restia a tollerare il dissenso.

Matteo Renzi

 

PIERO GOBETTI


PIERO GOBETTI

«Era un giovane alto e sottile, disdegnava l’eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte»

(Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960)

«Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell’opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio.»

(Piero Gobetti, lettera a Ada Prospero, 1920)

Nel maggio del 1924 Gobetti si reca in Francia a Parigi, e poi in Sicilia, a Palermo, per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di nozze.

I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, il 1º giugno,  Mussolini telegrafa al prefetto di Torino, Enrico Palmieri: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo».

 Il prefetto obbedisce e, il 9 giugno, Gobetti viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all’estero per organizzare le forze antifasciste.

Muore, a 25 anni,  alla mezzanotte del 15 febbraio del 1926,  a seguito delle percosse subite . 

E’ sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.

LA GALLINA CHE SI CREDE AQUILA


LA GALLINA CHE SI CREDE AQUILA

La gallina, anche se canterina, resta sempre un bipede che starnazza.

Basta il chicchirichì di un qualsiasi gallo a montargli la cresta e convincerla a tentare il volo.

La gallina non vola, può solamente battere le ali, saltellare e starnazzare, agitando rumorosamente le ali, e con ripetuti coccodè, riesce a mettere in riga i tanti galli che gli gironzolano attorno.

La Gallina, in mezzo a tanti polli, è la regina incontrastata del pollaio.

Può succedere che, per farsi bella agli occhi dei tanti merli del giornalismo, possa fare dei vigorosi coccodè, appena finito di deporre l’uovo, e sentirla starnazzare, per almeno tre ore, felice nel pollaio, tra chicchirichì di carte segrete, burattinai e poteri forti.

La gallina si crede un’aquila, dal suo trono di letame, esercita il potere sugli altri polli che la stanno a sentire, facendogli da coro.

Il dramma vero è quando si convince di poter volare come un’aquila.

Quando, incoraggiata da galli, galline e qualche grillo infiltrato nel pollaio, si avventura in pericolosi lanci nel vuoto, dal tetto del pollaio.

Povera Gallina, col culo per terra, rotta e malconcia a prendersela con chi gli ride in faccia, con chi cerca di convincerla che somiglia più ad una cornacchia che ad un’aquila.

La povera gallina, prova ancora un ultimo lancio, ma, inevitabilmente, finisce in una pozzanghera di letame.

Mentre i merli ci raccontano un maestoso volo di un’aquila reale.

Così ce la raccontano.

(Dal Web)