UNO DEI TANTI REGALI DI MUSSOLINI AGLI ITALIANI….LA BANDA KOCH


UNO DEI TANTI REGALI DI MUSSOLINI AGLI ITALIANI….LA BANDA KOCH

La curiosità è nata da un documento storico visto in Tv su History channel.

Non la conoscevo, questa Banda Koch che operava a Roma nel 1943, dopo l’occupazione tedesca della città. La zona di azione era a San Paolo fuori le mura ed era comandata da un certo “Pietro Koch”, che ci regalò terrore e morte, in obbedienza a Mussolini e alla sua R.S.I. oltre che agli ordini della Gestapo.

Facevano parte di questa banda anche preti, frati, avvocati, giornalisti, donne, soubrette. Una settantina di persone, alcune delle quali, molto importanti, volevano sottrarsi poi all’arresto per i crimini commessi, vestiti da frati.

Incredibile e dolorosa storia vera.

Ciò che segue è copiato da Wikipedia. Non sapendo niente di questa banda, resta appunto la storia reperibile su Internet.

Pietro Koch (Benevento, 18 agosto 1918Roma, 5 giugno 1945) è stato un militare, criminale di guerra e ufficiale di polizia politica[1] italiano. Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, fu a capo di un reparto speciale di polizia della Repubblica sociale italiana, noto anche come Banda Koch,[2] che operò principalmente a Roma e in seguito, brevemente, anche a Milano, macchiandosi di numerosi crimini contro nemici catturati e oppositori politici, come torture e omicidi.

«L’ex granatiere Pietro Koch di padre tedesco è probabilmente, tra tutti i leader emersi durante la Repubblica sociale italiana, il più famoso, per non dire il più famigerato.»
(Massimiliano Griner – La “banda Koch”. Il reparto speciale di polizia 1943-44 (2) [3])

Pietro Koch era figlio di Otto Rinaldo Koch, un commerciante di vini ex ufficiale della marina tedesca, sposatosi con Olga Politi. La famiglia negli anni trenta si trasferì da Benevento a Roma, dove Pietro si diplomò al liceo Gioberti per poi iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza.

Il richiamo alle armi lo costrinse ad abbandonare gli studi intrapresi. Nel 1938 diventò ufficiale di complemento dei Granatieri di Sardegna. Nei primi mesi del 1940 fu posto in congedo e non venne chiamato alle armi fino alla primavera del 1943.

In questi tre anni visse tra Roma e Perugia come mediatore di compravendite immobiliari e agricole. La Prefettura di Perugia lo segnalò, nell’ottobre 1942, per «una non indifferente attività truffaldina» (1- pg.155). Nel 1940 si era sposato con Enza Gregori, ma il matrimonio naufragò in pochi mesi a causa della relazione con Tamara Cerri, una ragazza sedicenne conosciuta a Firenze.

Repubblica Sociale Italiana

Nella primavera del 1943 fu richiamato alle armi nel 2º Reggimento “Granatieri di Sardegna” e l’8 settembre 1943 era a Livorno con il suo reparto in attesa di imbarcarsi per la Sardegna. Dopo l’8 settembre si spostò a Firenze e si iscrisse al Partito Fascista Repubblicano, entrando nel “Reparto Speciale di Sicurezza” di Mario Carità. Le incertezze del periodo sono riportate in tre lettere di Pietro Koch alla sorella, pervenute, dopo la Liberazione, ad un giovane funzionario del Partito Comunista Italiano, Luca Canali, che le pubblicò parafrasate nella sua autobiografia [4]. In esse, si manifesta lo sbandamento di un giovane ragazzo che poi decide di aderire con convinzione fanatica alla repressione nazi-fascista.

Si mise subito in evidenza con la cattura, presso un albergo cittadino, del colonnello Marino, già aiutante del generale di corpo d’armata Mario Caracciolo di Feroleto, l’ex comandante della 5ª Armata che aveva tentato la difesa di Firenze. Attraverso questa azione fu notato da Mussolini. Mario Caracciolo di Feroleto, uno dei pochi generali che si erano opposti ai tedeschi, si era rifugiato a Roma presso il convento vaticano di San Sebastiano, sotto tutela di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Il capitano delle SS di via Tasso, Kurt Schutze, del gruppo di Herbert Kappler, autorizzò Koch a violare il territorio Vaticano, così la sua banda, attraverso uno stratagemma e l’appoggio esterno delle SS, riuscì ad arrestare il generale. Le SS, dopo averlo schedato lo lasciarono a Koch che lo trasferì a Firenze presso la sede della cosiddetta Banda Carità. Il risultato di questa azione gli permise di avere le autorizzazioni dal capo della Polizia della RSI di Salò, Tullio Tamburini, per costituirsi un suo reparto speciale. Con l’arresto del generale di corpo d’armata Mario Caracciolo di Feroleto, fu rinvenuto anche il memoriale Caracciolo, documento interessantissimo scritto dal generale durante la reclusione, che contiene informazioni inequivocabili, in particolare riguardo a come la cieca ostinazione del duce abbia condotto l’Italia nel baratro. Fu grazie al tenente dei Granatieri di Sardegna, Eraldo Barosini (Roma 3/10/1915 – Roma 23/05/1986), capo settore della Banda Granatieri e amico di Pietro Koch, che in pieno regime nazi-fascista è stato possibile venire a conoscenza di parte di questa documentazione, sottratta dal Barosini a Koch durante un loro incontro, che né il governo repubblicano, né le autorità tedesche avrebbero mai autorizzato di mettere in circolazione e avrebbero forse un giorno distrutto.[5]

La cosiddetta “Banda Koch

Attività a Roma

«Tutti quei che a Roma stanno / per la patria con gran danno / a tramare contro il Duce / che il fascismo ogn’or conduce / han da far con una banda / Pietro Koch la comanda.»
(Inno della Banda Koch[6])

Nel dicembre 1943 Koch si trovava a Roma[7] e si presentò al capo della Polizia Repubblicana, affermando di avere incarico dal generale Luna di riferire che il generale ricercato, Caracciolo, era nascosto presso il convento di San Sebastiano.

«Tamburini volle affidare a me l’incarico di arrestarlo. Lo feci. Allora mi fu offerto di prendere il comando di un reparto di polizia: accettai.»
(dalla deposizione dello stesso Pietro Koch rilasciata dopo il suo arresto definitivo[8])

Una volta costituita la squadra speciale, che prese la denominazione ufficiale di “Reparto Speciale di Polizia Repubblicana”,[8] si aggregarono anche diversi elementi della Banda Carità fino ad arrivare a circa una settantina di unità tra i quali anche dei sacerdoti. La composizione era la più varia. La bibliografia ricorda: i preti Ildefonso Troya dell’ordine dei Benedettini Vallombrosiani (dopo la sospensione a divinis) e Pasquino Perfetti, l’avvocato Augusto Trinca Armati del foro di Perugia (a capo dell’Ufficio Legale del reparto), il giornalista Vito Videtta, l’esperto dei servizi segreti Francesco Argentino detto “Dottor Franco”, Armando Tela (con il ruolo di vice-comandante). Tra gli agenti del reparto ci furono anche degli ex arrestati che collaborarono, come il gappista Guglielmo Blasi. C’erano anche diverse donne: Alba Giusti Cimini (vedova di guerra[9] di 28 anni, e segretaria di Koch), Marcella Stopponi (dattilografa e verbalista) e Daisy Marchi (vero nome Dusnella Marchi[10]), una soubrette che fu per un periodo anche l’amante di Koch. A Milano la Cimini e la Marchi usavano spacciarsi, con i prigionieri, per la celebre Luisa Ferida (specialmente la seconda, molto somigliante fisicamente[11]), approfittando della penombra delle celle; è probabilmente questa l’origine della calunnia che costerà la vita all’attrice, che conosceva Koch per tramite del compagno Osvaldo Valenti (membro della Xª MAS), ma non collaborò mai con la banda.[12] Uomo di collegamento con la Xª MAS, a Roma, fu Mauro De Mauro (amico e forse amante della Stopponi), che non faceva parte della banda in maniera diretta.[13]

La formazione ottenne alcuni rapidi e clamorosi successi con irruzioni e perquisizioni nelle sedi della Chiesa. Gli arresti eccellenti nei conventi, la cattura di Giovanni Roveda e poi la cattura, su segnalazione del collaboratore di Koch Francesco Argentino, del professor Pilo Albertelli che fu torturato e poi fucilato alle Fosse Ardeatine, produssero impressione nel comando SS.

«La prima operazione del reparto che, senza timore di essere tacciati di immodestia, ha compiuto in brevissimo tempo, forse la più brillante operazione politica e militare del momento, è stata quella di aver potuto dare al nostro Governo e al Comando Alleato, un quadro reale delle mene politiche militari che portarono alla disorganizzazione dell’Esercito Italiano. Ciò con l’arresto di un altro generale responsabile anch’egli in gran parte dell’accaduto e che, nel dicembre del 1943, seguitava ancora a vivere a Roma sotto le mentite spoglie di frate francescano: il generale d’Armata Mario Caracciolo da Feroleto, già comandante della V armata […] A breve distanza di tempo seguiva l’azione svolta in profondità presso un gruppo di conventi: Russicum, Istituto Lombardo, Istituto Orientale e come risultato si ebbe la cattura del presidente del Comitato Centrale del Partito comunista Italiano: Giovanni Roveda
(Dal rapporto informativo di Pietro Koch al generale tedesco Kurt Mälzer a seguito delle operazioni nelle sedi della Chiesa)

Il seguito della storia, per chi vuole proseguire, è altrettanto importante,  parla di Via Tasso. la nota sede di tortura e morte della Gestapo, comandata dal generale Kappler

(https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Koch)

2 Risposte

  1. Specialista del copia/incolla.

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    1. Come hai detto da Wikipedia: Pietro Koch era figlio di Otto Rinaldo Koch, un commerciante di vini ed ex ufficiale della marina tedesca, sposatosi con Olga Politi. La famiglia negli anni trenta si trasferì da Benevento a Roma, dove Pietro si diplomò al liceo Gioberti per poi iscriversi alla facoltà di giurisprudenza. Il richiamo alle armi lo costrinse ad abbandonare gli studi intrapresi. Nel 1938 diventò ufficiale di complemento dei Granatieri di Sardegna. Nei primi mesi del 1940 fu posto in congedo e non venne chiamato alle armi fino alla primavera del 1943.
      I metodi di Koch erano caldeggiati dalle SS di Kappler, e la banda collaborò, fra appoggio cooperante e attriti intestini, col comando SS di via Tasso, diventando anche lo strumento di azioni e irruzioni nelle sedi della Chiesa, come l’assalto al convento annesso alla Basilica di S. Paolo, progettato e coordinato da Koch, avvenuto la notte tra il 3 e il 4 febbraio, che portò all’arresto di 67 persone fra ebrei, renitenti alla leva, ex-funzionari di polizia e militari di rango.[13] Queste iniziative riducevano per i tedeschi le complicazioni diplomatiche di extraterritorialità tra la Santa Sede e il Terzo Reich. Koch inoltre procurò a Kappler alcuni nominativi da inserire nella lista dei condannati a morte per rappresaglia, in risposta all’attentato di via Rasella operato dai GAP.

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