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SÌ, PERÒ NON È DI SINISTRA


SÌ, PERÒ NON È DI SINISTRA

“Sì, però non è di sinistra”!

È un’espressione che sentiamo tutti i giorni e che ormai fa venire la nausea, ma tant’è queste sono le cose che ci raccontano i vari Direttori di Repubblica, l’Espresso, il Corriere della Sera, eccetera, le varie Tv. Spesso senza un filo logico, ma per dire qualcosa sempre contro questo segretario del Pd, Matteo Renzi.

Renzi, dopo essere partito bene si sarebbe allontanato dai bisogni del popolo. È diventato di destra.

Quando si elencano le straordinarie riforme fatte nei mille giorni di Governo Renzi, si fanno pensierosi per un attimo, a volte balbettano qualcosa, ma poi immancabilmente se ne escono con le parole: “Sì’, però non è di sinistra”.

Già non è di sinistra. Per quale motivo? Perché è stato boy scout? Viene dalla Dc? No, no, niente di tutto questo, perché ha avuto il coraggio di cercare di collaborare anche con Berlusconi, per poter fare insieme quelle riforme costituzionali che il Presidente della Repubblica Napolitano, in un memorabile discorso alla Camera riunita, aveva chiesto di fare. “O fate le riforme o non accetto per la seconda volta la nomina a Presidente”, aveva detto Napolitano, dopo il fallito tentativo di Bersani.

Ma la storia ci dice che D’Alema ha fatto la stessa cosa, con la bicamerale. Si sono seduti assieme D’Alema e Berlusconi, hanno persino condiviso la famosa crostata a casa dello zio Letta, ma D’Alema è di sinistra (veramente non so quanto) e Renzi, no, è di destra.

Strano modo di pensare, di pesare gli avvenimenti politici con due bilance diverse.

Poi come sempre Berlusconi butta tutto per aria.

Quando fu il momento di nominare il Presidente della Repubblica Bersani, allora segretario del Pd, si sottomisse al rito del bacio della pantofola, e presentò a Berlusconi una terna di nomi (Marini, Amato, Finocchiaro) perchè scegliesse chi gli piaceva. Fu scelto Marini, ma al Pd non piacque e così, dopo due mesi di tira e molla, alla fine Bersani alla fine pregò Napolitano di continuare a fare il Presidente della Repubblica.

Renzi, divenuto nel frattempo segretario del Pd, non si prestò a questo rito, e ciò indispettì Berlusconi.

Ma questa è storia che tutti conosciamo, la storia di un fallimento, che comunque fa male.

E adesso stanno a dire che Renzi non è di sinistra?  Probabilmente, con questo atteggiamento, non rimproverano Renzi, ma solo se stessi, per non  essere non  riusciti a niente.

Ma vediamo alcune cose fatte da Renzi che, per la massa dei giornalisti, e dei sostenitori della sinistra a sinistra del Pd, non è di sinistra.

— Certo non è di sinistra aver colpito il caporalato.
— Non è di sinistra aver colpito gli ecoreati.
— Non è di sinistra aver fatto approvare il dopo di noi.
— Non è di sinistra aver costituito un fondo contro la povertà e per l’inclusione sociale.
— Non è di sinistra allargando il welfare ai di lavoratori di aziende sotto i 15 dipendenti dando loro diritti che non avevano.
— Non è di sinistra aver approvato uno Statuto del lavoro autonomo per proteggere dando diritti a chi non li aveva (tanti giovani).
— Non è di sinistra aver risolto tante crisi aziendali.
— Non è di sinistra aver salvato l’Ilva dal disastro e previsto anche tanti soldi per il risanamento ambientale.
— Non è di sinistra aver messo tanti soldi nel piano per le periferie e finanziando l’abbattimento delle vele di Scampia.
— Non è di sinistra aver finanziato la Bonifica della terra dei fuochi e quella di Bagnoli.
— Non è di sinistra aver finanziato un vero e proprio piano Marshall per il trasporto urbano, le ferrovie e le connessioni stradali (soprattutto al sud).Non sono di sinistra le Unioni civili.
— E naturalmente non è di sinistra essersi battuto in Europa contro la austerità, aver ottenuto una maggiore flessibilità ed oggi opporsi al rinnovo del Fiscal compact.
No, tutto questo non è di sinistra. Ma soprattutto non sarebbe di sinistra la riforma del lavoro fatta dal Governo Renzi, il famoso ed estraneo nome “Job Act”.

E allora cos’è di sinistra? Il tacchino sul tetto di Bersani, o la sua mucca nel corridoio?

Dimenticavo è di sinistra l’art.18.

A questo proposito sarebbe interessante chiedere ai giovani (lavoratori, precari o disoccupati) se conoscono questo sempre citato articolo 18, che cosa contenga e se sanno che fa parte dello Statuto del lavoratori approvato nel 1970.

Infine a quei politici che criticano così tanto Renzi, per la sua politica, bisognerebbe chiedere che cosa farebbero di diverso rispetto a quello che hanno fatto dal 1995 al 2014, periodo che ha portato in fallimento il paese. La spartizione consociativa del potere tra il Pd di D’Alema e Berlusconi, ha influito negativamente sul paese che, nel 1995 eccelleva per crescita di produttività, PIL, redditi medi e salari ed è finito nello stagno per 20 anni, senza investimenti e crescita, unico paese al mondo, mentre in tutti gli altri paesi avanzati PIL, redditi medi e salari crescevano del 30%.

NON VI COMPRENDIAMO


NON VI COMPRENDIAMO

Pisapia, per qualificarsi meglio e per descrivere ciò che lo distingue dal Pd, ha parlato di un “centrosinistra radicalmente innovativo”, che distinguerebbe lui, Grasso, Speranza e altri, da Renzi e il Pd. Di conseguenza, Renzi e il Pd, secondo loro, vorrebbero un centrosinistra “non radicale” o ” poco innovativo”.

La sinistra italiana ha questo vezzo che la rende antipatica: crede di avere il monopolio del cambiamento.

Ma non perché faccia, effettivamente, innovazioni o riforme. No. Solo perché le aggettiva: forti, radicali, straordinarie ecc.

Poi quali siano queste riforme che propone, quali siano i contenuti, i programmi che avanza, che cosa realmente abbiano di innovativo e in che cosa rappresentino un cambiamento reale, non è dato saperlo. In che cosa i programmi della sinistra radicale, che non ha fatto mai alcuna riforma, siano “radicalmente innovativi” rispetto alle riforme realizzate da Renzi e che hanno portato l’Italia fuori dalla crisi?

Lo sapete voi? Io no.

Pisapia sarà stato un buon sindaco o un moderno avvocato ma deve capire, insieme a tutta la sinistra, una cosa: in Europa e in Italia bisogna smetterla con gli aggettivi per qualificare i propri programmi.

Bisogna smetterla con questo vezzo di sinistra di sostituire, alle proposte concrete, gli aggettivi altisonanti per distinguersi dai riformisti liberali.

E’ pericoloso.

Se ci fermiamo agli aggettivi il populismo, anch’esso radicale a parole, vi strabatte. Per esempio, la pensata dei pentacosi del reddito di cittadinanza, attira molto di più la massa delle persone che pensa di poter incassare qualche soldino, stando seduto al bar, o facendo lavori in nero. Il lavoro non viene neppure più cercato, non serve, è lo stato fa loro la carità. Se poi ci vogliono miliardi per realizzare tutto ciò, nessuno ci pensa e nessuno fa veramente i conti. Nessuno entra nella realtà di questa proposta. Se Pisapia, Bersani e altri pensano di allearsi col m5s, per battere Renzi, hanno pensato a come risolvere questa cosa?

Nella situazione europea di oggi serve il contrario: dimostrare che sono possibili cambiamenti “tranquilli” e che vale molto di più la competenza di governo che il radicalismo a parole.

E’ il populismo il nemico da battere. E il populismo, quanto alla retorica degli aggettivi, batte chiunque.

Ora Pisapia e l’Mdp la smettano con la pretesa di distinguersi con gli aggettivi, astratti e altisonanti. Dicano, finalmente, quali sono concretamente le riforme che farebbero, in che cosa sono più “radicali” di quelle che Renzi ha fatto o propone di fare, e che cosa abbiano di così innovativo.

Io, per ora, ho capito soltanto che gli piacerebbe “ripristinare” l’articolo 18. Non proprio un’innovazione e tanto meno “radicale”.

E’ tempo dei riformisti. E i riformisti sono quelli che le riforme (possibili) le fanno. E non le risolvono in vuoti aggettivi, “radicali” a parole.

Le vere riforme, in questo paese, sono state fatte negli anni 70-80: (Per esempio) Divorzio, Aborto, Scuola, Statuto dei lavoratori. Queste sono riforme e non le ha fatte la sinistra.

Attendiamo da almeno vent’anni, da quando D’Alema ha preso il timone, scalzando Prodi, per esempio, una legge sul fine vita. Se ne discute e poi? Tutto rimane nel cassetto. Sarebbe una legge di civiltà enorme, ma anche la sinistra, quella che si definisce radicale, svicola da questo problema. Peccato, se l’affrontasse, e la appoggiasse convintamente tanto da farla approvare, quasi quasi ci farei un pensierino, quando vado a votare.

Basta qualche proposta concreta, sensata, non limitarsi a distinguersi con gli aggettivi. Parlate con la gente e non confrontatevi solo tra di voi. Non vi comprendiamo.

 

IL CAZZEGGIO DI BONANNI


IL CAZZEGGIO DI BONANNI

Ho avuto la malaugurata idea di ascoltare l’intervento di Bonanni, il segretario della Cisl, alla assemblea biennale di Confindustria tenutasi a Parma, recentemente.

Sono rimasta sgradevolmente colpita da un atteggiamento, a dir poco sconcertante, per un rappresentante dei lavoratori.

Non ha trovato di meglio, questo signore che attaccare pesantemente la Cgil, per raccogliere l’applauso più fragoroso dei rappresentanti della Confindustria.

Mi sono chiesta, ma chi rappresenta questo qui?.

Quali sono i lavoratori che si iscrivono a questo sindacato e quanti sono?

Da quanto ha detto da questo personaggio in cerca di applausi,  mi auguro che siano quattro gatti in tutto.

Poco prima di Bonanni aveva parla Sacconi, quel ministro che vuole azzerare l’art. 18, mettere l’arbitrato e scassare completamente lo “Statuto dei lavoratori”. Sacconi aveva precisato che il confronto sulla modifica dello statuto avverrà tra il governo ed i sindacati “responsabili”, mentre la Cgil, (che continua a non adeguarsi al pensiero unico  sui temi del lavoro e dei diritti), sarà costretta ai margini del confronto.

Nel suo attacco alla Cgil ed in particolare ad Epifani, Bonanni è stato chiaro, “Non è normale il comportamento di chi insiste sui vecchi riti e con un comportamento non consono con la situazione che stiamo vivendo”.

Oggi, quindi, sull’asse Sacconi-Bonanni  si gioca con l’arbitrato, per ora stoppato dal Presidente della Repubblica, come se la questione fosse riservata al governo ed ai sindacati “buoni”.

Alla Confindustria non è parso vero. Se anche un sindacalista appoggia lo scassatore del lavoro, merita lo spellamento delle mani dei presenti, a forza di applausi.

Certo è che se un sindacalista, responsabile di un sindacato nazionale, è pronto ad attaccare la più grande confederazione sindacale italiana, per dimostrare la propria credibilità all’establishment confindustriale, siamo proprio  arrivati al fondo.

E COSI’ DICIAMO ADDIO ANCHE ALL’ART.18


UN’ARROGANTE PROVOCAZIONE

E COSI’ DICIAMO ADDIO ANCHE ALL’ART.18

Con il voto del 3 marzo 2010, al Senato,  è stata approvata una legge sul lavoro, assai peggiore di quella del 2002, contro la quale scesero in piazza oltre 3.000.000 di lavoratori.

 Con questa legge,  è stato intaccato, alla base, uno dei piloni portanti dello statuto dei lavoratori, quel famoso articolo 18.

Una riforma sul lavoro, passata nella più totale indifferenza di tutti. Partiti, sindacati, associazioni. Silenzio.

La modifica sostanziale riguarda il licenziamento.

Con questa legge, che chiamerò, “Sacconi”, appena approvata, non è più necessaria la giusta causa, per licenziare e la eventuale contestazione viene affidata ad un “arbitrato”.

E’ stata tolta la possibilità di ricorrere al giudice.

Di conseguenza licenziare senza giusta causa ed affidare il giudizio ad un arbitro, anziché al giudice, praticamente, significa dare la possibilità di licenziare, semplicemente perché uno è antipatico, fa attività sindacale o mette al mondo figli.

Affidare, inoltre, la decisione del licenziamento ad un “arbitro”, è la manovra giusta per introdurre possibilità di corruzioni, corruttele, clientelismi, lavori retribuiti sotto costo e via dicendo.

Sacconi si è difeso dicendo che il ricorso all’arbitrato era stato previsto anche da Marco Biagi.

Non è vero, perché Biagi, non aveva previsto  che il singolo lavoratore accettasse un accordo, secondo il quale, nel proprio contratto di assunzione, si prevedesse il ricorso all’arbitrato,  per risolvere le controversie. 

In questo modo, al lavoratore gli si legano le mani subito, appena comincia a lavorare.

Quei 3.000.000 di lavoratori che, il 23 marzo del 2002, scesero in piazza (senza il concorso della CISL e della UIL che col loro “patto per l’Italia” avevano profondamente  indebolito il contrasto col governo), ora sono stranamente silenti, non hanno più parole.

Questo governo, che si vanta di non mettere le mani in tasca alla gente (non è vero neppure questo, perchè mentre non fa nulla per i lavoraratori, il fisco continua ad erodere salari e pensioni), manomette e compromette seriamente, tutti i diritti della gente. 

Con questa nuova legge, si vara una vera e propria “controriforma” del fondamento, che è alla base dello Statuto dei lavoratori e della successiva giurisprudenza sul lavoro.

Si riducono i diritti dei lavoratori per equiparare il diritto del lavoro al diritto commerciale, dove le parti sono considerate uguali. La Costituzione, invece, afferma con forza, che il lavoratore è la parte più debole, nel rapporto di lavoro e per questo va tutelato.

Sacconi, adesso, con questo testo, nel silenzio generale dell’informazione, sta vincendo quello che perdette nel 2002 e se ne sbatte dei lavoratori, dei loro diritti e del “famoso” difesissimo articolo 18.

Come dicono Cesare Damiano e Tiziano Treu, ex ministri del lavoro, “ la verità è che siamo di fronte ad un sistematico scardinamento del diritto del lavoro. Non c’è solo di mezzo la questione del licenziamento. L’introduzione del cosiddetto arbitrato di “equità”, apre la strada a interventi su molte altre questioni. Perché ogni “arbitro” può avere i suoi criteri di “equità”. E così può mutare gli assetti delle ferie, orari, norme di sicurezza, fino alla tutela dei licenziamenti ingiusti. E non è vero che sia tutto affidato alla contrattazione, come sostiene la CISL. Gran parte dei lavoratori, specie nelle aziende dove non c’è il sindacato (e sono tantissime), rimarranno soli e ricattabili. E’ la goccia che fa traboccare il vaso, viene dopo la cancellazione dei libri paga, matricole e presenza; dopo la cancellazione della responsabilità in caso di incidenti dei committenti nella catena degli appalti; dopo la reintroduzione del lavoro a chiamata e dello staff leasing; dopo la cancellazione  in sostanza del welfare del 2007, votato da Cgil, Cisl, Uil e da milioni di lavoratori”.

Bonanni e Angeletti non rispondono a queste argomentazioni e ad altre proposte da oltre 100 fra giuristi e studiosi del lavoro. In questa Italia questi due dirigono ciascuno un sindacato vassallo.  Accomodanti, convinti che l’attuale maggioranza sia invincibile, hanno abbassato le penne. Probabilmente, sono in attesa di un ambizioso incarico politico.

Questa operazione avviene, mentre migliaia di persone perdono il lavoro, a causa della crisi economica: da un lato, si perde il lavoro, dall’altro si rende più facile il licenziare.

E’ un’arrogante provocazione, una dittatura della maggioranza.

La modifica dello statuto dei lavoratori non è frutto di contrattazioni. Non sono state interpellate le associazioni dei lavoratori, non sono stati sentiti i sindacati, non si sono ascoltati i giuslavoristi. Sacconi ha fatto tutto da solo, la maggioranza ha approvato la legge, tutto sotto silenzio, nessuna contestazione. Come al solito, con la spregevole arroganza di una maggioranza che crede di poter trasformare la democrazia in una “dittatura della maggioranza”