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SERVE UN DISEGNINO?


SERVE UN DISEGNINO?

Ora c’è un orco aggressore, Putin.

Comanda da molto tempo una grande potenza nucleare cui la guerra fredda non basta più, è pronta ad espandersi, determinata, e lo fa senza ritegno, da anni, sfruttando la sonnacchiosa ignavia dei Paesi occidentali.

E forse proprio per questa ignavia l’orco si è fatto sempre più baldanzoso e ora procede a colpi di “operazioni militari speciali”, ovvero aggressioni ed invasioni di Paesi confinanti.

Da oltre due anni il mondo è costretto a sopportare un’azione aggressiva di espansione militare che non può essere camuffata da altro e di giorno in giorno si fanno sempre più nette le affinità con quello che avvenne in Europa nel 1938, quando Hitler, “il grande dittatore”, pretese di appropriarsi dei famosi Sudeti, ovvero un pezzo della Cecoslovacchia, né più né meno come fossero la Crimea o il Donbass oggi.

Le potenze occidentali nicchiarono, si ritrassero, nessuno voleva prendere di petto il minaccioso tiranno tedesco.

Non ravvisate le mostruose analogie?

Certo, tutti speriamo in un epilogo diverso, ma dimenticare questo passato recente è da pazzi incoscienti.

E allora, occorre che Europa si svegli seriamente e cerchi di prendere l’iniziativa, ben sapendo che senza fare nulla la conclusione è facilmente prevedibile.

Certo, fa impressione dover parlare di guerra 80 anni dopo. 

 E’ davvero un brutto discorso.

Fortunatamente, per ora è solo un discorso ma, se non vogliamo che la situazione precipiti, cerchiamo di convincerci che, se Putin vince e occupa l’Ucraina, non è solo l’Ucraina ad essere sconfitta, ma tutta l’Europa ed il mondo occidentale.

Come allora, sugli Stati Uniti non è detto che si possa contare, dovesse vincere l’altro orco Trump. Allora entrarono in guerra solo nel 1942, dopo Pearl Harbor: l’Inghilterra sostenne praticamente da sola il peso della resistenza per quasi due anni, mentre Hitler dilagava.

Oggi non sarà più come allora, ma sarà meglio tenere ben a mente che la democrazia, bene prezioso, certamente non si esporta; la democrazia si conquista, e dopo bisogna difenderla, ché democrazia e pace non sono affatto garantite per sempre.

La Storia può precipitare nel baratro in men che non si dica. Cerchiamo almeno di non dimenticare.

E’ tutto chiaro o serve un disegnino?

 

UN POSSIBILE DOPOGUERRA


UN POSSIBILE DOPOGUERRA

Il piano di pace russo: distruggere l’Ucraina.

Così finisce la guerra là, in quel paese bello e produttivo e ex libero che si chiama Ucraina, conquistato con la forza, e i pacifisti saranno soddisfatti.

Ma Putin non smetterà mai di provocare e di espandersi soprattutto in Europa, finché non avrà ricostruito tutto l’impero che fu dello Zar Nicola Primo, un impero che aveva raggiunto lo Zenit storico della sua espansione, pari a 20. 000.000 chilometri quadrati.

Il tutto con l’appoggio incondizionato, voluto da Dio in persona, del Patriarca Kiril (Cirillo), al quale Putin, furbo,  bacia sempre la mano.

Già, Cirillo, che rimanda ad un certo Cirillo Vescovo di Alessandria d’Egitto, che negli anni 390-410 circa fece trucidare, la più grande scienziata del suo tempo ( e forse del mondo) IPAZIA, servendosi di un lettore, un certo Pietro, che gridava le parole di Agostino d’Ippona (anche lui proclamato santo): la donna è immondizia, immondizia (forse Agostino si dimenticava della Madonna).

(Cirillo di Alessandria fu proclamato santo da Papa Pio XII nel 1944).

La Chiesa di Roma, comunque, manovrò re, principi e imperatori, per tenere a freno i suoi più acerrimi nemici che erano, il sapere, la conoscenza e soprattutto la scienza. E ci riuscì per oltre 1300 anni. 

Di questi tempi stanno tornando anni bui, se vince un Putin che si crede uno Zar, con l’aiuto incondizionato di un Kiril, patriarca di Mosca, l’Europa si scioglie come ghiaccio al sole.

E’ proprio vero che la storia insegna (o dovrebbe insegnare) ma non ha scolari.

 

COSA SUCCEDE NEI TERRITORI UCRAINI OCCUPATI CON LA FORZA DALLA RUSSIA DI PUTIN


COSA SUCCEDE NEI TERRITORI UCRAINI OCCUPATI CON LA FORZA DALLA RUSSIA DI PUTIN

Nei territori occupati è iniziato intanto un processo di russificazione forzata volto a consolidare la presenza russa.

Le notizie che arrivano da Kherson, Mariupol e Melitopol, le città più grandi finite sotto controllo russo, rimangono scarse per mancanza di accesso fisico e connessione.

Quello che sappiamo, però, ci dimostra come il principale obiettivo del Cremlino, ora, sia il consolidamento del proprio controllo, mettendo le basi per una possibile integrazione di questi territori nelle strutture della federazione russa.

Le autorità locali che si sono rifiutate di collaborare sono state sostituite dall’amministrazione pro-russa, composta spesso da personaggi di terzo piano e sconosciuti a livello locale.

Secondo quanto riportano le autorità ucraine, continua anche il processo di detenzione di massa di attivisti e uomini d’affari locali, sospettati di mancanza di fedeltà verso la Russia.

Un clima di terrore accompagnato dalla russificazione forzata, economica e mediatica.

In tutte le regioni occupate, il rublo è stato introdotto come moneta locale e, mentre gli operatori telefonici ucraini continuano a non funzionare, i media russi sono ora praticamente l’unico mezzo d’informazione.

A Mariupol, per esempio, testimoni raccontano di scene che sembrano tratte da un episodio di Black Mirror, con schemi installati su furgoni che girano per la città distrutta, trasmettendo canali federali russi.

Nelle ultime settimane è accelerato anche il processo di ‘passaportizzazione’, dopo che, a fine maggio, il presidente russo aveva firmato un decreto permettendo di concedere con procedura accelerata il passaporto ai residenti delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia.

Sui canali Telegram di propaganda russa, girano, ormai da giorni, video di lunghe file fuori dagli uffici dell’amministrazione locale.

Un altro segnale inequivocabile degli intenti del Cremlino è, infine, l’inizio del processo di ricostruzione in alcuni dei territori occupati.

Come riporta The Moscow Times, nelle regioni russe più depresse sarebbero apparse una serie di ‘offerte di lavoro’ che promettono salari fuori mercato a coloro che sono disposti a spostarsi in Donbass per contribuire alla ricostruzione. Il tutto condito dai video di propaganda dell’inizio dei lavori a Mariupol.

Un processo questo che non ha atteso la fine delle ostilità, sottolineando ulteriormente i piani a lungo termine e l’arrogante sicurezza del Cremlino che i territori occupati sono destinati a rimanere sotto il controllo di Mosca.

Nonostante la propaganda e la violenza, però, quello della russificazione forzata non sarà un processo facile e lineare.

Se c’è una cosa che questa insensata guerra ha davvero raggiunto, infatti, è il consolidamento della società e dell’identità ucraina.

Secondo alcuni sondaggi, ad esempio, l’invasione russa ha contribuito a diluire le differenze regionali e linguistiche sui temi storicamente più divisivi, come la percezione della “Russia come un paese ostile e minaccioso”, l’integrazione UE e adesione alla NATO.

Altre immagini, anche più annedotiche, ci mostrano una rivitalizzazione della lingua con un crescente numero di persone russofone che, dopo l’inizio dell’invasione, hanno deciso di utilizzare e studiare l’ucraino.

Un processo, quello di consolidamento di un’identità civica e di crescente autoidentificazione con lo stato ucraino, già in moto da anni.

Numerosi studi, infatti, parlano già da tempo di un lento processo di ucrainizzazione e di crescente disgiunzione tra autoidentificazione etnica e pratiche linguistiche. In altre parole, parlare russo in Ucraina non esclude, tutt’altro, l’appartenenza a un’identità ucraina. Un processo che sembra ora ulteriormente accelerato dalla guerra.

Proprio per questo non dovrebbe sorprendere che anche nelle regioni con una forte minoranza di russofoni, l’invasione russa si è scontrata con una resistenza di massa e, forse ancora più sorprendentemente, dell’élite locale.

Anche personalità che erano comunemente considerate filo-russe, come i sindaci di Kharkiv e Odessa, hanno rifiutato di collaborare con l’invasore garantendo lealtà al governo centrale e mantenendo il controllo sulle forze dell’ordine e istituzioni locali.

Un percorso certamente non senza problemi e ostacoli.

La recente decisione del governo di proibire 11 partiti – tra cui il principale partito di opposizione – per i presunti legami con la Russia, potrebbe diventare un elemento divisivo e problematico. Ma di questo, probabilmente, si tornerà a parlare una volta finita la guerra. Cosa che sembra ancora molto lontana.

(Oleksiv Bondarenko)

[Oleksiv Bondarenko. Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso].

I RUSSI


I RUSSI

Non sanno più come dircelo, i russi.

Che ci odiano.

Che ci disprezzano.

Che considerano i nostri valori degenerati.

Che siamo il nemico da combattere ed annientare.

Che è una questione di o noi o loro. Una radicale e insanabile contrapposizione che solo la guerra può risolvere, secondo loro.

E per di più ci sputano in faccia.

Subiamo il loro ricatto.

Intanto i russi proseguono a massacrare le vite, le case, le scuole, i luoghi di cultura degli ucraini, li derubano di tutto, li deportano, rapiscono i loro figli.

Siamo a un passo dall’inginocchiarci e chiedere perdono, perché ormai abbiamo stabilito che è colpa nostra.

Di tutto.

Abbiamo un Papa che ha parlato dell’abbaiare della Nato ai confini russi, così, senza vergogna, senza che nessuno osasse aprir bocca e chiedere se almeno fosse consapevole dell’enormità di una simile affermazione.

Abbiamo Macron che twitta commosso in ricordo del D-day e dei valori fondanti di democrazia e libertà e intanto, per quattro miseri voti da raccattare in campagna elettorale, ci dice che Putin non va umiliato, perché democrazia e libertà, a quanto pare anche per Macron, si sono fermate sulla spiaggia della Normandia.

Abbiamo i tedeschi che son tre mesi che traccheggiano, promettono, deliberano, ma intanto dei loro aiuti non c’è traccia, e stanno alla finestra sperando che gli ucraini si schiantino e non si debba prendere posizione, contro un regime, con il quale son stati fatti cospicui accordi che nessuno vuole rinnegare.

Abbiamo il circo dei matti italiano, che va persino in trasferta sulla Piazza Rossa, per farsi meglio umiliare da una propagandista di mezza tacca, quando è sobria, e che comunque in patria dà il meglio di sé.

Abbiamo Conte che dice che l’Ucraina è stata aiutata abbastanza e ora si deve smettere. Chissà qual sia il parametro per stabilire quando è abbastanza aiutare un popolo aggredito e massacrato. Boh? Lo sa Conte o non sa di che cosa parla?

Abbiamo Salvini che ormai delira come un Osho di periferia, o un mago Otelma, in piena crisi mistica.

Abbiamo anche Letta, persino lui, che fin qui almeno aveva tenuto il punto, tuttavia ci ha ammannito la lezioncina sulla “pace ingiusta” che è meglio di nulla.

La verità è che non crediamo più a niente.

Presi dalle nostre vite ormai solo di pancia, dove l’unica preoccupazione è stabilire chi è l’offeso o l’offesa del giorno, perché grasso, perché magro, perché alto, perché basso, non ci rendiamo neppure conto che siamo gli epigoni di noi stessi.

Di un mondo dove siamo nati e che abbiamo seppellito sotto cumuli di ineffabili minchiate, per tragica mancanza di risorse intellettuali.

Siamo gli stessi che hanno visto cadere il muro di Berlino e di fronte all’opportunità immensa di costruire un’Europa migliore, siamo finiti a mendicare le briciole del violento di turno.

Dio abbia pietà degli ucraini, perché noi li abbiamo già venduti per una manciata di voti e un seggio in parlamento.

 

DEMOCRAZIA E TOTALITARISMO


DEMOCRAZIA E TOTALITARISMO

A tutti gli amanti e simpatizzanti della Russia di Putin e di altri Paesi totalitari, pongo una semplice questione.

Non entro, nella disputa della guerra all’Ucraina scatenata da Putin.

Faccio solo una brevissima riflessione su democrazia e totalitarismo.

Ci si è mai chiesti perché oligarchi russi prediligano acquistare grandi e lussuose proprietà in Occidente?

O perché Putin abbia spedito, per sicurezza e tranquillità, mogli e figli nei Paesi democratici anche per studiare ed istruirsi in prestigiose Università Occidentali?

Perché nessuna personalità di rilievo dei Paesi occidentali non manda i propri figli a studiare, in Russia?

Perché  nessun personaggio importante, ricco e residente in un paese occidentale, non acquista grandi proprietà per soggiornare nella grande Russia. Ci sarebbe la possibilità di fare dei campi da golf favolosi.

Come mai la Russia attrae così poco nel mondo?

Ecco, sono domande che meritano una risposta, per poi trarne le conseguenze.

LA PACE


LA PACE

Non raccontiamoci storie.

La realtà è che è stata la resistenza di uomini e donne ucraini che ha cambiato tutto.

Senza quella resistenza né Biden né gli europei avrebbero mosso un dito.

E non sarebbero bastati gli sforzi fatti dalla Nato per rafforzare l’esercito ucraino prima e dopo l’invasione della Crimea del 2014.

Il fatto che gli ucraini abbiano deciso di combattere e abbiano dimostrato di saperlo fare, rovinando la festa a Putin, ha dato la sveglia agli occidentali, li ha costretti a sostenerli.

E oggi li costringe a prendere atto che la Pace va “sorvegliata”.

Alla fine, una domanda: “La sfacciataggine degli ucraini di difendersi e addirittura di chiedere aiuto all’America e ai paesi europei della Nato, ha reso questi ultimi corresponsabili della guerra, più di chi l’ha cominciata”?

 

CORRUZIONE


CORRUZIONE

L’Italia è un paese con tasso di corruzione accertato.

Persino a basso livello, bustarelle e bustarelline più o meno sostanziose sappiamo che passano di mano.

A questo si può aggiungere il disperato bisogno di finanziamento di partiti e movimenti.

Bustarelle e finanziamenti girano in ogni luogo e presso ogni categoria.

Possiamo escludere che Putin e i suoi oligarghi stracarichi di miliardi e miliardi, accumulati alle spalle del popolo russo, non abbiano disseminato di bustarelle il nostro corrotto paese?

Se tanto mi dà tanto, commettiamo errore a pensare che Putin abbia finanziato opinionisti, professori, conduttori televisivi, giornalisti, politici, sindacalisti vari, partiti e movimenti a scopo di sostenere la sua causa?

Pertanto, se mettiamo insieme organizzazioni e personaggi corrotti da Putin e gli ideologi nostalgici dell’URSS e gli odiatori a prescindere dell’Occidente, vien fuori una miscela esplosiva, pronta a svendere tutte le libertà dei popoli.

E il povero Papa Bergoglio, vero pacifista, si viene a trovare strumentalizzato da tutti questi personaggi e oltraggiato da ortodossi, alcuni finti cristiani, che sotto la tonaca portano il mitra.

LA NATO


LA NATO

L’ingresso dei paesi dell’ex Patto di Varsavia nella NATO, iniziato con Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nel 1999, fu preceduto dalla firma del NATO-Russia Founding Act il 27 maggio 1997 a Parigi.

Con quell’atto la Russia prendeva atto dell’ingresso dei nuovi membri NATO e l’Alleanza Atlantica escludeva lo schieramento permanente di forze armate NATO e l’installazione di armamenti offensivi, come missili con testate nucleari, nei nuovi territori.

Esclusione che è ancora oggi rispettata dall’occidente, che ha installato solo missili intercettori, dunque difensivi a corto raggio, sui quali non è tecnicamente possibile istallare testate nucleari.

Infatti nel 2002, a Pratica di Mare, la Russia entra a far parte del G20, il gruppo mondiale “di testa”, dove avrebbe potuto confrontarsi da pari a pari con le altre potenze mondiali e definire un nuovo modello multipolare che tutti dicevano di voler realizzare.

Nel 1989 le truppe NATO in Europa erano circa 315.000. Dopo la dissoluzione dell’Urss ci fu una drastica riduzione fino ad arrivare, nel 2014 con l’annessione russa della Crimea, a circa 100.000 soldati dei quali 64.000 americani.

Nel 2021, mentre Putin incolpava la NATO di espandersi a Est, i soldati NATO erano oltre quattro volte meno rispetto al picco nella guerra fredda (430.643 nel 1957), smentendo di fatto le accuse russe e cinesi.

Dopo che Putin, con la guerra della Russia all’Ucraina, ha stracciato gli accordi del ‘97, la NATO ha schierato ulteriori quattro, così detti, gruppi tattici multinazionali, cioè quattro battaglioni con 1000 soldati ognuno nei tre paesi Baltici e in Polonia, arrivando al totale attuale di 101.000 soldati sotto il comando NATO.

Non esistono missili con testate nucleari o convenzionali istallati, su basi fisse o mobili, nei paesi dell’ex blocco sovietico ammessi nella Nato. Quindi il timore russo di vedere schierati in prossimità dei propri confini sistemi che costituissero una minaccia diretta al proprio territorio e alle proprie città, non si è mai materializzato, né allora, né oggi.

La natura difensiva della NATO in Europa è testimoniata dalla qualità e quantità del suo dispositivo militare, ben noto all’intelligence Russa, e confermato dall’estrema prudenza che sta praticando oggi, per non entrare a diretto contatto con la Russia.

Al contrario, dal 2013 la Russia ha schierato, da Kaliningrad e lungo tutti i confini dell’UE, missili con portata minima di 500 km, con testate sia convenzionali che nucleari. Missili termobarici a velocità ipersonica, finiti di istallare nel 2018, che possono raggiungere qualunque città dell’UE in pochi minuti.

Putin, mentre firmava gli accordi del 2002 a Pratica di Mare, aveva in progetto un’altra strategia. Che annuncia a Monaco il 10 febbraio del 2007, sulla base delle idee revanchiste e nazionaliste di Alexandr Dugin.

La sollecitazione di Zelensky, eletto nel 2019, di entrare nella NATO sulla base di una domanda avanzata dal governo e dal Parlamento ucraino nel 2008, è assai comprensibile viste le minacce di Putin dal 2007 al 2011. Concretizzate nel 2014 con l’annessione della Crimea e l’intervento di contractor russi nel Donbas.

Ma la richiesta non poteva essere accolta perché il regolamento NATO vieta l’adesione da parte di paesi belligeranti. Per non “ereditare” conflitti in atto. La risposta della Nato fu laconica, diplomatica e temporeggiatrice. Un atteggiamento noto sia all’Ucraina che a Putin.

Cadono con questo sia il pretesto di Putin di rispondere ad una provocazione NATO, sia la fake news filorussa secondo la quale gli USA avrebbero spinto Zelensky a provocare la Russia assicurandogli l’ingresso nella NATO per poi lasciarlo scoperto. Sono note le dichiarazioni ufficiali del Dipartimento di Stato USA, ripetute negli anni e fino a pochi giorni prima dell’aggressione, che anche se si fosse trovato il modo di aggirare il regolamento Nato, l’ingresso dell’Ucraina si sarebbe concretizzato non prima di venti anni.

Non si può imputare a Zelensky la responsabilità della guerra per le continue e pressanti richieste di aiuto militare all’occidente. Chiunque fosse sotto l’attacco ingiustificato, massiccio e brutale cui è sottoposta l’Ucraina, farebbe altrettanto. È ripugnante descrivere Zelensky come il massacratore del suo popolo per rendere un servizio agli USA.

Impressiona, viceversa, il cinismo di chi, nascondendosi dietro la parola Pace, giustifica la guerra di Putin fornendo ogni giorno interpretazioni politiche e narrazioni storiche che furono usate per “comprendere” le ragioni dell’attacco di Hitler alla Polonia e l’inizio della seconda guerra mondiale. La frustrazione della Germania nazista come quella della Russia di Putin vessata dall’occidente. I conti tornano?

Il pensiero di una resa dell’Ucraina alla prepotenza russa può fare comodo, temporaneamente, a noi spaventati, ma una pacificazione violenta, senza giustizia, non sarebbe mai accettata non dal governo, ma dal popolo ucraino che resiste agli aggressori russi. Pace in cambio di libertà?

Si se si pensa che l’occidente sia schiavitù e Putin sia liberazione, che l’Ucraina sia nazista e Putin l’erede del comunismo patriottico certo che sì. Ma ditelo chiaramente, senza sporcare la parola Pace.

[Nicola Taruffi]

Le insidie del pacifismo neutralista


Le insidie del pacifismo neutralista

Vasti settori della sinistra, del sindacalismo e del mondo cattolico, pur condannando con sfumature diverse il brutale intervento russo in Ucraina, si collocano in una posizione neutralista, nella convinzione che solo la diplomazia possa condurre a una cessazione delle ostilità. In tale quadro ogni aiuto militare all’Ucraina viene considerato un ostacolo alla causa della pace. Si rischia così, richiamandosi a un generico irenismo, di porre sullo stesso piano, pur di condannare la guerra, un esercito che invade e un esercito che dall’invasione si difende. L’invio di armi agli ucraini da parte dell’Italia non è in conflitto con la Costituzione, in quanto, come ha precisato il presidente della Consulta, Giuliano Amato, non si tratta in questo caso di una guerra offensiva. E’ quantomeno singolare che chi, come l’Anpi, pretende di rappresentare i valori della Resistenza, non senta la necessità di essere concretamente a fianco di un popolo che è vittima di una aggressione. La via diplomatica, da tutti auspicata, non sembra facilmente percorribile ed è necessario agire nell’immediato, avendo consapevolezza che il neutralismo condannerebbe gli ucraini a una resa senza condizioni. Non si possono non riconoscere, nelle diverse forme di neutralismo e di equidistanza, umori antiamericani, anti Nato, in senso lato antioccidentali, che serpeggiano tanto a sinistra quanto a destra. Si fa fatica poi a comprendere come i leghisti, fautori della legittima difesa in ogni sua forma, siano così restii ad aiutare militarmente un popolo che difende quei confini nazionali di cui il sovranismo esalta la sacralità.
L’estensione verso Est della Nato, che avrebbe ignorato gli impegni americani riguardo al contenimento dell’influenza occidentale nell’Europa dell’Est dopo il 1989, viene spesso considerata come il fattore scatenante del conflitto in atto. L’adesione alla Nato da parte dell’Ucraina non era all’ordine del giorno, in quanto Francia e Germania temevano che la sua instabilità politica, legata alle vicende della Crimea e del Donbass, rappresentasse un serio problema per l’Alleanza e per l’UE. Tutto ciò era ben noto alla diplomazia russa. La lunghezza delle procedure e le cautele avanzate da Francia e Germania avrebbero dovuto costituire sufficienti garanzie per Putin e fugare i suoi timori.
Se la comprensione delle “ragioni” di Putin può essere utile per una riflessione critica, non può tradursi, come alcuni sostengono, in una giustificazione della sua “operazione militare speciale”. E’ noto che John Maynard Keynes, che faceva parte della delegazione inglese alla Conferenza di Versailles, si dimise dall’incarico, manifestando tutto il suo dissenso nei confronti delle clausole punitive imposte alla Germania. Quella “pace” avrebbe infatti alimentato, a suo avviso, un forte risentimento, che si sarebbe poi tradotto in un populismo revanscista, come in realtà accadde. Queste considerazioni, presenti nel dibattito storiografico, non possono naturalmente giustificare le scelte del Terzo Reich.
Nel 1939, ad essere messa sotto accusa fu infatti la politica di appeasement di Neville Chamberlain e Edouard Daladier, che aveva consentito a Hitler di esercitare indisturbato la sua politica aggressiva.
Dopo la II Guerra l’URSS ha imposto nell’Europa orientale un modello politico che è stato difeso con un capillare apparato poliziesco e in alcuni casi, come a Berlino, a Budapest, a Praga, con duri interventi militari. La fine del comunismo ha lasciato emergere, all’Est, l’esigenza di tutelarsi dall’imperialismo russo nella sua declinazione postsovietica, come dimostra la scelta di Vàclav Havel, che nel 1999 chiese l’adesione della Repubblica Ceca alla Nato, ritenendo che ciò costituisse una garanzia per l’indipendenza del suo Paese. Da questo sentire non erano lontani i comunisti italiani, come dimostra la celebre intervista, pubblicata sul Corriere della sera del 15 giugno 1976, in cui Enrico Berlinguer dichiarava a Giampaolo Pansa di sentirsi più al sicuro nella Nato che nel Patto di Varsavia. Pensava infatti che, non appartenendo al Patto di Varsavia, l’Italia, pur in presenza di oggettive difficoltà, potesse procedere “lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento”. E’ comprensibile dunque che i Paesi dell’ex blocco socialista vedano oggi nell’UE e nella Nato una sicura tutela della loro sovranità.
Se è probabilmente infondato il timore che in Ucraina potessero venire installati missili diretti verso il suolo russo, è certo che a Kalinigrad, la Königsberg di Kant (una enclave russa in Polonia), si trovano missili diretti verso la Polonia, le Repubbliche baltiche e la Scandinavia. In un suo recente discorso Putin ha sostenuto che l’Ucraina ha perso la sua sovranità, divenendo “serva dei padroni occidentali” e lasciandosi guidare da oligarchi intenti solo ai loro affari, interessati a separarsi dalla Russia. Ha poi affermato che “non è mai stata un vero Paese”, in quanto è parte integrante della Russia, da cui sarebbe stata allontanata da una “ondata di nazismo e nazionalismo”. La Russia, dovrebbe così reintegrare nella sua unità organica un Paese traviato dalle tentazioni dell’Occidente e da forme di nazionalismo dalle tinte nazifasciste. Tendenze, queste, ben presenti, in realtà, proprio nelle argomentazioni putiniane, che pretendono di indicare la retta via a uno stato sovrano che ha democraticamente eletto i suoi governanti e che autonomamente vuole definire le linee della sua politica estera. I massacri della popolazione civile divengono una forma di ricatto nei confronti del governo ucraino, come dire che solo una resa potrebbe farli cessare.
Condannare Putin, senza rinunciare a soluzioni diplomatiche che rispettino la sovranità dell’Ucraina, può consentire anche di entrare in dialogo con le forme di dissenso che in Russia emergono nei settori più critici e sensibili della popolazione. L’inasprimento delle sanzioni comporterà certamente dei sacrifici economici non solo per i russi, ma anche per l’Occidente. Potrebbe contribuire però a far crescere l’opposizione popolare verso Putin.
Le testimonianze di questi giorni lasciano pochi dubbi sulle atrocità che il popolo ucraino sta subendo e risulta difficile confrontarsi con chi non riesce a condannare chiaramente la barbarie delle truppe russe e, ancor più, con chi, come Carlo Freccero, pensa che siamo di fronte a una fiction, osservando gli orrori della guerra con le lenti deformanti della società dello spettacolo. La città martire di Bucha rientra in un’area fortemente segnata dalla guerra, come testimonia Katyn. Nell’aprile del 1940, 82 anni fa, nella foresta di Katyn, vennero fucilati dai sovietici circa 20.000 ufficiali polacchi, con la precisa intenzione di eliminare una parte significativa della classe dirigente del Paese. I tedeschi scoprirono in seguito le fosse comuni e attribuirono a Stalin la responsabilità del massacro. Nel 1943 istituirono una commissione d’inchiesta internazionale, presieduta dallo svizzero Francois Naville, di cui faceva parte Vincenzo Paolo Palmieri, docente di medicina legale all’Università di Napoli. La commissione giunse alla conclusione, all’unanimità, che la strage fosse stata compiuta dai russi. Nel corso del processo di Norimberga Roman Rudenko, procuratore generale sovietico, fece prevalere la tesi secondo cui gli ufficiali polacchi fossero stati giustiziati dai nazisti, approfittando anche del fatto che gli Alleati non intendevano indagare ulteriormente per non incrinare il rapporto con l’URSS, come ammise lo stesso Churchill. La Casa Bianca e il Dipartimento di Stato preferirono in seguito non riaprire la questione, anche se una commissione nominata dal Congresso aveva individuato nei sovietici i responsabili della strage.
Dopo Norimberga, i partiti comunisti si attivarono per delegittimare, sia sul piano scientifico sia sul piano personale, gli scienziati che avevano sottoscritto all’unanimità la relazione del 1943. I comunisti svizzeri accusarono di collaborazionismo Naville, chiedendo, senza riuscirci, che fosse destituito dalla cattedra. In Italia si scatenò una campagna denigratoria nei confronti di Palmieri, animata in particolare da Mario Alicata. Palmieri fu posto sotto controllo, a tal punto che, come scrive Viktor Zaslavsky (a cui si deve una puntuale ricostruzione dell’intera vicenda), Eugenio Reale, nel gennaio del 1948, sentiva il dovere di informare l’ambasciata sovietica che il “servo della propaganda di Goebbels Palmieri” aveva tenuto una conferenza. I docenti dell’Università di Napoli proposero il suo allontanamento, che non fu accettato grazie al parere contrario del rettore Adolfo Omodeo. Palmieri decise infine di mettere al sicuro la sua relazione su Katyn che, conservata in una scatola di scarpe impermeabilizzata, venne sotterrata in un suo podere nei pressi di Cassino. Solo nel 1990 una commissione sovietica riconobbe che il massacro era stato compiuto dall’NKVD. La vicenda divenne ancora più chiara, nella sua atrocità, quando Elstin, nel 1992, rese pubblici i documenti, firmati da Stalin e da Berija, in cui era evidente come tutto fosse stato puntualmente pianificato.
Si prova un grande disagio nell’apprendere che l’Anpi avverta l’esigenza di nominare una commissione d’inchiesta per individuare gli autori del massacro di Bucha. Ci troviamo dinnanzi a fosse comuni e a corpi dilaniati che non sono stati rinvenuti dopo anni, come è avvenuto a Katyn, dove si sono rese necessarie accurate indagini medico-legali per accertare la verità. Le responsabilità dell’esercito russo sono in questo caso immediatamente verificabili, anche se vengono negate da quanti, come il ministro degli esteri Sergej Lavrov, ritengono che si tratti di una messa in scena degli americani e della Nato.

Elio Cappuccio

È Presidente del collegio di Filosofia siciliano. Insegna Filosofia moderna e contemporanea all’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Metodio. Ha curato, tra l’altro, la raccolta di saggi “Duchamp dopo Duchamp” (Tema Celeste edizioni, 1993) e la postfazione a Jacques Derrida, “Tentazione di Siracusa” (Mimesis, 2018).

HAI MESSO IN TASCA I SEMI DI GIRASOLE


HAI MESSO IN TASCA I SEMI DI GIRASOLE

Hai messo in tasca i semi di girasole

recapitati al Cremlino dalle madri di Kiev?

 

Quando sarai sottoterra

cresceranno fino a somigliarti,

faccia da portiere di notte,

scacchista sul pezzo,

faccia tonda chiusa a chiave.

 

Hai distrutto in poche mosse

acqua pura e carta igienica

in Ucraina, in ogni anima.

L’uso del buonsenso e del metrò

messi al muro con la luce del giorno,

l’Orco che bussa a colpi di mortaio,

la saga di Ras-Putin,

trancio extra in coda al Covid:

chissà quando tutto questo

uscirà dal cuore dei bambini, di noi tutti?

 

Cosa cercano i rostri dell’aquila bicipite

e i cingoli dei tuoi insetti metallici?

 

Cosa diranno non Google, Gogol’

e il Dostoevskij di Delitto e castigo?

 

Il girone dei tiranni

è un Inferno di pulci nell’orecchio,

un frastuono di sirene e campane,

le campane di tutta la Russia.

 

La Storia ha scritto in fronte

che i confini sono soldi bucati

e il potere un podio di ghiaccio.

 

Nasci come scheggia di Muro di Berlino,

fare lo zar col mondo non è un buon piano.

 

(Brevi note per Putin di Ennio Cavalli)

 

****Questo è Putin e questo rimarrà nella storia: una scheggia del muro di Berlino****