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SERVE UN DISEGNINO?


SERVE UN DISEGNINO?

Ora c’è un orco aggressore, Putin.

Comanda da molto tempo una grande potenza nucleare cui la guerra fredda non basta più, è pronta ad espandersi, determinata, e lo fa senza ritegno, da anni, sfruttando la sonnacchiosa ignavia dei Paesi occidentali.

E forse proprio per questa ignavia l’orco si è fatto sempre più baldanzoso e ora procede a colpi di “operazioni militari speciali”, ovvero aggressioni ed invasioni di Paesi confinanti.

Da oltre due anni il mondo è costretto a sopportare un’azione aggressiva di espansione militare che non può essere camuffata da altro e di giorno in giorno si fanno sempre più nette le affinità con quello che avvenne in Europa nel 1938, quando Hitler, “il grande dittatore”, pretese di appropriarsi dei famosi Sudeti, ovvero un pezzo della Cecoslovacchia, né più né meno come fossero la Crimea o il Donbass oggi.

Le potenze occidentali nicchiarono, si ritrassero, nessuno voleva prendere di petto il minaccioso tiranno tedesco.

Non ravvisate le mostruose analogie?

Certo, tutti speriamo in un epilogo diverso, ma dimenticare questo passato recente è da pazzi incoscienti.

E allora, occorre che Europa si svegli seriamente e cerchi di prendere l’iniziativa, ben sapendo che senza fare nulla la conclusione è facilmente prevedibile.

Certo, fa impressione dover parlare di guerra 80 anni dopo. 

 E’ davvero un brutto discorso.

Fortunatamente, per ora è solo un discorso ma, se non vogliamo che la situazione precipiti, cerchiamo di convincerci che, se Putin vince e occupa l’Ucraina, non è solo l’Ucraina ad essere sconfitta, ma tutta l’Europa ed il mondo occidentale.

Come allora, sugli Stati Uniti non è detto che si possa contare, dovesse vincere l’altro orco Trump. Allora entrarono in guerra solo nel 1942, dopo Pearl Harbor: l’Inghilterra sostenne praticamente da sola il peso della resistenza per quasi due anni, mentre Hitler dilagava.

Oggi non sarà più come allora, ma sarà meglio tenere ben a mente che la democrazia, bene prezioso, certamente non si esporta; la democrazia si conquista, e dopo bisogna difenderla, ché democrazia e pace non sono affatto garantite per sempre.

La Storia può precipitare nel baratro in men che non si dica. Cerchiamo almeno di non dimenticare.

E’ tutto chiaro o serve un disegnino?

 

PIERO GOBETTI


PIERO GOBETTI

«Era un giovane alto e sottile, disdegnava l’eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte»

(Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960)

«Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell’opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio.»

(Piero Gobetti, lettera a Ada Prospero, 1920)

Nel maggio del 1924 Gobetti si reca in Francia a Parigi, e poi in Sicilia, a Palermo, per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di nozze.

I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, il 1º giugno,  Mussolini telegrafa al prefetto di Torino, Enrico Palmieri: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo».

 Il prefetto obbedisce e, il 9 giugno, Gobetti viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all’estero per organizzare le forze antifasciste.

Muore, a 25 anni,  alla mezzanotte del 15 febbraio del 1926,  a seguito delle percosse subite . 

E’ sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.

REMARE ANCORA CONTRO LA VERITÀ


REMARE ANCORA CONTRO LA VERITÀ

Quando uno Stato ammazza la sua Gente …e dopo 43 anni rema ancora contro la verità…!

Povero e martoriato paese.

Il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, fu compiuta una strage fascista, vigliacca, come ha ribadito il Presidente della Repubblica Mattarella.

Fascista, nera, come il governo a Palazzo Chigi, adesso.

Incredibile eppure ci succede anche questo.

85 morti innocenti non sono bastati (di cui sbiadisce la memoria), ma i fascisti ora comandano e impongono le loro idee, come un tempo.

Come se nulla fosse successo.

 

“DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA, DIFENDIAMO LA COSTITUZIONE”


“DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA, DIFENDIAMO LA COSTITUZIONE”

A voi mi presento
sono il documento,
il monumento dell’Italia unita
da vent’anni di violenze uscita
e dalla guerra lacera e ferita,
che con me ha iniziato una nuova vita.

2 giugno ’46: il popolo italiano
vota per la Repubblica,
non vuole più un sovrano,
diritti che vegliano la storia di ognuno
e che preferenze non fanno a nessuno.
Violarli vuol dire tradire davvero
il patto che lega un popolo intero.

Il patto che viene dai nonni-coraggio
che hanno lottato per farcene omaggio.

Anche tu hai il compito di far da guardiano
perché questo bene non ci sfugga di mano.

Diritto alla vita.
Diritto al nome.
Diritto ad esprimere la nostra opinione.
Diritto a esser liberi, mai sfruttati.
Diritto al rispetto, mai offesi e umiliati.

La legge è uguale per tutti,
la legge non fa differenza,
la legge non guarda le tasche,
la legge non ha preferiti,
non chiede opinioni o credenze
ci guarda attraverso i vestiti.
Lo Stato siamo noi cittadini
e allora davanti alla legge saremo
più uguali e vicini.

Servono braccia, menti, passione
serve l’impegno di tante persone.
Siamo immigrati, siamo italiani, siamo buddisti,
laici o cristiani,
eppure c’è chi lavoro non trova,
c’è chi lo perde,
chi è solo in prova.

Ogni persona, ogni uomo, ogni donna,
quando lavora si sente colonna
di questa grande casa stivale:
tetto sui monti, porte sul mare.

La scuola è aperta a tutte le menti,
anche se tutte son differenti.
La scuola è libera come il sapere
ed è una sorgente, dà a tutti da bere.

Corriamo dal dottore perché ci curi il male,
se questo non basta corriamo all’ospedale.
Sani, malati, deboli, si cambia all’improvviso.
Dobbiamo avere tutti un medico e un sorriso.

Libera carta per libero stato,
l’ha chiesta un popolo che ha tanto lottato.

L’Italia ripudia la guerra, perché la guerra
è un mostro che mangia la libertà degli uomini
e copre i colori di nero inchiostro.
L’Italia vuole la pace.
L’Italia ripudia la guerra.
L’Italia vuole aiutare a fare la pace su tutta la terra.
L’Italia vuole la pace perché la pace è un seme
che cresce solo se gli uomini imparano a vivere insieme.

 

 

JACK PALANCE


JACK PALANCE

SONO UCRAINO, NON RUSSO!”, ha dichiarato l’85enne attore americano Jack Palance, rifiutando un premio russo.

Il famoso attore hollywoodiano Jack Palance è nato il 18 febbraio 1919 a Latimer Mines (Pennsylvania, USA) dalla famiglia Palahniuk di immigrati ucraini. I suoi genitori lo chiamarono Volodymyr, e in seguito sarebbe diventato Jack Palance. Suo padre proveniva dal villaggio di Ivané-Zolote, nella regione di Ternopil, mentre sua madre era originaria della regione di Leopoli.

Jack divenne l’incarnazione del sogno americano, quello che richiede un duro lavoro su se stessi, ma che permette di diventare chi si vuole. Ha creato se stesso: ha lavorato in una miniera di carbone ed è stato un pugile professionista (il suo soprannome sportivo è Jack Brazzo). Raggiunse risultati significativi nello sport: batté il record di vittorie ininterrotte, la maggior parte delle quali si conclusero con un KO.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Jack terminò la sua carriera di pugile e si arruolò nell’aeronautica militare statunitense. Durante uno dei suoi voli di addestramento su un bombardiere B-24, il suo aereo prese improvvisamente fuoco. Jack sopravvisse, ma il suo volto rimase sfigurato in modo irriconoscibile. Dopo molti mesi di cure, diversi interventi di chirurgia plastica e innesti di pelle, il suo volto presentava ancora cicatrici. Ma queste non faranno che accrescere l’immagine coraggiosa dei suoi personaggi sullo schermo.

Forse è stata questa tragedia e il lungo trattamento a far capire a Jack la sua vocazione. All’età di 30 anni si è laureato alla facoltà di recitazione dell’Università di Stanford. All’epoca parlava sei lingue: ucraino, russo, italiano, spagnolo, francese e inglese.

Ne seguì una brillante carriera hollywoodiana e il riconoscimento come brillante attore western. I suoi lavori principali: “L’isola del tesoro”, “Batman”, “Giochi di guerra”, “Cyborg 2”, “Tango e cash”, “The Young Guns”, “Dracula”, “Che!”, “Desperados” e molti altri. Tuttavia, come ha ammesso in un’intervista, ha sempre desiderato interpretare il ruolo drammatico di Taras Bulba.

Ha vinto molti dei più prestigiosi premi cinematografici, tra cui il Golden Globe e l’Emmy, ed è stato candidato tre volte all’Oscar, che ha vinto nel 1992 per “City Slickers”. All’epoca aveva già 72 anni, ma rimase in ottima forma fisica: durante la cerimonia di premiazione, fece colpo con le sue flessioni con una mano sola.

Allo stesso tempo, Jack non ha mai dimenticato le sue origini ucraine. Per di più i suoi genitori gli hanno inculcato i valori del rispetto per la lingua ucraina, l’interesse per la sua storia e, infine, l’incrollabile convinzione di essere ucraino. Così, anche in età adulta, ogni volta che era possibile, l’attore passava all’ucraino e amava cantare canzoni ucraine. Non c’è da stupirsi che il suo ricordo d’infanzia preferito fosse “quando papà, avendo un momento libero, faceva sedere i bambini e leggeva i giornali ucraini”. Jack Palance ne era orgoglioso e partecipava alla vita della comunità ucraina negli Stati Uniti. In particolare, intervenne alla cerimonia di inaugurazione del monumento a Taras Shevchenko a Washington. È stato anche presidente del consiglio di amministrazione della “Hollywood Trident Foundation”(Fondazione del Tridente), un ente di beneficenza artistica che fornisce assistenza finanziaria ad attori e artisti che dimostrano i risultati della cultura ucraina (compreso il cinema) nel mondo.

Il suo intervento nell’aprile 2004 è esemplificativo: in quel periodo si teneva a Los Angeles il festival “Russian Nights”, sotto il patrocinio del presidente della federazione russa. Il festival è culminato in una cerimonia a Hollywood in cui artisti e attori americani di origine russa sono stati insigniti del titolo di artista del popolo della Federazione Russa per il loro contributo allo sviluppo della cultura russa. Jack Palance era nella lista. La sua reazione ha lasciato perplessi gli organizzatori dell’evento e ha suscitato un vero e proprio scandalo: “Sono un ucraino, non un russo”, disse, rifiutando il titolo di artista del popolo della federazione Russa perché non aveva “nulla a che fare con il cinema russo o con la Russia” e lasciando la sala in modo dimostrativo.

Questo avveniva due anni prima della sua morte. L’attore è morto all’età di 87 anni il 10 novembre 2006 a Montecito, in California, lasciandoci le sue meravigliose opere cinematografiche e un esempio di comportamento dignitoso e di rispetto per le sue origini e per la patria dei suoi genitori.

Testo preparato per Diaspora.ua nel 2019

Traduzione di Oksana Garkalyuk

 

 

 

 

I RAGAZZI DI OGGI E I MARTIRI PER LA NOSTRA LIBERTÀ


I RAGAZZI DI OGGI E I MARTIRI PER LA NOSTRA LIBERTÀ

“I ragazzi delle scuole, imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi.

Non sanno chi fu quel giovanetto della Lunigiana che, crocifisso ad una pianta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: «Li conoscerete quando verranno a vendicarmi», e altro non disse.

Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani, trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: «Sono io che li ho nascosti (e non era vero), fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi».

Non sanno come si chiama colui che, imprigionato, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò.

Non sanno come si chiama quell’adolescente che, condannato alla fucilazione, si rivolse all’improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo, lo baciò sorridente dicendogli: «Muoio anche per te… viva la Germania libera!».

Tutto questo i ragazzi non lo sanno: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazione del fascismo ed oltraggi alla Resistenza”.

(Piero Calamandrei)

 

 

QUAL ERA IL DISEGNO DIETRO AUSCHWITZ


QUAL ERA IL DISEGNO DIETRO AUSCHWITZ

Vorrei essere ottimista.

Non penso che la maggior parte degli italiani siano insofferenti al ricordo della Shoa, o che si siano stufati di ricordare lo sterminio degli ebrei, e degli oppositori politici, degli omosessuali, dei rom.

Semmai penso che, passati gli anni, rischiamo di perdere la memoria di quanto è stato.

Non basta una sola giornata, la memoria ha bisogno di tempo per consolidarsi nelle persone, ha bisogno di testimoni che raccontino chi erano i carnefici, o gli indifferenti, o le vittime e coloro che non hanno voltato la testa da un’altra parte.

Serve qualcuno che racconti cosa sia stato il fascismo veramente.

Sta passando, in questi anni e in particolar modo con questo governo di destra, con tanta voglia di riscrivere la storia e anestetizzare il fascismo, sta passando appunto il concetto che il fascismo in fondo avesse fatto cose buone, almeno fino alle leggi razziali. Dimenticandosi della compressione delle libertà e dei diritti, portate avanti dal regime, negli anni precedenti.

Non si può da una parte ricordare l’orrore delle leggi razziali e poi celebrare il regime di Salò, come hanno fatto e faranno esponenti di questo governo (e mi riferisco al presidente del Consiglio Meloni e al presidente del Senato La Russa).

Serve qualcuno che racconti quello sterminio mettendolo in relazione ai grandi genocidi avvenuti nel novecento, come quello degli Armeni e per le tante dittature, anche quella sovietica, del secolo passato.

Servono testimoni che cerchino di spiegare quello che la ragione, il raziocinio, rende difficile da comprendere.

Qual era il disegno dietro Auschwitz, dei ghetti, delle stelle di diverso colore appiccicate al vestito, per rendere riconoscibili le persone. Cosa c’era dietro quei treni piombati che portavano persone nei campi di concentramento, verso lo sfruttamento come corpi e la morte.

È un disegno che è nato dalla fine della pietà, dal vedere negli altri non persone come noi, con un nome e un cognome, con una dignità da difendere.

Un disegno che ci tocca da vicino.

Non solo perché i carnefici siamo stati anche noi, non solo i cattivi nazisti, ma perché i lager dove stipare persone nell’indifferenza delle brave persone, esistono ancora oggi.

 

 

IL COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE – 25 APRILE 1945


IL COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE – 25 APRILE 1945

L’avanzata delle truppe alleate oltre Bologna, liberata dai partigiani e dai cittadini il 19 aprile 1945, determina il collasso dell’armata tedesca in Italia e del fascismo repubblicano. Il Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta Italia lancia l’ordine alle formazioni partigiane e ai gruppi della resistenza urbana di passare decisamente all’attacco. A Genova le forze tedesche e fasciste sono costrette a capitolare già la sera del 25 aprile, mentre nelle altre città il Corpo Volontari della Libertà è impegnato in combattimenti durissimi.  Il 25 aprile il CLN chiama Milano all’insurrezione.

PERTINI LEGGE IL PROCLAMA DEL CLN (25/4/1945)

«Cittadini, lavoratori, sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino ponete i tedeschi di fronte al dilemma arrendersi o perire»

Anche se ancora non è intervenuto un atto formale di resa, le truppe tedesche cessano la resistenza organizzata. E il fascismo repubblicano, abbandonato da Mussolini e dai suoi capi che cercano scampo nella fuga, si dissolve. Soltanto gruppi isolati di franchi tiratori cercano di contrastare l’insurrezione popolare e i movimenti delle colonne partigiane che convergono a Milano. Nel tardo pomeriggio del 26 aprile radio Milano riapre le trasmissioni con la lettura della prima ordinanza del CLN.

ORDINANZA DEL CLNAI – Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (26/4/1945)

«Qui radio Milano liberata! In nome del popolo italiano il CLNAI assume tutti i poteri civili e militari. Proclama lo stato di eccezione in tutto il territorio di sua competenza. Tutti i corpi armati fascisti sono disciolti. I loro membri devono abbandonare il loro posto immediatamente  e recarsi nei campi di concentramento in attesa dell’accertamento delle rispettive responsabilità. Tutti gli appartenenti alle forze armate tedesche sono dichiarati prigionieri di guerra. Sono istituiti i tribunali di guerra. Essi siedono in permanenza e le loro sentenze sono emanate in nome del popolo italiano ed eseguite immediatamente. I membri del governo fascista e i gerarchi colpevoli di aver condotto alla soppressione delle garanzie costituzionali, di aver distrutto le libertà popolarti, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese  e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo»

Mentre ancora si combatte a Torino, a Venezia, a Piacenza, a Parma, dai microfoni di radio Milano liberata si succedono le notizie e le ordinanze del CLN e del Comando di Piazza: scandiscono le ore della liberazione e i momenti drammatici del crollo del fascismo.

NOTIZIE DA RADIO MILANO LIBERATA

26/4/1945

«Dalla frontiera svizzera fonti bene informate annuncerebbero la cattura di Mussolini da parte dei patrioti italiani presso la località di Palenzo. Il maresciallo Graziani, dopo aver cercato inutilmente scampo in Svizzera, si è arreso alle formazioni partigiane di Como. Sempre a Como, il segretario del PFR, Pavolini, si è asserragliato con un centinaio di Camicie Nere in una caserma ed è strettamente assediato dai nostri partigiani»

27/4/1945

«Avanguardie della V Armata sono entrate a Lodi. È probabile che gli anglo-americani possano essere in giornata a Milano  intanto le voci di una capitolazione totale delle forze armate tedesche in Italia si vanno sempre più confermando».

«A Rovagnate patrioti della brigata Adda hanno arrestato Farinacci. Al momento dell’arresto si trovava su una automobile militare germanica, in compagnia di un maresciallo tedesco e di due donne. Farinacci è stato accompagnato a Vimercate, al comando della brigata Adda».

Mussolini è in fuga verso la frontiera svizzera. Il 28 aprile la radio trasmette la notizia che è stato catturato e giustiziato, con un gruppo di gerarchi e con Claretta Petacci.

ANNUNCIO DELLA FUCILAZIONE DI MUSSOLINI  (28/4/1945)

«Qui radio Milano liberata! Volontari della libertà si sono impadroniti oggi alle 16, a Giulino di Mezzegre (Como), di Mussolini, Liverani,  Ruggero, Barracu, Romano, Coppola, già professore a Bologna e collaboratore del  «Corriere della Sera», Bombacci, Porta, Gatti, Daquanno, giornalista del regime e membro della feroce pattuglia futurista-imperialista, della Petacci e di altri gerarchi di minore importanza giustiziandoli dopo un breve ma regolare processo».

L’incarico di eseguire la sentenza emessa dal CLNAI nei confronti di Mussolini è stato affidato al colonnello Valerio (Walter Audisio).

(Tratto da Dossier di Guerra – documenti originali – Fabbri Editori)

[Ho ripreso un mio post dell’aprile 2012. Quelle voci e quelle parole rimangono nella storia, impresse anche nei dischi (vinile) della collezione dei Fratelli Fabbri, conservati gelosamente. I miei nipoti possono sentire quelle voci, quei toni e quelle sensazioni attraverso le parole (e anche le urla dei comizi) dei protagonisti della triste storia della guerra 1940-1945. L’emozione di Pertini, che anni dopo diverrà uno dei più amati Presidenti della Repubblica italiana, è particolarmente evidente.

Oggi 24 aprile 2022, tempi in cui venti di guerra soffiano ancora, viviamolo come un giorno di speranza e di coraggio, e anche di gioia, come lo vissero i nostri padri, in quel 1945, nella convinzione che anche la guerra in Ucraina possa finire al più presto.

https://speradisole.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=26460&action=edit&classic-editor%5D

ODESSA


ODESSA

Ne parliamo anche noi: Odessa.

La città di Odessa ha una storia strettamente legata all’Italia.

Infatti, gli italiani sono menzionati nel Duecento, per la prima volta, quando sul territorio della città odierna fu ubicato l’ancoraggio delle navi della Repubblica di Genova. La nuova affluenza degli italiani nel Sud dell’Ucraina crebbe particolarmente con la fondazione di Odessa.

All’inizio del XIX secolo la colonia italiana era composta in primo luogo da commercianti, marinai e militari in servizio nell’Armata russa.

L’architetto italiano Francesco Boffo (1790-1867) fu capo architetto del comune di Odessa per oltre 40 anni, contribuendo alla trasformazione di Odessa in un vero museo a cielo aperto dell’architettura neoclassica e neorinascimentale italiana, rivaleggiando con San Pietroburgo nel nord dell’Impero russo. La sua opera più famosa è la scalinata Potëmkin, oltre a circa 30 palazzi ed edifici pubblici.

A Odessa fu composta la celebre canzone “’O SOLE MIO”

Che bella cosa na jurnata ‘e sole
N’aria serena doppo na tempesta
Pe’ ll’aria fresca para gia’ na festa
Che bella cosa na jurnata ‘e sole

Ma n’atu sole
Cchiu’ bello, oi ne’
‘O sole mio
Sta nfronte a te
‘O sole, ‘o sole mio
Sta nfronte a te
Sta nfronte a te

Quanno fa notte e ‘o sole se ne scenne
Me vene quase na malincunia
Sotta ‘a fenesta toia restarria
Quanno fa notte e ‘o sole se ne scenne

Ma n’atu sole
Cchiu’ bello, oi ne’
‘O sole mio
Sta nfronte a te!
‘O sole, ‘o sole mio
Sta nfronte a te
Sta nfronte a te

(Il tutto tratto da Wikipedia)

 

CESARE PER SEMPRE


CESARE PER SEMPRE

Una breve disgressione, tra tanta tristezza.

Quand’è che Putin si farà chiamare come “Cesare”?

La storia ci ricorda che tutti i dittatori o capi di imperi hanno voluto chiamarsi come il Cesare di Roma.

L’originale fece una brutta fine, poveretto, pugnalato in Senato, ma fu Cesare per sempre.

Poi abbiamo quelli degli ultimi due secoli che se lo sono messo addosso quel nome.

Lo Zar di tutte le Russie, Zar è nome russo di Cesare. Ce-zar. Anche lui fece una brutta fine.

Poi il Kaiser. Imperatore austroungarico, secondo lui per diritto divino (morì nel suo letto nel 1941). Chiarissimo Cesare in tedesco.

Poi il Dux, Duce italiano, che più latino di così non poteva essere, anche lui fece una brutta fine.

Poi il Fuhrer che in tedesco significa Dux. Duce tedesco. Anche lui fece una brutta fine.

Cesare ha fatto scuola per secoli e chissà forse anche Putin vorrà abbandonate quel nome banale, quasi veneto, per mettersi sulla carta d’identità un Cesare anche lui.

Siamo in attesa.