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I MIGLIORISTI SON TORNATI


I MIGLIORISTI SON TORNATI

Pier Luigi Bersani alla Festa de l'Unità di RomaÈ facile constatare come la vecchia sinistra scissionista non sia riuscita ancora a capire cosa stia succedendo alla nostra democrazia.

Teniamo presente, come esempio, le parole di Enrico Rossi, uno dei più convinti sostenitori del nuovo partito: Liberi e Uguali. Quelli che ritengono di essere i migliori tutti: i miglioristi di un tempo.

Facciamo le cosiddette pulci a loro, visto e considerato che a noi le fanno sempre con dovizia di particolari e con insistenza noiosissima, col rischio evidente di essere altrettanto pignoli e noiosi anche noi. Più che altro per cercare di capire.

Ecco il pensiero, da vecchio migliorista degli anni 1980, che il Presidente della Toscana Enrico Rossi scrisse sulla sua pagina Facebook, dopo l’assemblea (forse la prima e l’unica) del loro nuovo partito, forse non c’era ancora Grasso:

Da questa assemblea parte una battaglia che avrà un orizzonte lungo. Dovremo costruire un grande partito che si ispiri agli ideali del socialismo coniugati con umanesimo e democrazia. Noi siamo una grande sinistra che ha nella sua storia un grande rivoluzionario socialista come Gramsci. Noi siamo il voto utile che non andrà mai con la destra”.

Parole emblematiche, significative, molto più degli slogan ad effetto contenuti, successivamente, nei discorsi di Grasso. In poche parole ha condensato la cultura politica che sottende il suo nuovo movimento o partito, l’ennesimo a sinistra della sinistra.

Ma che significano?

Vediamo un po’.

Si parla di “Orizzonte lungo”. Che cosa intende?

Non quello terrestre, ovviamente, ma quello politico. E come al solito si usano parole che non dicono niente, astratte e con poco senso.

Il problema di questa sinistra, cui fa riferimento Rossi, non consiste tanto nell’individuare l’orizzonte (chi non vuole benessere, democrazia, pace, giustizia e libertà?), quanto nel non riuscire a rendersi conto di quanto sia enorme l’intreccio di cause ed effetti che lo sposta in avanti. Niente di concreto.

Molto grave è il fatto di non aver compreso che è impossibile riproporre le ricette di sempre, pensando così di poter ripartire da un daccapo mentre nel frattempo è cambiato tutto.

Si parla di ”Costruire un grande partito

Benissimo. Tuttavia se si pensa alla lunga storia politica, e anche personale, dei soggetti che lo stanno costruendo qualche perplessità sorge spontanea riguardo al suo futuro.

Ricordiamo la vicenda delle liste Arcobaleno, Altra Europa con Tsipras, Rivoluzione civile costruite in fretta e furia nell’immediata vigilia di importanti scadenze elettorali e implose subito dopo con il rituale strascico di scissioni.

Ora gli stessi soggetti, con altri nomi, si aggregano con aree politiche e persone con storie assai diverse tra loro e dalle loro. Soggetti che hanno votato per il governo Monti, il fiscal compact e il pareggio di bilancio in Costituzione e che poi hanno sostenuto, qualcuno col mal di pancia ma tanti altri con convinzione, tutte le riforme fatte dal governo Renzi.

Tanto più se Liberi e Uguali dovesse confermare quanto da tempo Bersani e i suoi vanno dicendo, circa la possibilità di sostenere un eventuale governo a cinque stelle. A meno che, indipendentemente da chi siederà a Palazzo Chigi, non preferiscano starsene al calduccio di una opposizione di bandiera.

Si parla di “ispirarsi agli ideali del socialismo coniugati con umanesimo e democrazia”.

Ma forse che il socialismo non contiene già in sé umanesimo e democrazia? Quando il socialismo ha perso questi altri due elementi si è trasformato nella mostruosità stalinista.

Perché allora auspicare che i valori del socialismo si coniughino con quelli dell’umanesimo e della democrazia? Qualcosa ancora non va da quelle parti?

Il tema è attualissimo e rimanda inevitabilmente ad una certa storica ambiguità, non solo lessicale, che ha caratterizzato per molti anni gran parte della sinistra italiana: l’aver adottato nel proprio nome il termine “comunismo” in tutte le sue declinazioni, l’essersi ispirata, e per diverso tempo anche legata, ai vari regimi comunisti e contemporaneamente parlare di socialismo. Mai come in questo caso la forma è stata così tanta sostanza, al punto da venire sfruttata al meglio dalla DC per decenni.

Interessante è il richiamo a Gramsci definito un grande rivoluzionario socialista e magari, Rossi sta ricordando la frattura insanabile che nel 1921 si determinò tra Gramsci e l’ala estrema guidata da Bordiga e le altre che da allora si sono susseguite nella sterile gara a chi era ed è, più gramsciano.

Infine si parla de: “il voto utile che non andrà mai con la destra”.

La questione è chiarissima e non è andare con la destra, quanto piuttosto, nella attuale situazione, favorire il successo della destra.

Sarebbe questo un voto utile? Sarebbe voto utile utilizzare il consenso ricevuto, piccolo o poco più grande che sia, e metterlo a disposizione di un governo guidato formalmente da Di Maio, ma in realtà comandato da personaggi a dir poco ambigui?

Oppure il voto è utile per favorire, di fatto, la vittoria di chi ha caratterizzato il suo ventennio di potere con scandali pubblici e privati e leggi ad personam lasciandoci per eredità il baratro in cui molti sono precipitati e che altri sono riusciti ad evitare per puro miracolo?

Conclusione: saranno pure Liberi (D’Alema permettendo) ma restano sempre Uguali a prima, ambigui e pericolosi, tanto più perché, oggi come oggi, sono al servizio delle destre leghiste e grilline.

Ricordate i miglioristi degli anni ’80? Sono tornati.L’ambiguità persiste, non hanno capito niente del Pd..

I miglioristi pensavano che fosse possibile trasformare il Pci in un partito social democratico e riformista, senza dover necessariamente passare attraverso una drastica rottura col suo passato e una radicale revisione della sua storia ed ideologia. Riproporre oggi il migliorismo non avrebbe perciò senso, è una storia finita. Un senso, invece, potrebbe averlo riflettere criticamente su quella esperienza e sulle ragioni, ancora oggi attuali, della sua sconfitta, per trarne insegnamenti utili al processo di riforme avviato dal governo Renzi.

 

LIVIDI E UGUALI: GRASSO SUPERFLUO


LIVIDI E UGUALI: GRASSO SUPERFLUO

A sinistra, «l’odio unisce più dell’affinità, il fratricidio vince sempre sulla fratellanza».

Marcello Veneziani ribattezza “Lividi e Uguali” i profughi del Pd, alleatisi con vendoliani e civatiani non per vincere, ma solo per far perdere il “nemico”.

«La loro priorità – scrive Veneziani sul “Tempo” – non era chiamare a raccolta la sinistra, ma danneggiare Renzi».

E allora «hanno pensato che nuocesse di più al fiorentino un leader sferico e mobile, privo di identità politica e capace di suonare il piffero per l’elettore qualunque, pescando così nel target renziano».

In questo, D’Alema e Bersani «sono rimasti fieramente, ferocemente di sinistra», cioè settari e frazionisti fino all’autolesionismo.

Veneziani definisce “Liberi e Uguali” un mix tra «sinistra movimentista, briciole di Rifondazione, lasciti del vecchio Pci e giovani sfigati di tristi speranze, più gloriose reliquie della Seconda Repubblica, accomunati dal disprezzo per il Vanesio Fiorentino».

In fuga da un “corpo estraneo” come Renzi, «che subivano e odiavano», chi chiamano come leader? «Un altro corpo estraneo, un Papa straniero, un magistrato e uomo dell’establishment, il presidente del Senato Grasso. Uno che a giudicare dal curriculum e dalle oscillazioni, avrebbe potuto tranquillamente militare con Renzi, con Berlusconi e con chiunque altro».

Grasso, secondo Venziani, ha accettato il ruolo «perché la vanità è l’ultima a morire, e si gonfia, s’illumina d’incenso». Ma si può capire, aggiunge: «Un anno fa temeva di essere abolito insieme al Senato, e ora gli offrono di guidare un cartello intero con una visibilità assai forte. E appartenendo alla genia degli Ego-magistrati, da Di Pietro a Ingroia, da De Magistris a Emiliano, assumere un ruolo di vetrina coi gradi di comando, “sputace sopra”».

Se Grasso in fondo lo si può capire, meno comprensibili risultano loro, «i combattenti e reduci della sinistra», gli esuli dal Pd e i profughi del ciclone renziano che, «quando finalmente si fanno una casa tutta loro e possono darsi un leader di sinistra, schietto, vanno a pescare il presidente del Senato».

Non la Boldrini, presidente della Camera, «che almeno è un’icona della sinistra e una custode del politicamente corretto, del tardo-femminismo e dell’antifascismo sacro». Macché, scelgono Grasso, «che con la sinistra c’entra poco o nulla».

Sempre secondo Veneziani, la sinistra aveva due possibilità: poteva scegliere un leader che rappresentasse la sua tradizione e la sua identità, magari «uno che indossa con dignità il Novecento, comunismo incluso», oppure uno che fosse «la traduzione italiana di Tsipras o degli Indignados spagnoli, una specie di postsinistra protestataria del terzo millennio». E invece, chi ti vanno a pescare? «Un Grasso che non incarna né l’una né l’altra, che non è carne né pesce, ma colesterolo allo stato grezzo. Grasso superfluo».

Come spiegare questa scelta suicida?

E’ l’ennesima conferma (in casa propria) di quel che sostengono gli avversari della sinistra stessa, ossia «l’incapacità di partorire una leadership chiara e distinta di sinistra».

Il museo delle cere firmato Bersani e D’Alema, poi, sottolinea una volta di più il tramonto di antiche dicotomie: destra e sinistra hanno sottoscritto insieme il rigore europeo, imposto dall’oligarchia internazionale al potere. L’altra casella, “democrazia progressista”, resta ancora vacante, lontana anni luce dal “grasso superfluo” di Lividi e Uguali.

NON VI COMPRENDIAMO


NON VI COMPRENDIAMO

Pisapia, per qualificarsi meglio e per descrivere ciò che lo distingue dal Pd, ha parlato di un “centrosinistra radicalmente innovativo”, che distinguerebbe lui, Grasso, Speranza e altri, da Renzi e il Pd. Di conseguenza, Renzi e il Pd, secondo loro, vorrebbero un centrosinistra “non radicale” o ” poco innovativo”.

La sinistra italiana ha questo vezzo che la rende antipatica: crede di avere il monopolio del cambiamento.

Ma non perché faccia, effettivamente, innovazioni o riforme. No. Solo perché le aggettiva: forti, radicali, straordinarie ecc.

Poi quali siano queste riforme che propone, quali siano i contenuti, i programmi che avanza, che cosa realmente abbiano di innovativo e in che cosa rappresentino un cambiamento reale, non è dato saperlo. In che cosa i programmi della sinistra radicale, che non ha fatto mai alcuna riforma, siano “radicalmente innovativi” rispetto alle riforme realizzate da Renzi e che hanno portato l’Italia fuori dalla crisi?

Lo sapete voi? Io no.

Pisapia sarà stato un buon sindaco o un moderno avvocato ma deve capire, insieme a tutta la sinistra, una cosa: in Europa e in Italia bisogna smetterla con gli aggettivi per qualificare i propri programmi.

Bisogna smetterla con questo vezzo di sinistra di sostituire, alle proposte concrete, gli aggettivi altisonanti per distinguersi dai riformisti liberali.

E’ pericoloso.

Se ci fermiamo agli aggettivi il populismo, anch’esso radicale a parole, vi strabatte. Per esempio, la pensata dei pentacosi del reddito di cittadinanza, attira molto di più la massa delle persone che pensa di poter incassare qualche soldino, stando seduto al bar, o facendo lavori in nero. Il lavoro non viene neppure più cercato, non serve, è lo stato fa loro la carità. Se poi ci vogliono miliardi per realizzare tutto ciò, nessuno ci pensa e nessuno fa veramente i conti. Nessuno entra nella realtà di questa proposta. Se Pisapia, Bersani e altri pensano di allearsi col m5s, per battere Renzi, hanno pensato a come risolvere questa cosa?

Nella situazione europea di oggi serve il contrario: dimostrare che sono possibili cambiamenti “tranquilli” e che vale molto di più la competenza di governo che il radicalismo a parole.

E’ il populismo il nemico da battere. E il populismo, quanto alla retorica degli aggettivi, batte chiunque.

Ora Pisapia e l’Mdp la smettano con la pretesa di distinguersi con gli aggettivi, astratti e altisonanti. Dicano, finalmente, quali sono concretamente le riforme che farebbero, in che cosa sono più “radicali” di quelle che Renzi ha fatto o propone di fare, e che cosa abbiano di così innovativo.

Io, per ora, ho capito soltanto che gli piacerebbe “ripristinare” l’articolo 18. Non proprio un’innovazione e tanto meno “radicale”.

E’ tempo dei riformisti. E i riformisti sono quelli che le riforme (possibili) le fanno. E non le risolvono in vuoti aggettivi, “radicali” a parole.

Le vere riforme, in questo paese, sono state fatte negli anni 70-80: (Per esempio) Divorzio, Aborto, Scuola, Statuto dei lavoratori. Queste sono riforme e non le ha fatte la sinistra.

Attendiamo da almeno vent’anni, da quando D’Alema ha preso il timone, scalzando Prodi, per esempio, una legge sul fine vita. Se ne discute e poi? Tutto rimane nel cassetto. Sarebbe una legge di civiltà enorme, ma anche la sinistra, quella che si definisce radicale, svicola da questo problema. Peccato, se l’affrontasse, e la appoggiasse convintamente tanto da farla approvare, quasi quasi ci farei un pensierino, quando vado a votare.

Basta qualche proposta concreta, sensata, non limitarsi a distinguersi con gli aggettivi. Parlate con la gente e non confrontatevi solo tra di voi. Non vi comprendiamo.

 

NON E’ UN PAESE PER PERSONE NORMALI


NON E’ UN PAESE PER PERSONE NORMALI

bersani-pierluigi_280xFree«Sono stata rapita or ora dalla streaming di Grillo e dei suoi amici e sono veramente atterrita. Vorrei piangere, vorrei scappare molto lontano, vorrei non sentirmi italiana, vorrei non aver mai scoperto tutto questo. Vorrei stringere la mano a Bersani, a Grasso alla Boldrini e a tutti quelli che nel Pd si stanno scervellando in questi giorni per cercare di rendere più vivibile il Paese. Ma resto in silenzio, guardo consumarsi il martirio in Tv, in streaming.».

Sono parole scritte da Simonetta Verla allo psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini, che risponde alle lettere dei lettori sul quotidiano l’Unità.

Il medico risponde così:

«Quello che più di tutto è costato a Bersani, in campagna elettorale, è stato il suo presentarsi come una persona e come un politico «normale», come una persona saggia per cui l’unico rinnovamento possibile si sviluppa nella continuità: correggendo gli errori e valorizzando quello di buono che si è fatto in precedenza. Quella che più gli nuoce in questa fase è la chiarezza senza retropensieri del programma, la tendenza ad anteporre le cose da fare alle trame, elettorali o strategiche, lo sguardo rivolto al bene comune invece che alla convenienza personale. Armi spuntate, apparentemente, contro avversari assai più cinici e manovrieri di lui. Ad un potere «assoluto» pensano Grillo ed i suoi, infatti, fantasticando elezioni in cui tutti saranno costretti ad «arrendersi» alla forza di un movimento «che esige ma non tratta», mentre ad un’amnistia o a un salvacondotto per sé pensa Berlusconi. Rimasto solo a difendere l’idea per cui il fine non giustifica i mezzi, Bersani probabilmente non ce la farà. Quello che piace di più a tanti (troppi) giornali ed elettori è il protagonismo del leader da palcoscenico. Con lui, per fortuna, non è disponibile».

Mi associo alle parole dello psichiatra e come Simonetta scrive, nella sua lettera, vorrei anch’io stringere la mano a Bersani,a Grasso e alla Bordini per dire loro di andare avanti, di fare tutto il possibile, magari miracoli, per questo paese. Abbiamo bisogno della loro «normalità», della loro capacità e dei loro ideali, per salvare il Paese e renderlo più vivibile per noi e per i nostri figli.