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E COSÌ TUTTO TORNA


E COSÌ TUTTO TORNA

Le contestazioni di queste settimane, in nome della pace, dello stop alla guerra, della fine del genocidio, non possono essere rubricate alla sola voce antisemitismo.

Non solo o non tanto perché nessuno grida ancora al complotto giudo-demo-pluto-eccetera, ma perché striscioni e manifestazioni hanno dentro più cose, e non se ne capisce a fondo la natura se la si riconduce solamente all’avversione nei confronti degli ebrei e dell’«entità sionista».

Che c’è, purtroppo, e si fa sentire, ma collegata a una certa interpretazione della storia e dell’Occidente, che è il primo bersaglio delle proteste in corso.

Che cosa ci fa Israele in Medio Oriente?

Cosa c’entra con i paesi arabi e musulmani uno Stato voluto dagli europei e dagli americani per risarcire gli ebrei del crimine della Shoah?

Come si può tollerare, in un mondo decolonizzato, questo resto di una logica coloniale imposta dall’Occidente al resto del mondo?

Come si può giustificare un avamposto degli Stati Uniti in quell’area, se non in nome del petrolio e di inconfessabili interessi economici?

Gratta gratta, sotto la geopolitica c’è l’economia, ed economia significa capitalismo, e capitalismo significa egemonia americana e strapotere finanziario, politico, militare.

La storia che raccontano quelli che stanno con la Palestina libera dal fiume al mare (cioè: senza Israele di mezzo) è fatta così, molto all’ingrosso ma ben inscritta in umori e passioni radicate e in un patchwork ideologico che non sarà una ricognizione storiografica meno semplicistica, o meno dozzinale, a mandare in pezzi.

Israele è la potenza occupante: questo è il punto, dicono.

Dopodiché, come accade purtroppo a tutti i capri espiatori, Israele diventa disinvoltamente pars pro toto, e il tutto che rappresenta, violente o nolente, è l’Occidente con i suoi torti.

Questa chiave di lettura si vede benissimo nel differente trattamento che viene riservato alla guerra in Ucraina.

Cosa c’è di occidentale, lì: la Nato?

Ed è dunque alla Nato e ai paesi Nato che si addossano le vere responsabilità (ha provocato la Russia accerchiandola, e ora non smette di alimentare il conflitto sulla pelle degli ucraini), ma anche al più cieco odiatore dell’Occidente che sposa senza difficoltà questa versione dei fatti, per la gioia di Peskov e della propaganda putiniana, riuscirà difficile esprimere solidarietà al popolo russo per le bombe che piovono pur sempre sul suolo ucraino.

Nel conflitto medio-orientale non c’è da avere di questi imbarazzi: la guerra è a Gaza e le vittime sono i civili palestinesi. E quella che Israele chiama la sua sicurezza è solo il suo sopruso. Non è pensato, in genere, come un sopruso, esistenziale, ontologico, razziale, ma è descritto come la prepotenza di un paese militarmente più forte, appoggiato, sostenuto, foraggiato dall’Occidente capitalistico.

 E così tutto torna.