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SIAMO DELUSI DELL’EUROPA PERCHE’ ILLUSI DA NOI STESSI


SIAMO DELUSI DALL’EUROPA PERCHE’ ILLUSI DA NOI STESSI.

imagesL’Europa non seduce più gli italiani. Solo uno su tre – dati Demopolis – ha fiducia nell’Unione, uno su due pensa che serva più alle banche che a chi fa la spesa al mercato.

È una curva a gomito, passavamo per un popolo di euro-entusiasti, la grande crisi del 2008, che ancora continua, ci ha reso euro-scettici.

Fine della luna di miele.

Con una variante rispetto agli altri paesi. Lo scetticismo non si raggruma sotto l’ombrello di un partito, ma è un filo rosso che stringe destra e sinistra.

Questa Europa, quella dei tecnocrati ossessionati dai conti pubblici, è indigesta alla Lega, non piace a spezzoni del Pd, e a tutta Forza Italia, irrita quel che resta di Sel e il Ncd, per tacere dei penta stellati usi alla collera per statuto.

È come se la politica vivesse un “lutto da Europa”.

Un trauma da eccesso di candore: 15 anni fa, reduci da decenni di allegra spesa pubblica, la politica ci ha consegnato all’Europa chiedendole una disciplina a noi ignota. Ora scopre che era meglio darsela da sé.

TREMONTI SI RIPRENDE LA SOCIAL-CARD CON GLI INTERESSI


TREMONTI SI RIPRENDE LA SOCIAL-CARD CON GLI INTERESSI

Brutto inglesismo social-card, inventato per confondere. Era meglio dire “elemosina”.

Però anche questa elemosina, che poi si è rivelata un mezzo fallimento,  torna a chi l’aveva proposta.

Infatti nel 2010 le pensioni subiranno una diminuzione. Vediamo come: il decreto interministeriale (Economia e lavoro) del 19 dicembre scorso ha fissato l’aumento percentuale delle pensioni  allo 0,7% nel 2010, sulla base del costo della vita. Il dato, pur essendo provvisorio,  è stato stabilito tenendo conto dell’andamento dei prezzi al consumo fino al mese di settembre 2009, in modo da dare agli enti il tempo necessario per l’aggiornamento degli importi pensionistici già dal mese di gennaio 2010.

Ma lo stesso decreto ha comunicato il valore definitivo dell’aumento per il 2009, valore che è inferiore a quello applicato in via provvisoria  nel corso dello stesso anno.

Per effetto di tale riduzione i pensionati dovranno restituire quanto percepito in più nel 2009.

La trattenuta, a titolo di conguaglio, avverrà in un’unica soluzione sulla rata del mese di gennaio 2010.  E siccome la trattenuta sarà più elevata dell’esiguo aumento (0,7%), perché riguarderà tutto l’anno 2009, la pensione di gennaio 2010 risulterà molto più bassa del solito.

Per vedere la pensione del 2010, occorrerà attendere la rata di febbraio. Il valore della rata mensile sarà, comunque, più bassa rispetto al 2009.  Gode il governo, piangono i cittadini. E’ l’effetto della bassa inflazione, la più bassa che si è verificata dal 1959.

Però, c’è sempre un però, i pensionati nel 2009 su quanto hanno percepito in più e che dovranno restituire, hanno già pagato la tassa al 25%. Facendo i calcoli sono circa 3 euro (poca cosa sembra), ma moltiplicata per 20 milioni di pensionati corrispondono a 60 milioni di euro di tasse pagate in più.

L’esiguo aumento dello 0,7% previsto per il 2010, per una pensione media mensile di 1000 euro, sarà di 7 euro che moltiplicati per 13 mensilità fanno 90 euro. Ma anche su questi Tremonti  tassa per il 25% e cioè, si riprenderà 22 euro che, moltiplicati per 20 milioni di pensionati, diventano 440 milioni di euro. Questi 440, sommati  ai 60 dell’anno 2009, fanno 500 milioni di euro tondi, che vengono presi dalle tasche dei pensionati.

Qualcuno vuol dire a Tremonti che le mani in tasca agli italiani le mette e come? Magari passando per i vari Cicchitto, Bondi, Gasparri, Capezzone & C?

LA FINANZIARIA NENE’


LA FINANZIARIA NENÉ: NÉ RIGORE, NÉ SVILUPPO

di Tito Boeri 01.12.2009

I contenuti della Finanziaria 2010 sono ormai chiari. Non sarà leggera perché prevede una manovra lorda di 9 miliardi. Non sarà di sviluppo perché è priva di idee e riforme. Non affronta i problemi strutturali del paese e non sostiene la domanda interna. Né sarà di rigore perché non chiude i tanti rubinetti di spesa aperti e ne apre di nuovi, alimentandoli con entrate una tantum. Non sarà neanche una Finanziaria di equità perché non interviene per ampliare la platea dei beneficiari dei pur modestissimi interventi di contrasto alla povertà. Una proposta per costituire una prima rete usando i fondi già stanziati dal Governo nel 2009 e non utilizzati sin qui.

Ormai sono chiari i contenuti della Finanziaria 2010. Non sarà leggera perché prevede una manovra lorda di 9 miliardi (per l’esattezza 8,9 miliardi). Non sarà di sviluppo perché è priva di idee e, soprattutto, di quelle riforme che ci servono per tornare a crescere. Non affronta i problemi strutturali del paese e non sostiene la domanda interna. Né sarà di rigore perché non chiude i rubinetti di spesa aperti e ne apre di nuovi che sarà difficilissimo chiudere, alimentati peraltro da entrate una tantum, che pregiudicano entrate future, come quelle dello scudo fiscale. Ma non sarà nemmeno una Finanziaria di equità perché non interviene per ampliare la platea dei beneficiari dei modestissimi interventi di contrasto alla povertà varati nel mezzo della peggior crisi del Dopoguerra. Insomma sarà una Finanziaria Nené. Ma a differenza del bomber del Cagliari, non ci farà vedere delle reti.
Le cronache politiche narrano di fibrillazioni interne alla maggioranza sulla conduzione della politica economica. Ci sarebbe un partito del rigore cui si contrappone un partito dello sviluppo. La mediazione sarebbe stata trovata nel procedere in due fasi: prima il rigore, poi lo sviluppo. C’è anche chi sostiene, come il ministro Sacconi, che questa è una Finanziaria sociale, di grande equità. Ci accontenteremmo di una Finanziaria che fosse almeno una di queste cose: di rigore e sviluppo (perché i due termini non sono affatto antitetici, al contrario si rafforzano a vicenda) oppure di equità (perché ce n’è tanto bisogno, soprattutto dopo la crisi). Ma non sarà nessuna di queste tre cose, purtroppo.

NÉ RIGORE

Come volevasi dimostrare, la Finanziaria di due articoli ha creato le condizioni per il maxiemendamento cosmico. Sono oltre 2.400 gli emendamenti presentati alla Finanziaria e al Bilancio, molti dei quali provenienti dalle fila della maggioranza. Spaziano su tutto lo spendibile umano. C’era da aspettarselo: quando manca un progetto, una definizione di priorità, ognuno si sente legittimato a chiedere qualcosa per il gruppo che rappresenta, anche quando si è nel mezzo di una grande crisi e non c’è trippa per gatti.
Dalla “manovra ultralight” siamo così passati a una manovra da 9 miliardi (lordi perché il saldo netto sarà zero). Ci saranno tanti piccoli interventi per accontentare un po’ tutti: dagli incentivi alle imprese, ai fondi all’agricoltura, dai soldi alle scuole private a quelli all’autotrasporto. Si apriranno così tanti nuovi rubinetti che sarà poi difficile chiudere. A questi vanno aggiunte le risorse per il contratto del pubblico impiego, non contemplate dalla manovra, ma che finirà per pesare sui conti pubblici nel 2010. Né ci sono le risorse per rifinanziare la cassa integrazione in deroga che rischia di replicare gli sprechi della nostra rete idrica: dato che non costa nulla alle imprese, queste potrebbero continuare ad attingere copiosamente allo strumento anche quando la crisi dovesse rientrare. E’ già in corso un processo di sostituzione di ore finanziate con strumenti pagati dalle imprese con ore pagate dalla collettività.  L’Inps continua a non rendere pubblici i dati sugli ammortizzatori in deroga. Ma non saremmo sorpresi se a fine 2009 la spesa si attestasse attorno  a 7 miliardi di euro, quasi mezzo punto di Pil.
Per finanziare questi interventi si utilizzeranno per lo più le entrate una tantum (a scapito di entrate future) dello scudo fiscale, più alcune poste incerte, come le risorse recuperate con controlli sulle pensioni di invalidità e i soliti tagli alle spese delle amministrazioni locali, non si sa come imposti e attuati. Si tratta dunque di una Finanziaria con coperture incerte e per lo più una tantum, a fronte di spese tutt’altro che transitorie.
Difficile peraltro parlare di rigore anche nella conduzione della politica economica sin qui. In televisione il ministro Tremonti ha ricostruito l’andamento dei nostri conti pubblici dal suo ritorno alla scrivania di Quintino Sella come caratterizzato da una caduta delle entrate (“se ne sono andate un bel po’ di entrate”) in presenza di una “tenuta delle spese”. In realtà non è affatto così.
Come si evince dalla tabella qui sotto, tratta dalla Relazione previsionale e programmatica presentata dal Governo, i saldi di bilancio primari (al netto della spesa per interessi calata di ben 6 miliardi, come a suo tempo
previsto su lavoce.info), sono peggiorati tra il 2008 e il 2009 di circa 44 miliardi. Il peggioramento è attribuibile solo per 10 miliardi a un calo delle entrate (soprattutto di quelle tributarie). I restanti 34 miliardi sono tutti legati a un incremento della spesa primaria, che aumenta del 5 per cento in termini nominali (2,7 in termini reali). Se poi guardiamo alla composizione degli incrementi della spesa, ci rendiamo conto che sono quasi tutti concentrati nella spesa pensionistica (9,3 miliardi in più), nel pubblico impiego (+4 miliardi) e nei consumi intermedi (+4,3 leggi soprattutto sanità).  Insomma, come sempre, più di sempre. Aumenta anche la spesa in conto capitale, in parte (quasi 2 miliardi) per il riacquisto, imposto all’Inps,  di immobili cartolarizzati con le operazioni Scip1 e Scip2 (varate sempre sotto Tremonti) per evitare il fallimento della società cui erano state affidate queste iniziative.

  2008 2009 Diff 2009-2008
Totale spesa primaria 694.032 728.539 34.507
Interessi 80.891 74.013 -6.878
Entrate tributarie                457.424 444.064 -13.36
Contributi sociali                214.718 213.910 -0.808
Altre entrate 59.802 63.633 3.831
Totale entrate      731.944 721.607 -10.337
Saldo primario 37.912 -6.932 -44.844
Indebitamento    -42.979 -80.945 -37.966

 NÉ SVILUPPO

Anche nel 2010 saranno le pensioni a fare la parte del leone. Secondo i bilanci previsionali dell’Inps, i contributi previdenziali dovrebbero calare (diminuiranno ancora di più se continuiamo a terrorizzare i lavoratori immigrati che hanno in questi anni permesso la tenuta delle entrate contributive), mentre la spesa dovrebbe aumentare di circa il 2 per cento. Quindi, saranno una volta di più i trasferimenti dalla fiscalità generale a ripianare il bilancio.
Come già accennato, l’altra componente destinata ad assorbire gran parte delle risorse “liberate” per il 2010 è il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ci saranno poi le solite spese “incomprimibili” per Anas e Ferrovie.
Non ci saranno invece nella Finanziaria né provvedimenti di riduzione delle tasse per rilanciare i consumi, né interventi che siano in grado di rilanciare l’offerta, come
le proposte formulate su questo sito a sostegno della crescita. Solo un lungo elenco di interventi, ciascuno di piccola entità: dagli sgravi alle banche che concedono moratorie sui debiti alle piccole imprese (adesso sappiamo che le sbandierate moratorie non erano a costo zero per il contribuente) ai finanziamenti delle spese per i processi immobiliari.
Insomma, lo sviluppo non si vede. A meno che lo sviluppo non siano le pensioni e il pubblico impiego. 

NÉ EQUITÀ

Possiamo almeno consolarci con l’equità? Purtroppo anche su questo piano la manovra è deludente. Il ministro Brunetta ha qualche giorno fa definito “populiste” misure come la social card e la Robin tax. Difficile dargli torto. Sembravano fatte apposta per escludere chi ne ha maggiormente bisogno. Ci si aspettava che la cosiddetta “carta acquisti” venisse rifinanziata e potenziata. Invece sembra destinata a uscire mestamente di scena. Del milione e trecento mila beneficiari previsti se ne sono intravisti, nel massimo storico di giugno, meno di 600mila. Il numero si è poi progressivamente ridotto man mano che i figli dei beneficiari superavano la soglia dei tre anni. Oggi abbiamo circa 450mila utilizzatori della carta acquisti. Logica avrebbe voluto che si rimuovessero i vincoli anagrafici (figli con meno di tre anni o ultra65enni). Non sarà così. Perché? Una risposta forse ce l’abbiamo: la Lega non gradisce il fatto che solo un sesto dei beneficiari risieda nei suoi territori. Quando circa il 50 per cento dei poveri assoluti vive al centro-nord. È un portato del fatto che i requisiti di reddito non tengono conto delle differenze nel costo della vita fra regioni. Del resto, i criteri sembrano fatti unicamente per contenere le spese piuttosto che per raggiungere i più poveri.

UN MINIEMENDAMENTO

C’è un lungo elenco di cose da fare per far ripartire il paese, con molte riforme a costo zero. Le stiamo elencando sul sito. Basta scegliere. Se questo esecutivo non è davvero capace di definire le priorità, si limiti almeno a rispettare gli impegni presi col paese. Aveva promesso 3 miliardi e 200 milioni nel 2009 per il bonus famiglia e la carta acquisti. Ne ha spesi circa la metà e ha ricevuto donazioni (da Eni, Enel e amministrazioni locali) per circa 350 milioni. Con questi fondi può costruire una rete contro la povertà. Allarghi subito la platea dei beneficiari della carta acquisti rimuovendo i vincoli anagrafici: i poveri vanno aiutati a tutte le età. Stimando che la povertà assoluta in Italia riguarda circa 3 milioni di persone, raggiungendole tutte si arriverebbe a un costo complessivo di circa un miliardo e mezzo, meno di quanto risparmiato nel 2009 rispetto agli stanziamenti per bonus famiglia e social card. Servirebbe anche per cominciare a testare l’utilizzo dell’Isee a fini delle rilevazioni sulle situazioni di bisogno.

((Tratto da Lavoce.info.it)