Archivi Mensili: giugno 2020

SE AVETE IN MENTE DI NASCERE, ASSICURATEVI DI NASCERE BIANCHI E MASCHI


SE AVETE IN MENTE DI NASCERE, ASSICURATEVI DI NASCERE BIANCHI E MASCHI

Quando ero bambina, al collegio di St. Francis, le suore cattoliche ci battevano con una frusta da calesse, per quella che chiamavano “disobbedienza”.

A dieci anni, riuscivo a bere mezzo litro di whisky senza rimettere.

A dodici, le suore mi picchiarono perché ero ” troppo libera con il mio corpo”.

Tutto quello che avevo fatto, era stato camminare, mano nella mano, con un ragazzo.

A quindici anni fui violentata.

Se avete in mente di nascere, assicuratevi di nascere bianchi e maschi.

Mary Crow-Dog, donna Lakota

NESSUN GIORNALE HA PENSATO A QUEI FIGLI UCCISI DAL PADRE


NESSUN GIORNALE HA PENSATO A QUEI FIGLI UCCISI DAL PADRE

Lo sapete tutti.

Purtroppo è una notizia sconvolgente: un padre che uccide i figli, e poi si suicida.

Non posso dire che sono cose che succedono e basta, sì succedono, troppo spesso, ma quello che voglio sottolineare è come i giornali hanno riportato la notizia.

Il Mattino, il primo quotidiano, forse, che ha messo la notizia, titola: “dramma dei papà separati“. Per inciso l’uomo non era ancora una papà separato, il procedimento legale per la separazione era appena iniziato.

Di fronte a un padre che riesce a compiere un atto atroce che la mente quasi si rifiuta di concepire, per di più battezzandolo come una vendetta contro la ex moglie, non si può, ma proprio non si può, titolare “Il dramma dei padri separati”.

Perché non è solo una bestemmia, ma è una vera violenza contro le vittime, uccise due volte.

Due bambini di dodici anni.

Per i quali nessuno ha pensato di titolare “Abbiamo perso due vite, due speranze per il futuro, due meravigliose creature”.

E invece no, invece bisognava straziarli anche da morti per farne brandelli di una qualunque idiota, vigliacca, vergognosa diatriba condotta sulle loro fragili vite.

Ora, vorrei solo dire agli autori degli articoli, di guardare di più la quotidianità, dove un gran numero di uomini, con concezioni proprietarie e patriarcali della famiglia, dicono cose orrende e sorridono, fanno cose abominevoli e sorridono, vanno sorridendo a votare i peggiori misogini sul mercato, si tolgono il cappello per salutare il vicino di casa, sorridendo, mentre nell’altra mano reggono la borsa in cui sta un martello, un’ascia, una pistola.

L’UNICA VERITÀ È CHE NON SI È MAI VOLUTO SCOPRIRE LA VERITÀ


L’UNICA VERITÀ È CHE NON SI È MAI VOLUTO SCOPRIRE LA VERITÀ

Ieri era il quarantesimo anniversario di Ustica.

Nonostante le innumerevoli inchieste e alcune sentenze, soprattutto civili, ancora non abbiamo una verità.

Tra poche settimane, il 2 agosto, saranno quarant’anni dalla strage alla stazione di Bologna e diremo che, nonostante gli innumerevoli processi e alcune condanne, ancora non abbiamo una verità, soprattutto sui mandanti.

Molti dubbi e molte ombre persistono.

Pochi mesi fa erano cinquant’anni dalla strage di piazza Fontana e, nonostante gli innumerevoli processi, ancora non abbiamo una verità, né colpevoli in galera.

Ad ogni anniversario ripetiamo, e sentiamo ripetere, questa stanca recriminazione: non abbiamo una verità.

Eppure, paradossalmente, l’unica verità, l’unica certezza che lega tutte queste stragi, e tutte le altre che si sono succedute dal 1969 al 1984 e poi ancora fino al 1993, è proprio questa: è che viviamo in uno Stato nel quale più soggetti istituzionali si sono messi di traverso alla ricerca della verità.

L’unica verità è che ci sono cose inconfessabili, anche in uno Stato democratico, quale è il nostro dal dopoguerra in poi.

Qui, nel nostro Paese, si sono combattute più guerre non dichiarate, oltre a quella che, secondo un giudice civile, ci fu nel cielo di Ustica la sera del 27 giugno 1980.

In Italia si sono combattute guerre interne, anche con tentazioni golpiste, dalla fine degli anni sessanta in poi.

Quindi guerre internazionali, che avevano sullo sfondo la cortina di ferro e le tensioni mediorientali.

Guerre tutte sporche, proprio perché non dichiarate, e dunque combattute con le bombe nel mucchio, le stragi di innocenti, i depistaggi.

L’unica verità è che non si è mai voluto scoprire la verità.

L’unica verità è che la verità è stata sempre sottomessa alla cosiddetta ragion di Stato, principio superiore che passa sopra ai morti, meri effetti collaterali.

E si può perfino capire che, come disse il ministro degli Esteri Gianni De Michelis, in uno Stato ci sono cose che possono stare sopra il tavolo e altre che devono stare sotto il tavolo.

Ma a quale prezzo.

In un Paese come l’Italia, popolato da simili fantasmi come nessun altro.

Il prezzo, ad esempio, di una perdita di fiducia da parte del popolo nei confronti delle istituzioni.

È passato tanto tempo, sarebbe ora di riconoscere agli italiani il diritto di sapere.

(Michele Brambilla)

CONOSCO DELLE BARCHE


CONOSCO DELLE BARCHE

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

Jacques Brel

“SE UNA DONNA ESCE DI CASA E GLI UOMINI NON LE METTONO GLI OCCHI ADDOSSO, DEVE PREOCCUPARSI”


“SE UNA DONNA ESCE DI CASA E GLI UOMINI NON LE METTONO GLI OCCHI ADDOSSO, DEVE PREOCCUPARSI”

“Se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è in primo piano. Vedi, tu puoi fare l’avvocato, il magistrato, fare tutti i soldi che vuoi, ma il femminile in una donna è la base su cui si siede il processo. Se gli uomini ti desiderano, sarai un magistrato migliore, una professoressa migliore.”

I giornali mi hanno informato che l’autore di questa opinione, è il sig. Raffaele Morelli, “psichiatra e psicoterapeuta, che ha pubblicato decine di libri, dirige una delle riviste sul “benessere” più note d’Italia e viene invitato, regolarmente, in tv e radio.”

Mi hanno anche mostrato la sua foto in posa, mezzobusto torto con occhiali in mano, che è uno dei format rappresentativi dell’intellettuale di sesso maschile (il più noto è l’uomo con la mano sul mento).

Riporta, sempre la stampa, che nel successivo confronto con la scrittrice Michela Murgia “ha prima detto di essere stato decontestualizzato, poi, incalzato dalla scrittrice e conduttrice, dopo aver pronunciato altre frasi sessiste, ha concluso il suo intervento con Zitta e ascolta!“.

L’ignorante con laurea, che rimette le donne al loro posto (nel letto in primis), piace molto ai media italiani.

Se la stronzata sessista la dice un conduttore qualsiasi, possono sorgere dubbi sulla validità della stessa, perciò entra in scena qualcuno, con le credenziali giuste, a spiegare che una donna può avere qualsiasi tipo di abilità e aspirazione, essere bravissima nel mestiere che si è scelta e persino ricca, ma se le mutande degli uomini non si gonfiano, al suo passaggio, resta una fallita comunque.

Il “femminile”, com’è noto, si traduce per i misogini con “servizio” – sessuale, emotivo, materiale, di cura, eccetera – all’altro sesso e naturalmente ormai avete letto e forse scritto al proposito di tutto e di più, perciò non intendo annoiarvi, con analisi dettagliate né, ce ne scampi iddio, suggerire che le autorevoli pensate del sig. Morelli, subiscano censura a causa del risentimento delle brutte, bieche, stronze femministe.

Mi limiterò a consigliare un minimo di fair play.

Molto è stato detto in passato sul “trigger warning”, (avvertimento), nel bene e nel male.

Si tratta di un messaggio che precede la fruizione di un qualsiasi prodotto multimediale, avvisando il pubblico che il contenuto potrebbe stimolare, negativamente, chi ha subito un determinato trauma.

Se è vero che evitare tutte le occasioni di stress è impossibile e persino che non affrontare e non contrastare gli stimoli negativi può ritardare la guarigione, è altrettanto vero che, come donne, non siamo obbligate a mandare giù merda 24 ore su 24.

Dopo che hanno respinto la nostra domanda di assunzione, perché le mutande dell’esaminatore non hanno avuto quel che volevano (per nostra scarsa “femminilità” o per nostro rifiuto), dopo aver subito molestie in strada – a scuola – al lavoro – online, dopo essere state assalite, ingiuriate, aggredite, discriminate, umiliate, violate in centinaia di modi diversi, ma con incrollabile continuità, potremmo non desiderare intrattenimento che ripete e giustifica tale trattamento.

Perciò egregi presentatori, sceneggiatori, produttori e quant’altro, siate corretti e quando vi proponete di insultarci ulteriormente, date l’avviso con qualcosa di questo genere: “Il programma che sta per andare in onda contiene materiale inappropriato per le donne che pensano di essere titolari di diritti umani, cittadine a pieno titolo, degne di rispetto e libere.”

Maria G. Di Rienzo

Aggiungo una mia nota. Anzi una domanda.

Qualcuna di noi, si è presa la briga di analizzare il documento prodotto dalla task force “al femminile” allestita dal governo come parte dell’operazione pensata per far fronte alla epidemia di Covid-19?

Forse no.

In ogni modo, una cosa ovvia la posso dire subito, così ce la leviamo di mezzo.

Recintare le “femmine” in modo che non vadano a infastidire i maschi, è stato un ottimo modo per far sì che qualsiasi istanza, ragionamento o proposta prodotta dal suddetto recinto delle femmine, cadesse nel vuoto.

Ma intanto gli uomini, dopo, si possono dare delle pacche sulle spalle e dire che almeno le hanno “lasciate parlare”.

Però, se si volesse veramente cambiare qualcosa, inserire un pensiero laterale, provare a incidere sul reale, quelle dodici donne che sono state isolate, le si potevano prendere e distribuire nelle varie task force, a seconda delle competenze individuali e della visione politica, nel senso più ampio.

Se invece, com’è apparso, delle donne non interessa a nessuno di quello che dicono, allora si fa l’operazione cosmetica di mettercele, ma isolate, così non toccano niente. Del resto, “non toccare niente” è un po’ la matrice di tutta l’operazione, anche a monte.

Alla prossima.

GLI UNICI STRUMENTI DI LAVORO CHE UN BAMBINO DOVREBBE AVERE IN MANO SONO LA PENNA E LA MATITA


GLI UNICI STRUMENTI DI LAVORO CHE UN BAMBINO DOVREBBE AVERE IN MANO SONO LA PENNA E LA MATITA

“Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe avere in mano sono la penna e la matita”.

Iqbal Masih

Iqbal è stato un bambino operaio e attivista, diventando un simbolo nella lotta contro il lavoro minorile.

Iqbal è nato in Pakistan, come Zohra, in una famiglia poverissima.

A quattro anni lavorava già in una fornace e a cinque fu venduto, dal padre, ad un venditore di tappeti per pagare un debito di 12 dollari. Iqbal ha lavorato con altri bambini, incatenati ad un telaio per 10-12 ore al giorno, è scappato e si è impegnato per difendere i bambini come lui.

È stato ucciso il 16 aprile del 1995, aveva 12 anni, in circostanze ancora non chiare.

Bisogna raccontarle ai nostri figli queste storie, e non solo perché sappiano di essere più fortunati, ma perché sappiano, nella vita, fare le scelte giuste, in un’ottica di uguaglianza e solidarietà.

Zohra era una bambina di otto anni, anche la sua famiglia era poverissima. Era partita quattro mesi fa dal suo villaggio per lavorare in una famiglia benestante come domestica, una domestica di otto anni, non si riesce nemmeno ad immaginarla, mani piccole, infanzia rubata.

Si sarebbe occupata anche del loro bambino di un anno. Ai genitori era stata promesso, in cambio del suo lavoro, un’istruzione.

L’istruzione è come l’oro, permette la libertà.

La piccola, non è mai andata a scuola, da subito è stata esposta a continue violenze, probabilmente anche sessuali.

Poi è successo, è stata brutalmente uccisa.

Zohra è morta per aver fatto scappare due pappagalli, potrebbe averli liberati o potrebbero essere fuggiti mentre puliva la gabbia, poco importa e comunque non lo sapremo mai. Quello che conosciamo, invece, è la reazione dei suoi padroni.

L’hanno picchiata, torturata, fino ad ucciderla. Nonostante le urla e le sue richieste di perdono mentre le portavano via l’esistenza.

Zohra non era più una bambina, ma era diventata una schiava. Aveva perso la dignità e la libertà, nel momento esatto, in cui era stata ceduta o forse prima, nel momento in cui era nata povera.

È di questo di cui dovremmo preoccuparci tutti, eliminare le disuguaglianze economiche; un padre e una madre, in qualsiasi luogo del mondo, non dovrebbero mai essere costretti a far lavorare il proprio figlio o la propria figlia. Ed ogni bambino su questa Terra avrebbe il diritto di essere accudito, istruito, avrebbe il diritto di poter essere un bambino.

Fa male questa morte, perché ci racconta che esiste ancora un sistema in cui, da una parte ci sono dei padroni, gli adulti, coloro che dovrebbero tutelare e, dall’altra, dei bambini che sono privati della loro vita, resi schiavi.

Cercando la notizia e leggendo i vari articoli, mi sono accorta di una cosa, nessun giornalista ha usato parole come schiava e schiavisti. Non credo di averle trovate nemmeno una volta, si parla di “datori di lavoro” riferiti ai carnefici, quasi mai di padroni, quello erano, mai di schiavitù.

Ma stiamo parlando di schiavitù.

Forse è troppa la paura e l’angoscia di dare il nome giusto alle cose?

Forse dovremmo farci troppe domande e forse sarebbero chiare le nostre colpe?

Quello che succede dall’altra parte del mondo non ci riguarda in qualche modo? Non è anche il risultato delle nostre politiche europee, occidentali? O no?

È necessaria la morte di una bambina di otto anni, perché aveva lasciato fuggire due papagallini,  per risvegliare le coscienze? È necessario il suo viso pieno di ferite, per ricordarci che il lavoro minorile esiste ancora, così come esiste la povertà infantile e la pedofilia?

Quante Zohra ci saranno nel mondo che, in questo momento sono schiave come lei? Che subiscono violenza, che rovistano nei cassonetti o nella spazzatura, che si prostituiscono, che sono state vendute o cedute, che lavorano in qualche miniera o fabbrica di vestiti?

Hanno mani piccole i bambini, corpi esili. È facile fisicamente e moralmente sottometterli, per questo sono carne da macello.

Dovremmo occuparci della povertà, ecco.

Ma se Zohra non fosse morta, qualcuno avrebbe conosciuto la sua storia?

Ci saremmo accorti di lei?

Io credo di no.

 

UN TEMPO, IN UNA SELVAGGIA REGIONE….


UN TEMPO, IN UNA SELVAGGIA REGIONE….

Un tempo, in una selvaggia regione, gli anziani malati venivano abbandonati a morire su una impervia montagna.

Un giorno, un povero contadino portò il vecchio padre sulla montagna.

Stava per lasciarlo appoggiato ad una roccia, quando il padre gli disse: «Portami più in su».

«Perché?» chiese il figlio.

«Perché proprio qui ho lasciato mio padre. Vorrei morire in un altro posto».

Il giovane capì cosa sarebbe capitato a lui a distanza di una trentina d’anni.

Si caricò il padre sulle spalle e lo riportò a casa.

CONSIGLI PER LA MIA ELY


CONSIGLI PER LA MIA ELY

Consigli per la mia Ely.

Innamorati di una persona che come primo saluto, al mattino usa un “Come stai?”. Non perché tu stai male, ma perché, per lui, la cosa più importante e che tu stia bene.

Innamorati di una persona che ti bacia all’improvviso, senza un motivo, per avere, ogni volta, l’emozione di un amore che sorprende. Qualcuno che usa gli abbracci invece delle parole quando sei triste, e che, invece dei consigli, usa il battito del suo cuore per calmarti.

Innamorati di una persona che ti dedica canzoni tutti i giorni, perché ogni canzone gli ricorda te. Per questo tu sei una meravigliosa creatura o una bella stronza tutto nello stresso giorno.

Innamorati di una persona che la pensa in modo totalmente opposto a te, ma che ha sempre voglia di ascoltare la tua opinione. Che passi serate intere a spiegarti il suo punto di vista. Che si incazzi in modo esagerato, se tu non sei d’accordo, e che vuole fare pace facendo l’amore.

Innamorati di una persona che ti prende in giro, una persona che ama ridere più che sorridere.

Innamorati di una persona curiosa, che ama viaggiare e sempre ti ricorderà che casa sua sarà solo dove sono poggiati i tuoi occhi e i tuoi piedi, tutto il resto del mondo fa volume.

Innamorati di una persona che sa isolarsi nella malinconia dei suoi silenzi, che capisce l’importanza di un pianto liberatorio.

Innamorati di una persona che ami la tua libertà, la tua indipendenza e che rispetti le tue scelte. Ma che ogni tanto ti faccia una sfuriata di gelosia, perché in fondo tu sei il suo mondo.

Innamorati di una persona che abbia il miglior odore dell’universo, quello che riconosceresti ovunque, quello unico che solo tu puoi apprezzare. Quell’odore tanto simile alle tue emozioni.

E, alla fine, innamorati di quell’unica anima che potrai mai amare con tutta te stessa. Non accontentarti di un amore mediocre, di un amore che non è amore.

Innamorati, perché non ne puoi fare a meno, non perché non vuoi stare sola.

 

LEI SA DI ESSERE INVISIBILE


LEI SA DI ESSERE INVISIBILE

Dietro ad una donna che subisce violenza c’è una famiglia che non vede.

Dei vicini che non sentono.

Un quartiere che si volta dall’altra parte.

Una società che l’ha abbandonata.

Un sistema che nega.

Quando una donna non denuncia è perché un’altra lo ha già fatto ed è morta, oppure, se si è salvata il suo carnefice ha avuto una pena irrisoria.

Una donna che subisce violenza, è una donna che vive in un palazzo, prende un ascensore, saluta, incontra, attraversa le strade della sua città, compra dentro ai negozi, finisce in ospedale, ha delle amiche, porta i figli a scuola, magari va in chiesa.

Una donna che subisce violenza è invisibile e il carnefice non è quasi mai un mostro spuntato all’improvviso dal folto di un bosco, ma suo marito o il suo compagno, eppure, il più delle volte, quella donna sembra arrivata da chissà quale pianeta.

Nessuno l’ha vista. Nessuno ha sentito. Nessuno sa.

Perché subisce? Ci si chiede sempre di fronte alle storie di femminicidi e violenza?

Perché non è stupida.

Lei lo sa di essere invisibile. Lo sa quando subisce violenza. Quando denuncia, quella violenza.

E dopo, è sempre sola, anche quando esce la sentenza, ovviamente solo se è riuscita a dimostrare la colpevolezza del carnefice.

Lei lo sa, che noi non la vediamo.

Lei è la ragazza dell’ultimo piano, che, ogni tanto, si sente urlare la sera, è la mamma di qualche alunno, che ha un livido sull’occhio e poi un altro sulla mano, è lo sguardo silenzioso di una figlia che trema appena la sfiori, è la donna che compra la frutta dal negozio all’angolo, è la vicina di banco all’università, la collega, quella che ci ha detto: un giorno o l’altro mi ammazza.

Lei lo sa che il mondo, soprattutto quello maschile, gira lo sguardo.

Si vergogna di sé stesso e ci vergogniamo noi donne di non riuscire a togliergli tutto il potere che detiene.

Perché una donna subisce così tanto da diventare in mano al suo aguzzino carne da macello? Perché non si ribella? Perché permette che lui le infilzi due spille da balia nella bocca?

Perché ? Ha paura.

Sa di essere sola. Sa che è lei quella che deve scappare di casa. Nascondersi. E poi ci sono i figli.

Per fortuna ci sono i centri antiviolenza che non smettono mai di essere un presidio importante in questa lotta e devono elemosinare risorse per stare in piedi, il che per un Paese come il nostro, è un’indecenza.

La maggior parte degli uomini difficilmente parla di violenza sulle donne e condivide articoli e storie di femminicidi, in fondo è sempre una cosa che non li riguarda.

Ma c’è una parte di loro che inizia a dissociarsi da comportamenti violenti e, soprattutto, lo dice. Lo esprime.

Non basta stare in silenzio. Chi tace fa da concime al terreno della violenza sulle donne.

E fino a quando il negazionismo farà questa parte, le donne continueranno a subire e a morire.

 

LA STRADA DEL CONSENSO


LA STRADA DEL CONSENSO

Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano.
Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell’ossequio e del consenso, che è senza ritorno.

Primo Levi