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QUALCOSA DI SEMISERIO


Teledipendenza
Allo zoo tutti gli animali, chiusi nelle gabbie. piangevano la libertà.
Camminavano incessantemente su e giù per la gabbia, annusavano ovunque cercando un’apertura per fuggire, alcuni addirittura deperivano, perdevano il pelo e l’appetito e si accovacciavano intristiti, senza più muoversi.
Il direttore dello zoo ebbe un’idea. Che cosa fece? Li liberò? No, fece installare in ogni gabbia un televisione che trasmetteva programmi realizzati proprio per loro. Da quel momento la vita cambiò: tutti animali, senza più lamentarsi, cominciarono a seguire le trasmissioni con interesse. Erano documentari sulle savane, le giungle e i deserti da cui provenivano, e a tutti sembrava di viverci di nuovo.
Naturalmente le trasmissioni avevano effetti diversi: per antilopi e zebre i documentari sui leoni erano i film del terrore; per i leoni, quelli su antilopi e zebre erano “programmi aperitivi”.
Insomma, tutti erano interessati ai programmi e trascorrevano la giornata davanti al video.
Il direttore volle fare di più: ideò degli sceneggiati che ebbero un enorme successo. Si intitolavano: “Come ingannare il cacciatore”,”Il giorno che mi mangiai il domatore”, e altri ancora. Gli animali, sognando a occhi aperti, si immedesimarono nei protagonisti, battevano le zampe, facevano il tifo.
Per perfezionare la sua idea, il direttore commissionò una nuova serie di telefilm dal titolo “Com’è bello vivere in gabbia”, nei quali si magnificava la bellezza della vita nello zoo, e quanto faceva bene alla salute. alla sicurezza e alla libertà.
A vederli, gli animali si commuovevano addirittura: – Eh, sì – dicevano siamo proprio fortunati a vivere in gabbia…

di Marcello Argilli

PROVE DI FORZA NERA


Come ci si aspettava, la conseguenza della legge che ha istituito e rese legali le ronde, “quelle verdi leghiste”, sta producendo i suoi effetti collaterali: le ronde nere fasciste.

A Roma, in via Nazionale, sono comparse ieri notte, le ronde nere fasciste, quelle che si definiscono volontari della Guardia Nazionale Italiana, e fra di loro, marciava in bella vista  Maria Antonietta Cannizzaro, presidente del MSI-DN. Non posso chiamare “onorevole” questa donna che, per me di onorevole ha proprio poco, nel suo modo di pensare e nel suo sistema politico.

Alla guida della squadraccia nera il super-militante fondatore rondifero,  l’amato, coltivato e protetto da Licio Gelli, Gaetano Saya già rinviato a giudizio nel 2004, per propaganda politica di idee sull’odio razziale, ma ancorà libero e felice di camminare, come un “galletto fascista”, per la città.

Naturalmente la divisa  era d’obbligo: camicia color giallo-marrone, pantaloni neri, stemma tricolore e la scritta romana SPQR. Una imitazione, ma anche un simbolo!

Hanno marciato per le vie di Roma, col braccio destro alzato.

Che cosa hanno vigilato, stando in formazione così compatta?, Quali cittadini hanno protetto? Che cosa hanno visto al di là del loro braccio?

Niente di niente.

E’ stata una vera e propria sfilata politica, un dimostrazione di forza, un avvertimento per la popolazione.

C’era chi rideva al vederli passare e marciare come fascisti, con lo sguardo sicuro, il mento ed il petto in avanti e la boria dell’impostazione fisica, le gambe tese, il passo sicuro.  Ci si aspettava che gridassero “a noi” oppure dicessero “me ne frego” e poi eravamo ripiombati di colpo indietro di un secolo o quasi. Quanta scena! Ma quanta pena!

Alla protesta dei cittadini, quelli almeno dotati di buon senso, Alemanno, il sindaco nero di Roma, quello di “colle Oppio”, ha detto: “Chiedo ufficialmente al Prefetto e al Questore  di intervenire immediatamente per evitare che la nostra città venga segnata dalla vergognosa pagliacciata delle ronde nere”.

Sì Alemanno chiede alle autorità di intervenire, ma sotto sotto si frega le mani. Ci siamo anche noi, pensa e non sono pagliacciate.

Io credo che nulla di queste esibizioni vada sottovalutato. Bisogna invece riflettere e reagire. La cecità di un “regime”, storicamente condannato,  che ha impoverito l’Italia tutta, gettandola in una guerra insensata, non deve ritornare. Neppure in farsa. Offende i morti civili e militari di quel tempo e ora, attenta alla libertà dei cittadini.

UNA PERSONA CHE BERLUSCONI AVREBBE ODIATO: UN CATTOCOMUNISTA DOC


DON LORENZO MILANI

 “Quando l’obbedienza non è più una virtù”

Le parole che disse a proposito dell’obiezione di coscienza

«Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce». Don Milani priore di Barbiana studia da profeta. Lo dice a volte con l’ironia ed il sarcasmo che gli sono consueti. E lo dice da profeta moderno, anche con il suo linguaggio che per forza e immediatezza non può non ricordare i profeti della Bibbia. Isaia in testa.

Quella di don Lorenzo Milani, prete ortodosso fino allo spasimo, fino alle lacrime, è una vera e propria strategia, un metodo: sulle orme di Socrate e di Cristo, vuol turbare le coscienze, condurle alla riflessione critica.

«Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero» scrive, illustrando il suo metodo pastorale.

«Vedi, con la dolcezza – spiega a un altro prete, don Renzo Rossi – raggiungerei soltanto quelli che non hanno bisogno delle mie osservazioni. Con la durezza invece ho la speranza di sconquassare quelli, in buona fede, che non potrei raggiungere. Chi riceve uno schiaffo, se è in mala fede, reagisce male, si ribella. Se invece è in buona fede, viene scosso, e poi è portato a riflettere. Con la dolcezza lo lascerei nell’illusione!».

Sulla sua figura di profeta il priore di Barbiana scherza con una strana drammaticità. «…ho cambiato malattia – fa sapere in una lettera al suo avvocato, Adolfo Gatti -. Contro ogni regola scientifica son passato dal linfogranuloma alla leucemia mieloide. Due malattie altrettanto inguaribili ma l’una e l’altra dotate dell’unica qualità che mi sta a cuore cioè di non richiedere operazioni. Perché io sono un profeta e un eroe, ma fino alle estrazioni dentarie escluse (lo sa che in antico dicevano “lo giuro sui miei genitori ecc. ecc. fino al rogo escluso”?)». Ironia dunque. Ma le condizioni di vita, relegato tra i monti del Mugello a Barbiana; il modo di esprimersi sempre diretto, chiaro e dirompente; la capacità di vedere al di là della superficie del reale; la terribile malattia, che lo porterà alla morte giovane, ne fanno un vero profeta. E tra gli scritti proprio la Risposta ai cappellani militari e la Lettera ai giudici sono i più profetici, sia sul piano stilistico che dei contenuti.

Un esempio sul piano stilistico: «Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l’esempio e il comandamento del Signore è “estraneo al comandamento cristiano dell’amore” allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!».

Un altro esempio misto.

«Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri». Non è il «Guai a voi…» di Isaia. Ma il tono è quello. La potenza della parola è quella.

Per il contenuto: «…la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la Chiesa né per la Costituzione». Sono solo tre esempi e se ne potrebbero fare decine.

I due scritti sono profetici anche per altre due caratteristiche.

Si parte infatti da un caso circoscritto, i giovani obiettori al servizio militare finiti in carcere negli anni Sessanta, per affrontare il vero problema che è questione di principio essenziale: la libertà di coscienza. Si arriva a dire ai giovani «…che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni…». E lo afferma un prete che ha fatto dell’obbedienza alla Chiesa dei sacramenti, della remissione dei peccati, una ragione di vita.

L’altra caratteristica è questo avere un interlocutore non generico, un interlocutore che spesso detiene il potere.

Non a caso davanti a don Milani c’è sempre un uomo in carne ed ossa, qui ed ora, a cui ciò che scrive è indirizzato. La maggior parte degli scritti e delle opere sono, forse proprio per questo, sotto forma di lettera. Quell’apparente anomalia che può sembrare Esperienze pastorali, in realtà, ne contiene almeno tre formalmente stilate: Lettera aperta a un predicatore, Lettera dall’oltretomba, Lettera a don Piero. Insomma la forza della parola di don Milani è proprio in questo ragionare in concreto per arrivare ai princìpi. E la lettera è la forma più adatta per questa operazione.

Per capire la potenza della parola milaniana che muove le coscienze, basta fare un confronto tra la sua Risposta ai cappellani militari e la Lettera aperta ai cappellani militari di don Bruno Borghi.

La lettera di don Borghi, un prete operaio fiorentino di grande caratura, non smuove le coscienze, non suscita la polemica feroce. È una fredda e asettica riflessione intellettuale. Viene pubblicata, pur essendo stata diffusa prima, solo con gli scritti di don Milani.

Il priore sa la potenza della propria parola e fa tutto in piena coscienza: «Sto scrivendo – confida alla madre – una lettera ai cappellani militari (…). Spero di tirarmi addosso tutte le grane possibili». E le grane non mancano: lettere minatorie, insulti, attacchi sui giornali fascisti, la minaccia di sospensione a divinis, e poi la denuncia e il processo. La condanna dopo la morte.

La parola potente e dirompente di don Milani ha però un fine ultimo ulteriore: «È per me il processo può essere solo una nuova cattedra per fare scuola…» scrive. In buona sostanza l’obiezione di coscienza è solo un appiglio per continuare ad essere maestro di libertà per quelle poche decine di creature per cui aveva «perso la testa»: i piccoli alunni della scuola di Barbiana. Ancora una lezione mirata, che proprio per questo può diventare universale.

Va detta una parola sulla violenza di don Milani. È una violenza verbale che nasce da una miscela esplosiva: un pensiero forte, tagliente e sovversivo; la certezza, come credente e cattolico ortodosso, che la verità si mostra; il gusto ironico del paradosso e dell’iperbole, che spesso non è stato inteso. L’ingrediente più pericoloso è l’idea che la verità è come la luce e si mostra. Chi non la vede è quindi in malafede, è accecato dalla propria malvagità. Un errore simile a quello dei grandi profeti. Fortunatamente don Milani, come Gandhi e King, attenua l’errore professandosi nonviolento. L’errore teorico è bloccato nella prassi.

D’altra parte non si può chiedere a un profeta di leggere Stuart Mill o Karl Popper.

Carlo Galeotti

 

VACCINAZIONE DI MASSA O CONFLITTO D’INTERESSI?


VACCINAZIONE DI MASSA O CONFLITTO D’INTERESSI?

Almeno il 40% degli italiani si dovrà vaccinare contro la febbre suina.

Un numero davvero impressionante oltre 25 milioni di persone, compreso le donne in gravidanza e i bambini. Un ciclo vaccinale è costituito da due dosi di vaccino e pertanto verranno acquisite 50 milioni di dosi di vaccino pandemico. La spesa dell’acquisto di tutte queste dosi sarà un spesa enorme, davvero pazzesca.

Ma grossi dubbi mi frullano in testa, uno, in particolare, grande, enorme e indigesto.

Si dà il caso che Sacconi sia coniugato con una donna, certamente brava e in gamba, di nome Enrica Giorgetti, che è stata  assunta alla direzione generale di Farmindustria. C’entra per caso qualcosa con questa vaccinazione di massa?

Anche  chi non ha dimestichezza con certi affari comprende che si è di fronte ad un grandissimo conflitto di interessi: il responsabile dell’ex (defunto) ministero della salute pubblica è il marito della responsabile di un’azienda che si occupa di farmaci. Il ministro ordina la vaccinazione di massa, con farmaci prodotti e commercializzati, dalle aziende della moglie.

Già, a suo tempo, il giornalista della nostra stampa italiana, il meno bolscevico che esista, Vittorio Feltri, il 22 luglio scorso, predisse una cosa del genere, e cioè che ci sarebbe stata una vaccinazione gratuita, in merito alla diffusione del virus dell’A/H1N1 anche nel nostro paese. Forse aveva sentito voci di corridoio.

I pareri di illustri farmacologi, come Garattini dell’Istituto M. Negri di Milano, contano poco, per questi governanti, dalla vocazione inutilmente iperprotettiva. Ha detto infatti che “Se il virus della nuova influenza non muterà, acquisendo una maggiore virulenza rispetto alla attuale, la vaccinazione di massa non è necessaria”.

Nel caso, disgraziatamente, aggiungo io, il virus mutasse, cioè cambiasse qualcosa della sua struttura, non sarebbe più lo stesso di prima  e quindi la vaccinazione  eseguita non preserverebbe dalla nuova influenza, perché predisposta contro un virus, l’attuale A/H1N1, non mutato.

Perciò il piano di vaccinazione, così ampio, com’è stato predisposto, diventa realmente un grande affare, sicuramente poco reale per i cittadini, ma assai più reale per la moglie di Sacconi.

In ogni modo ci pensano i mezzi di informazione di massa a farci venire addosso la paura e questa è sufficiente a farci correre tutti agli ambulatori dei nostri medici per farci vaccinare, forse inutilmente. Ma intanto sulle nostre paure, inculcate ad arte e con astuzia, perché ci feriscono toccando il sensibile tasto della salute, c’è chi farà badilate di soldi, a spese ovviamente della comunità.

IO, NUOVA SCHIAVA


                                               IO, NUOVA SCHIAVA

Presto, prestissimo il governo italiano approverà la legge sul Testamento Biologico. E’ la mossa di Berlusconi, per avere il totale perdono della Chiesa, sulle sue “scappatelle” sessuali. Venderà la mia vita alla Chiesa, in cambio del suo perdono e del voto dei cattolici ed io, cittadina italiana, divento una schiava a tutti gli effetti. Non sarò più padrona della mia vita e neppure potrò decidere come morire. Dovrò subire l’imposizione e l’umiliazione di un’alimentazione artificiale, non voluta né desiderata, quando verrà la mia ora. Dico questo perché, se non mi viene un accidente secco prima, per un motivo o per un altro finirò con il diventare un essere umano “in terapia forzata” senza rispetto della mia volontà.

Il Testamento Biologico dovrebbe servire proprio per rispettare le volontà della persona, quando, ancora capace di intendere e volere, è in grado di decidere per sé.

Adesso con la prospettiva di questa legge, pare urgentissima, dettata dall’ipocrisia di questi atei devoti, di questi clericali e fascisti che ci governano, nonchè dalla fretta di Berlusconi di tornare tra le braccia del Vaticano, diventerò una schiava, mi sarà tolta la libertà di decidere per me stessa, schiava appunto.

Decide per me, come devo morire e cosa debbo bere o mangiare, quando starò “tirando gli ultimi respiri” un Gasparri qualsiasi, un Quagliariello sconosciuto ed un Berlusconi in spasmodica attesa del perdono della Chiesa.

 

Segnalo questo interessante articolo, tratto da Biopolitica, nel quale si precisa che sia l’alimentazione artificiale che l’idratazione sono trattamenti terapeutici e quindi deve essere rispettata la volontà del paziente.

Se diventa noioso e lungo leggerlo tutto, invito comunque a soffermarsi sulle ultime considerazioni.

 

INSERITO IN | Biopolitica

La legge sul “fine vita”: cosa dobbiamo aspettarci?

Inserito il 28 giugno 2009

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Tags: Chiesa, fine vita, Naimo, PdL, testamento biologico

– Per quanto possa sembrare strano all’osservatore, le vicende che stanno ultimamente riguardando il Presidente del Consiglio hanno riportato in auge il dibattito sulla proposta di legge sul “fine vita”, approvata in fretta e furia dal Senato, ma successivamente arenata nel limbo delle Commissioni alla Camera.

Non è certo il caso di fare qui il processo alla intenzioni (non è dimostrato né che le gerarchie ecclesiastiche abbiano accettato, né che sia stato realmente loro offerta da Ministri in carica una accelerazione nell’approvazione di tale legge, in cambio di giudizi più “benevoli” sulle note vicende) ma tale ritorno di attenzione può essere uno spunto per analizzare preventivamente la legge che potremmo trovarci a dover subire.

La norma sulla quale vorrei appuntare l’attenzione è l’art. 3, c. 5, della proposta di legge C 2350: essa recita testualmente che “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”.

Il primo problema che la norma sembra eludere è quello della corretta qualificazione di tali attività:  idratazione ed alimentazione forzate sono un trattamento sanitario, alle volte addirittura di tipo chirurgico.

Per citare solo le fonti oggettivamente più autorevoli, sulla natura dell’alimentazione e idratazione attraverso sonda nasogastrica in individui in SVP, basta richiamare le opinioni dell’American Academy of Neurology e della British Medical Association (American Academy of Neurology, Guidelines on the vegetative state: Commentary on the American Academy of Neurology statement and Position of the American Academy of Neurology on certain aspects of the care and management of the persistent vegetative state, in Neurology, 1989, 39: 123-126. British Medical Association, Withholding and Withdrawing Life-prolonging Medical Treatment, BMJ Books, London 1999: il testo è stato elaborato dal Medical Ethics Committee della BMA e riprende, confermandolo, l’orientamento già espresso nel 1992 dallo stesso organismo): entrambe tali autorevoli associazioni giungono alla conclusione che l’idratazione e l’alimentazione forzata in soggetti in SVP (stato vegetativo permanente) sono da considerarsi trattamenti medici, conclusione non contraddetta da alcuno scritto di almeno equivalente dignità scientifica a livello internazionale e valutato come comparabile secondo i c.d. indicatori bibliometrici (ad esempio, il numero medio di citazioni ricevuto dalle pubblicazioni prese in esame), rafforzati dalle nozioni di peer review (il vaglio scientifico dei lavori da parte di colleghi, anonimi ed indipendenti) e di riviste refereed, le quali pubblicano solo lavori raccomandati al direttore per la pubblicazione da almeno due esperti anonimi del settore.

Non a caso, nel 2006 sono state varate dal Ministero della Salute le Linee Guida sulla Nutrizione Artificiale Domiciliare, che riprendono le stesse indicazioni della Nutrizione Artificiale ospedaliera previste in tutte le precedenti Linee Guida nazionali ed internazionali: chiunque voglia leggerle (ed, in particolare, il punto 15.5.0:” Nel caso rappresenti terapia alla fine della vita o nello stato vegetativo permanente la Nutrizione Artificiale dovrà rispondere ai criteri di beneficenza in Medicina o di Medicina Compassionevole, e cioè assicurarla / interromperla rispettando le documentate convinzioni etiche del paziente ma anche del suo ambiente di vita “), troverà numerosi e validi argomenti a sostegno di quanto sopra esposto.

E tutto ciò senza considerare, ad esempio, il caso della somministrazione del composto chimico, attraverso il quale si attua il procedimento di idratazione e nutrizione forzata non per via enterale attraverso sondino nasogastrico, ma per via enterale attraverso gastrostomia, o parenterale (quindi, attraverso la circolazione sanguigna, e per via venosa), la cui natura chirurgica emerge ictu oculi anche agli osservatori più disattenti.

A presunto sostegno della posizione espressa nella norma in esame, la stessa richiama la Convenzione di New York, che già il discusso atto di indirizzo del Ministro Sacconi del 16 dicembre 2008 poneva a sostegno della ritenuta impossibilità di interrompere tali trattamenti: in realtà, la Convenzione conduce a risultati diametralmente opposti da quelli auspicati dai proponenti.

Tale convenzione (alla cui ratifica il Presidente della Repubblica è stato autorizzato con la Legge 18 del 3.3.09, così come con legge  n° 145 del 28.3.01 è stato autorizzato a ratificare la Convenzione di Oviedo) all’art. 25, par. d), prevede che gli Stati membri dovranno richiedere ai professionisti sanitari di fornire alle persone con disabilità cure della medesima qualità rispetto a quelle fornite ad altri, anche sulla base del consenso libero e informato della persona con disabilità interessata, aumentando, tra l’altro, la conoscenza dei diritti umani, della dignità, dell’autonomia e dei bisogni delle persone con disabilità attraverso la formazione e la promulgazione di standard etici per l’assistenza sanitaria pubblica e privata”, nonché “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di cure e servizi sanitari o di cibo e fluidi sulla base della disabilità”(par. f).

Ora, non vi è chi non veda come la finalità della Convenzione sia quella di evitare discriminazioni, garantendo il rispetto della volontà del paziente disabile, anche per il tramite del consenso informato: come tale norma conduca al risultato auspicato dai proponenti la disposizione oggetto di commento è, per chi scrive, mistero francamente irrisolvibile.

Pare a questo punto indispensabile citare anche la Convenzione di Oviedo, il cui art. 5 prevede che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

Posto quanto sopra riportato, l’art. 32 della Costituzione vigente (fino a quando, non è dato sapere, viste le pulsioni che percorrono il Paese), nonché gli artt. 2, 3, e 13 della medesima Carta, garantiscono a ciascuno, anche se incapace, la libertà di autodeterminazione terapeutica, e quindi, di esprimere il proprio dissenso dalla prosecuzione di qualunque trattamento sanitario, condizionato – quanto alla somministrazione e/o prosecuzione – al consenso informato dell’interessato.

Si veda, a tal proposito, la sentenza n. 338 del 2003, con la quale la Corte Costituzionale ha affermato che stabilire il confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia, “collocandosi all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica”(v. anche la sentenza n° 438/08, sempre della Corte Costituzionale).

Pare quindi evidente che il Legislatore potrà legittimamente disciplinare le modalità attraverso le quali dovrà essere reso il consenso informato, ma anche che l’eventuale mantenimento dell’assoluta indisponibilità per l’interessato di disciplinare i trattamenti di idratazione e nutrizione forzata condanni la norma in corso di approvazione ad un certa censura di incostituzionalità

In conclusione, una amara considerazione: chi sostiene di difendere il valore della vita umana contro impostazioni “scientiste”, non si avvede che il risultato della propria impostazione conduce al paradosso di una innaturale valorizzazione dei progressi della scienza, che tanto dichiara di avversare.

Se non abbiamo un momento per fermarci, quante cose ci stiamo perdendo?


Ho tratto dal blog “insiemebloggando.com”, una storia vera, molto bella che fa  meditare sul nostro correre sempre, sul nostro non ascoltare, sul nostro modo di agire sempre e comunque intorno a noi stessi. Ed anche, come occorra essere presenti al momento giusto e nell’ambiente giusto, per essere ascoltati.

 

Si intitola QUANTE BELLE COSE

Un uomo si mise a sedere in un stazione della metro a Washington DC ed iniziò a suonare il violino; era un freddo mattino di gennaio. Suonò sei pezzi di Bach per circa 45 minuti. Durante questo tempo, poichè era l’ora di punta, era stato calcolato che migliaia di persone sarebbero passate per la stazione, molte delle quali sulla strada per andare al lavoro.

Passarono 3 minuti ed un uomo di mezza età notò che c’era un musicista che suonava. Rallentò il passo e si fermò per alcuni secondi e poi si affrettò  per non essere in ritardo sulla tabella di marcia. Alcuni minuti dopo, il violinista ricevette il primo dollaro di mancia: una donna tirò il denaro nella cassettina e senza neanche fermarsi continuò a camminare. Pochi minuti dopo, qualcuno si appoggiò al muro per ascoltarlo, ma l’uomo guardò l’orologio e ricominciò a camminare.

Quello che prestò maggiore attenzione fu un bambino di tre anni. Sua madre lo tirava, ma il ragazzino si fermò a guardare il violinista. Finalmente la madre lo tirò con decisione ed il bambino continuò a camminare girando la testa per tutto il tempo.

Questo comportamento fu ripetuto da diversi altri bambini. Tutti i genitori, senza eccezione, li forzarono a muoversi. Nei 45 minuti il cui il musicista suonò, solo 6 persone si fermarono e rimasero un momento. Circa 20 gli diedero dei soldi, ma continuarono a camminare regolarmente. Raccolse 32 dollari.

Quando finì di suonare e tornò il silenzio, nessuno se ne accorse. Nessuno applaudì, nè ci fu alcun riconoscimento.

Nessuno lo sapeva che il violinista era Joshua Bell, uno dei più grandi musicisti del mondo. Suonò uno dei pezzi più complessi mai scritti, con un violino del valore di 3,5 milioni di dollari. Due giorni prima che suonasse nella metro, Joshua Bell fece il tutto esaurito al teatro di Boston e i posti costavano una media di 100 dollari.

Questa è una storia vera.

L’esecuzione di Joshua Bell in incognito nella stazione della metro fu organizzata dal quotidiano Washington Post come parte di un esperimento sociale della percezione, il gusto e le priorità delle persone. La domanda era: “In un ambiente comune ad un’ora inappropriata percepiamo la bellezza? Ci fermiamo ad apprezzarla? Riconosciamo il talento in un contesto inaspettato?”

Ecco una domanda su cui riflettere: “Se non abbiamo un momento per fermarci ed ascoltare uno dei migliori musicisti del mondo suonare la migliore musica mai scritta, quante altre cose ci stiamo perdendo?”

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