L’UMILIANTE FINE DI BERSANI
Dice il proverbio: “La lingua batte dove il dente duole”. Ed è veramente così. A me duole molto il dente “Bersani”, per il dispiacere di vederlo finito, e in quel modo. Quel mio bravissimo ex presidente della regione, che non riesco più a riconoscere. Capisco che il Pd a guida Renzi abbia fatto errori, tuttavia Bersani è uno che sa fare politica sul serio, non ha fatto altro nella vita e sa anche che si possono fare errori. Ma, per le decisioni che sta prendendo, non lo seguirò più. Troppa la delusione, troppo grande il dispiacere.
I motivi ci sono.
Quando ha capito che la sua battaglia dentro il Pd sarebbe stata perdente, perché il consenso di Renzi era troppo forte, ha scelto di uscire, bollando lo stesso Renzi con il marchio di infame.
Con la sua uscita si è bruciato tutti i ponti alle spalle. Se, per caso, decidesse di rientrare nel Pd, i suoi ex compagni non ucciderebbero il vitello grasso, come il ritorno del fratello maggiore, ma lo ricaccerebbero, tanto li ha offesi e vituperati.
E così, per sua scelta che non ho capito, è diventato un uomo che, con una storia di sinistra, amici di sinistra, non può più tornare a sinistra, nel Pd e non può nemmeno pensare di farci, un domani, alleanze.
A questo punto, può solo andare verso quella sinistra che ci troviamo oggi, che è una foresta frammentata di piccole formazioni, molto colorite, ma del tutto inconsistenti sul piano politico. Tutto materiale fragile, piuttosto rissoso, insofferente verso qualsiasi leadership, il meno adatto per fare politica sul serio, e con un consenso, per ora, sotto la linea del 10 per cento, sommandoli tutti.
Ed ha avuto una illuminazione. La possibilità di una rivincita rincorrendo il Movimento 5 stelle, perché, secondo Bersani, dopo le elezioni avranno una consistenza tale da consentire di fare un governo insieme, e quindi di fare politica. Di fare quella cosa che sa fare e aspira a continuare a fare.
E non ci pensa due volte. Per prima cosa cerca di legittimare i 5 stelle, dimenticando tutto. Dimenticando che Grillo è una S.r.l, dimenticando la Casaleggio associati, dimenticando che razza di democrazia diretta viene esercitata, dimenticando gli assalti in parlamento, dimenticando le scie chimiche, i vaccini, le sirene, i chip sotto pelle e tante altre insulsaggini pericolose.
Si convince che, certo, saranno quello che saranno, ma sono l’unico argine contro una possibile destra eversiva e violenta (così ha detto di recente).
A questo punto cerco di capire quale sia, in Italia, questa destra eversiva e violenta, escludendo la compagine di Grillo perché ritenuta affidabile e con cui ci si può alleare per governare.
C’è Casa Pound, è vero. Ma quanti sono? Non ne ho la più pallida idea. Certamente non un esercito da far paura.
C’è la neomamma Meloni, con i suoi fratelli. Anche lì si possono contare facilmente. Basta una calcolatrice a mano. Anche se ci aggiungiamo Alemanno, Storace e pochi altri, non è che si formi una folla.
C’è Salvini, più forte, col suo esercito che non si raduna più così volentieri a Pontida e non indossa più l’elmo dei vichinghi, uno strano esercito che si allena volentieri al bar davanti ad una birra e sogna la sua Europa, pensa con nostalgia alla lira, e ancor di più alla sua terra del Nord ed ha l’ossessione del “diverso”, qualunque diverso: gay, nero, bianco del sud, musulmano, africano comunque, ecc.. In ogni modo Salvini è quel che è, però ci mette la faccia ed è il capo della lega reale e non un capo travestito da garante. Paradossalmente è più democratico di Grillo. Tutto questo anche a dispetto di Bersani.
È questa sarebbe la destra eversiva e violenta che vede Bersani? Non credo, sarebbe ridicolo. E allora che cosa rimane? Forza Italia? Ma Bersani sa che forza ha questa Forza Italia di oggi, sa quanto è cambiata e sa quanto si è indebolita. Gli fa paura lo stesso?
Però, a pensarci bene, una vera destra c’è. Ed è quella che Bersani indica come argine: i 5 stelle.
Non perché siano pronti a menare le mani o a fare chissà che, ma perché sono fascisti. Perché non hanno alcun rispetto delle norme costituzionali, non hanno democrazia interna e soprattutto sono convinti che l’Italia del futuro debba essere una società pastorale, povera, collocabile, in una decrescita felice, negli anni del primo novecento, quando si lavorava la terra in dolce felicità, si moriva di difterite e morbillo, o di polmonite e tbc, come al tempo del fascismo.
E il benessere, semmai se ne sentisse il bisogno per il popolo felice nella povertà ritrovata, verrà dalle stampanti di denaro, la bellissima lira, grande come un foglio di quaderno. Il tutto sotto la dittatura di un comico cui piacciono solo i suoi, che sceglie le persone a cazzo di cane e di una S.r.l. che cerca di far quadrare i propri bilanci.
Ma il povero Bersani è fuori strada, ancora una volta.
I 5 stelle lo hanno già mandato a quel paese una volta. Non hanno voluto fare accordi con lui nel 2013, quando contava parecchio, e non lo vogliono oggi, quando non conta più nulla. Quando è un specie di esule in patria, un caso umano prima che politico.
Le sorprese non mancano mai, e forse, nel caso di un governo a 5 stelle, potrebbero anche imbarcarlo, ma giusto come alibi, per coprirsi un pochino a sinistra.
È questa la possibile fine di Bersani, di un uomo che stava per diventare presidente del Consiglio?
Mi rifiuto di crederlo.
Da ultimo vorrei ricordare a Bersani che sia l’Appendino a Torino, che la Raggi a Roma, non hanno presenziato alla commemorazione dei morti a causa del fascismo. Vorrei chiedergli se si sente a proprio agio vicino a queste persone. E se tutta la sua vita di antifascista e comunista, può essere rinnegasta così, in un lampo, per un rancore incomprensibile e per l’odio verso il proprio segretario di partito, segretario scelto da una percentuale altissima di votanti.
Commenti recenti