LA LETTERA DEL FIGLIO DI UN OPERAIO


LA LETTERA DEL FIGLIO DI UN OPERAIO

Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.

Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica.

L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.

L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.

L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università.

L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.

L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.

Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.

Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26 luglio 2010,  su “ La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof . Mario Deaglio. Nell’esposizione  del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof.  Deaglio a Radio 24 tra le 17,30  e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010).

Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria.

Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino.

Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis.

Odorava di dignità.

(Luca Mazzucco)

160 Risposte

  1. Commovente e straziante. Il Sig. Luca ha avuto il coraggio e la forza di scrivere questa lettera /immagine dei lavoratori in Italia. Comprendo benissimo lo stato d’animo di questo signore.
    Non so se c’entri niente con tutto questo, ma sto leggendo un libro ambientato nella Cina di Mao e, man mano che leggo, mi accorgo che vi sono molte analogie con la politica attuale, riguardo la scuola, il lavoro, la vita sociale e tutto il resto, dove la democrazia è stata costantemente calpestata e vilipesa per volere di una sola persona. Esprimo tutta la mia solidarietà al Sig. Luca e a suo padre con la speranza che questo scossone nella politica porti questo Paese verso una normalità agognata da moltissimi ed oggi penso che saremo ancora di più.
    Ciao speradisole.

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    1. Penso, come te, che tutti i “regimi” (o le dittature, si assomiglino. Il nostro si può chiamare regime e arroganza della maggioranza.
      Infatti mette in campo le stesse armi delle dittature (di qualsiai colore) e riesce ad epurare e sfiduciare le persone che danno loro fastidio, a imporre ai lavoratori contratti capestro, a tagliare sullo studio e sulla ricerca per fare un popolo di ignoranti
      Solo la conoscenza ci rende liberi ed allora bisogna punirla questa “conoscenza”, lasciarla a pochi fortunati, come ai vecchi tempi dei signorotti arroganti locali.
      Quel giovane uomo che prova sentimenti così profondi per il proprio genitore che si è rotto la schiena per lavorare, dovrebbe parlare con i vari Marchionne (e con quei due sindacalisti venduti), chiamarli a casa e fargli conoscere il padre.
      La vita vera degli italiani è questa, non è quella delle cento ville, delle escort sul letto di Putin, delle grandi macchine o barche lussuose.
      Se uno con tutto questo, con la mania di grandezza e con la voglia di dittatura ci governa, c’abbiamo tutto di rimetterci e poco da guadagnarci.
      C’è solo da sperare che se ne vada presto, qualunque sia la causa del suo fallimento.
      Ciao Antonio, grazie sempre di cuore, sei un gentile amico e mi dai tanta forza.
      Un abbraccio. Ciao.

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  2. Speradisole Antonio ha ragione e leggendo quella lettera penso a mio figlio secondo lavora in un azienda multinazionale, in queste grandi aziende sei solo un numero anche se vali.Prima era tutto diverso quardavano più alla qualità che la quantità adesso è tutto il contraio quantità-qualità poi c’è sempre il rischio che se non fai ciò che dice l’azienda sei fuori.E mio figlio è come il padre non ricattabile.ciao.
    Scusa spera volevo dire ad Antonio che sta leggendo Mao se vuoi leggere un filosofo ancora prima di Cristo e rispecchia molto il nostro mondo attuale leggi (Seneca lettere morali a Lucilio Come vedi non leggo solo Gibran anche lui ti consiglio (Gibran il Profeta)
    Ma che chiaccherona stasera per punizione tre giorni senza computer.Ciao

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    1. La lettera mervigliosa che questo figlio scrive al padre, sta a testimoniare il lavoro, pesante, silenzioso di una persona onesta.
      Anche mio padre era così solo che lui lavorava la terra. E’ morto presto perchè la fatica gli ha rovinato il cuore, ma la dignità che aveva era impagabile. La stima di cui godeva era la miglior paga che potesse ricevere.
      Sono sicura che Antonio accetterà i tuoi consigli di lettura, e complimenti a te che li hai letti.
      Non solo gibran, ma anche tanto altro.
      Mi raccomando Lidia, non stancarti di computer, noi tutti ti aspettiamo.
      Ciao carissima Lidia, una buona giornata a te.

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  3. Grazie per aver scritto questo messaggio che sta girando su tutta la rete. Grazie per la dignità di tuo padre che come il mio, dipendente pubblico e funzionario andava al lavoro ogni mattina e tornava la sera tardi per fare al meglio il suo lavoro. E quando qualcuno gli mandava regali a casa li rimandava indietro per non dover mai ringraziare nessuno. Sarò allo sciopero della FIOM del 16 ottobre per difendere la dignità di chi ha sembre lavorato per vivere.

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    1. Carissimo Marco, poter dire di avere un padre come il nostro è un orgoglio grande, solo noi forse lo comprendiamo fino in fondo.
      Ogni giorno il proprio dovere, ogni giorno la fatica del lavoro, ogni giorno la gioia del ritorno a casa e dell’abbraccio caldo della famiglia. I lavoratori non chiedono altro, solo di poter vivere una vita dignitosa per sè e per la propria famiglia.
      Chi in tutti i modi svilisce questa onestà e generosità è doppiamente colpevole di distruggere anche una famiglia.
      Anch’io ci sarò il 16 ottobre, e speriamo che da qui ad allora qualcosa cambi, ma temo che l’egoismo e la cattiveria possa trionfare.
      Grazie del commento Marco, un abbraccio anche a te.
      Ciao.

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  4. Si tratta di una toccante lettera che poteva scrivere solo il figlio di un operaio di Mirafiori, ovvero di quella classe operaia che si vorrebbe scomparsa per non riconoscerle che le dobbiamo in modo pieno il progresso del nostro Paese e la “costruzione” di un eventuale futuro. Non l’avrebbe potuta scrivere nè mio figlio, ne tantomeno quello di Mario Deaglio – Prof. citato nella lettera – mio collega di pari grado ed operante nello stesso settore disciplinare. Anzi come stanno le cose, sono i padri – vedi la lettera di Celli direttore della LUiSS pubblicata lo scorso Novembre da “la Repubblica” – che scrivono ai figli per esortarli ad andare via dall’Italia perchè sono sempre più ridotti quegli spazi manageriali volti a distruggere ed umiliare i padri operai come ci dice Luca. Si chieda a ” la Repubblica” di dare spazio anche alle lettere dei figli e specialmente di quelli di operai. Non è improbabile che in futuro dovremmo porre un post-it rosa indicante il bavaglio di questa testata su articoli riguardanti gli aspetti in questione .

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    1. Quella classe operaia, che ha fatto di noi figli, una “classe” di persone che si sentono pari agli altri, merita un rispetto infinito.
      I cambiamenti ed il progresso che si sono verificati nel nostro paese sono il frutto del loro lavoro. Se l’Italia è fra i grandi del mondo, quello che adesso chiamano il G8 o il G20, lo si deve a loro.
      Quello che fa più male è vedere come dall’altra parte quella “padronale” ci sia ora il tentativo di riportare indietro questi miglioramenti, per esempio con l’annullamneto dello statuto dei lavoratori.
      L’operaio costa troppo, dicono, ha delle pretese, dicono, richiede cose che non sono “moderne”. Intento chi ha in mano il denaro e l’industria, per guadagnare di più va in Serbia, a ricattare altri lavoratori, mettendo in campo la strategia della guerra tra lavoratori.
      Non è uno sfruttamento di vite umane?
      Che differenza passa tra questi ragionamenti e quei paesi che sfruttano le persone con paghe da fame e condizioni disumane come la Cina?
      Assistiamo impassibili alle morti di lavoratori bruciati vivi, come quelli della Tyssen Grupp, per scoprire che era sufficiente impedire che quegli stessi lavoratori potessero lavorare in un ambiente umanamente più accettabile.
      I padri che “ora” lavorano respirano un’aria diversa, e, da padri, non intrevvedono un futuro per i loro figli, li esortano ad andarsene fuori da questo paese, in America, in Germania, perchè? Cosa c’è in quegli altri paesi che qui non c’è più? C’è credo il rispetto di chi lavora, una retribuzione giusta, un’assistenza migliore, tutto ciò che noi stiamo perdendo.
      E, come dici bene tu, stiamo mettendo il bavaglio a tutto ciò che potrebbe denunciare e mettere a nudo situazioni di disagio. La nostra società, secondo la classe dirigente e secondo il pensiero di chi ci governa, deve essere una “favola”, solo che la favola è tale per certuni. Per chi è povero e deve mendicare un posto di lavoro, diventa unn inferno.
      Grazie Sergio, della tua testimonuanza.

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  5. I giovani ma soprattutto i figli di operai devono difendere i diritti conquistati dai loro padri. E’ l’unica eredità che ci lasciano di anni di lotta contro il capitalismo selvaggio! Difenderla è l’unico modo che abbiamo di preservare insieme alla loro MEMORIA la nostra DIGNITA’ !

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    1. Hai ragione, dobbiamo difendere le conquiste fatte dai nostri genitori o dai nostri nonni. Lo statuto dei lavoratori, per esempio, che era una delle vittorie dei lavoratori che ci collocava ai vertici del mondo per la qualità ed il rispetto di chi lavora.
      Lo si vuole distruggere, perchè obbliga il padrone a rendersi conto che ha a che fare con “vite umane” non con una merce qualunque che può accatastare o buttare quando vuole.
      Il capitalismo selvaggio, cui tu fai riferimento, è proprio questo, l’uomo, l’operaio è una merce, un pezzo qualsiasi dell’ingranaggio del guadagno ad ogni costo.
      E tu capisci che in questo modo, puoi parlare di dignità e rispetto, ma chi ragiona con i soldi, non sa che cosa siano.
      Nunzia carissima, mi ha fatto piacere sentirti vicino a questi problemi, e cerchiamo noi con i mezzi, pochi, che abbiamo a disposizione di difendere la nostra dignità.
      Un abbraccio. Ciao.

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  6. grazie…

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    1. Grazie a te, Giulia, per l’animo gentile che dimostri e per non appartenere al mondo dell’egoismo.
      Ciao.

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  7. francesco locuratolo |Rispondi

    Lavidità del dominio, non ha frontiere. questo professore, che gira sotto braccio con chi che sia a suo livello, ho oltre. Non sa che l’Operaio, e il motore della macchina indrustiale. E quando finicse l’età lavorativa va sempre ricordato come una macchina “famosa”
    Questi erano tempi, e da portare l’esempio per tutti. E forse il professore deve ringraziare le tasse che hanno pagato questi Operai.hanno permesso di studiare anche il professore, non per degradare chi era Operaio, o chi in futuro.
    Ma per migliorare il futuro. Ricordo al professore , i passi indietro si fa solo per correggere e non per peggiorare come fa capire. Lei professore rappresenta la razza-armiamoci e partite- se qualcuno le a salvato il culo, lei ci piscia sopra!

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    1. Sì Francesco, condivido in pieno e sottoscrivo le tue parole: “Se qualcuno le ha salvato il culo, caro professore, adesso lei ci piscia sopra”.
      Doppiamente offensivo l’atteggiamento di chi come questo professore pontifica senza sapere cosa sia la “dignità” di chi lavora.
      La dignità è amare quello che si fa, è aiutare l’azienda a produrre, è aiutare anche il padrone perchè quello che guadagna lo investa in miglioramenti e nuove tecnologie, è tenere al proprio posto di lavoro, è tenere alla propria famiglia, è lavorare e guadagnare non per andare a giocarsi i soldi, ma per mantenere dignitosamente i propri cari.
      Francesco, apprezzo molto quello che hai scritto, si sente che conosci la fatica e soprattutto si sente che sei un uomo, che tale vuole restare e non farsi servo di nessuno.
      Grazie. Ciao.

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  8. molto bella la lettera, ma credo che tu abbia frainteso completamente l’editorlale apparso sulla stampa, perchè se è quello che ho appena letto io (http://archivio.lastampa.it:80/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=10573863) intitolato “Purchè non sia un tavolino”, non contiene le cose presenti nella lettera…leggilo bene, è molto interessante perchè propone miglioramenti delle condizioni generali della massa, non come sostiene questa lettera “miglioramenti solo per i padroni fregandosene del tempo libero deglio operai”.

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    1. Innanzitutto ti ringrazio, Nigosh, del link che contiene l’intervento del Prof. Deaglio, pubblicato sulla Stampa. Contribuisce molto a completare i nostri ragionamenti. Grazie.
      Credo sia proprio a questo l’articolo cui, Luca, autore della lettera faccia riferimento.
      Luca Mazzucco non dice che i miglioramenti sono solo per i padroni e che questi se ne fregano degli operai, ma rileva un fatto innegabile e cioè che i “diritti del lavoratori” tra cui anche il loro tempo libero, non è una componente monetaria della contribuzione. C’è differenza, un operaio ha diritto al suo tempo di riposo e questo tempo deve essere parte integrante del suo salario.
      E così la difesa del posto di lavoro non può essere declassata a “garanzia di occasioni lavorative” espressione che non dice niente e non garantisce niente se non ci sono le occasioni.
      Una difesa che diventa solo garanzia, beh! è piuttosto grave come affermazione, toglie valore al lavoratore che non è più difeso ma solo garantito. Due diversi modi di concepire il lavoro. E questo non lo trovo nè un miglioramento nè un segno di modernità.
      E, aggiungo, è un lavarsene le mani da parte di qualunque “padrone”.
      Per tornare al “tempo libero” che l’autore della lettera acutamente ha sottolineato, è la vita stessa del lavoratore, è la carica che gli dà modo di tornare a quelle presse, è la gioia di veder crescere un figlio.
      Il figlio, di suo padre, ricorda questo, i momenti preziosi vissuti insieme che comunque facevano parte della retribuzione di suo padre, perchè era sicuro, il giorno dopo di poter tornare a quelle presse.
      A volte “migliorare la massa”, non significa migliorare l’individuo. Ogni persona è un individuo ed insieme non sono massa, ma popolo che pensa e vive.
      Su questo bisognerebbe riflettere e cioè se gli uomini, i lavoratori in particolare, stanno conservando l’idea di individuo e se diventano una massa informe agli occhi del capitalismo di oggi.
      Ciao Nigosh, ti ringrazio ancora, per il tuo commento. L’ho apprezzato molto.
      Un saluto cortese.

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      1. Forse anche tu non hai letto bene, allora io non so chi diavolo sia questo tale Deaglio che scrive l’articolo, ma mi sembra che proponga idee interessanti per tutti (è questo che intendevo con “massa”, anche lì mi hai mal interpretato), diciamo per la società nel suo insieme.
        “Il «tavolo» di mercoledi’ sara’ un successo se, pur non rinunciando ad affrontare i problemi contingenti, porra’ le basi per trattare, nell’ottica dell’economia globale, il problema della sostenibilita’ del modello sociale europeo – e specificamente della sua variante italiana – caratterizzato da forti componenti non monetarie della retribuzione. Fino a non molti anni fa si pensava che questo modello si sarebbe imposto al mondo: le norme sul lavoro minorile, sulla sicurezza sul lavoro e del posto di lavoro, il graduale e continuo aumento di salari e del tempo libero in cui spendere quei salari avrebbero dimostrato la superiorita’ di una civilta’ europea attenta all’individuo e ai suoi legami con la societa’. Come ben sappiamo, le cose non sono andate cosi’. I Paesi emergenti stanno muovendosi verso salari piu’ elevati e forme rudimentali di sicurezza sociale non copiate dall’Europa, ma la produttivita’ del lavoro vi cresce a velocita’ ben superiore e pertanto le loro esportazioni conquistano sempre nuovi mercati. I lavoratori sono sicuramente sottopagati ma i loro redditi sono fortemente aumentati e possono ragionevolmente sperare che i figli continuino nel miglioramento. I nostri obiettivi sono invece troppo spesso quelli di un decoroso accompagnamento alla pensione di lavoratori anziani senza dare spazio ai giovani mentre con redditi stagnanti il tempo libero rischia di trasformarsi in tempo vuoto.”
        Adesso dimmi dove vedi un attacco ai diritti degli operai in queste parole.
        Interessanti a mio parere le soluzioni che propone:
        “La prima via e’ quella di una sostanziale riscrittura del modello economico-sociale europeo con l’attenuazione della difesa del «posto» di lavoro, non piu’ garantibile nell’attuale contesto mondiale, e l’aumento della difesa del «lavoro», ossia di un’attivita’ mutevole e flessibile: si deve andare verso una garanzia della continuita’ delle occasioni di lavoro, magari con un salario di cittadinanza, nell’ottica di ottenere e mantenere la produttivita’ necessaria per stare sul mercato globale. Modelli di questo tipo hanno consentito a diverse economie dell’Europa settentrionale di reggere assai bene all’urto dei Paesi emergenti e di riconvertirsi molto velocemente e con successo.”
        Questa la prima, che è stata duramente attaccata da te. Ma la sicurezza del posto di lavoro non è una cosa che dipende solo dal padrone, e non è una cosa completamente positiva: ti faccio un esempio.
        C’è una fabbrica di pastelli colorati, vende bene, gli operai sono contenti. 2 anni dopo, ormai il progresso è molto veloce per questo c’è questa necessità di adattarsi, vengono scoperti dei nuovi pastelli colorati che richiedono meno spese e meno lavoro e sono meno inquinanti. Se si garantisse la continuità del posto di lavoro degli operai della fabbrica di pastelli “vecchi”, bisognerebbe trovare il modo di vendere ugualmente un prodotto che non avrebbe più speranza, e quindi creare un falso bisogno, magari con la pubblicità come succede spesso. Invece se come propone Deaglio venisse garantito il LAVORO, non il posto di lavoro specifico, tutti quegli operai potrebbero essere licenziati e subito ripresi nella fabbrica di pastelli “nuovi”, perchè tutto questo sarebbe agevolato anche da spese pubbliche nel periodo di disoccupazione (credo sia qualcosa di simile quel “salario di cittadinanza” di cui parla).
        Ora la seconda soluzione.
        “La seconda via e’ quella del protezionismo moderno, fondato su barriere non tariffarie in grado di impedire l’ingresso delle merci che competono con quelle nazionali. Il protezionismo salva i posti di lavoro minacciati ma il suo costo e’ molto elevato in quanto riduce o toglie dai mercati numerosi beni stranieri a basso prezzo.”
        In poche parole, non so quanti che sostengono il protezionismo (mi vengono in mente frasi degli imprenditori brianzoli leghisti contro i cinesi che “rubano il lavoro”) lo vorrebbero veramente, perchè vorrebbe dire non avere più tutti quei prodotti che paghiamo pochissimo perchè provenienti da paesi dove la manodopera è sfruttata per pochi centesimi di euro (se vai in cina con 3 euro puoi mangiare al ristorante da re).
        Spero di essere stato chiaro ora.

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      2. Allora mi chiedo perche aziende italiane vanno all’estero a produrre perché la manodopera Come dici tu è meno cara ma inportano con marchio “ITALIANO” al prezzo di marchio , cuesto come lo chameresti??? io lo chiamerei con il suo nome con il suo nome SPECULAZIONE e il governo italiano glielo permette.E Malchionne prima la FIAT a sempre vissuto con contributi statali ,e ora viene a dire che non ha bisognio dell’Italia ,io se fossi un governo serio gli risponderei , vuoi andare fuori dall’italia ,produrre all’estero ,va bene ma mi restituisci tutti i contributi che ti sono stati dati fino ad ora .Poi se non sbaglio ha accuisito aziende per poi chiuderle vedi “innocenti ed affini .Poi mi piacerebbe Fare un’altra domanda a lei ed altri illustri ,Un giorno quando non ci saranno più persone che vi libereranno del vostro letame, dovrete farlo da voi ,cosi saprete che profumo e che consistenza ha.

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  9. CHE DIRE OLTRE A UN GRAZIE ENORME? CHE CI SARO’ ANCH’IO IL 16 OTTOBRE E NON SOLO, TUTTE LE VOLTE CHE GLI OPERAI SCENDERANNO IN PIAZZA PER DIFENDERE LA LORO DIGNITA IO SARO’ CON LORO!!!!!

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    1. Proviamoci Marco, a non farci mettere in un cantone, a conservare la nostra dignità e a non perdere il nostro orgoglio di operai (cha fanno ricco anche il padrone.
      Non dobbiamo diventare una massa senza anima, nè una merce di scambio in nome di una modernità che è, sostanzialmente, un ritorno ai tempi passati, quando i signorotti coi soldi, decidevano della vita e della morte degli altri.
      Grazie Marco. Ciao.

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  10. si molto toccante come si dice…purtroppo sono storie che in molti abbiamo vissuto…devo puntualizzare una cosa:che in quel periodo si riusciva a fare delle lotte,riuscendo a conquistare dignità e altro…gabbie salariali…articolo 18 le varie figure lavoratrici ecc…oggi tutto questo non esiste più.credo che ci dovremmo fare un’esame di coscienza,per quello che mi riguarda tutti i governisono stati complici di tutto questo..e noi che cosa abbiamo fatto per conservare tutto ciò?cosa pensiamo di lasciare in eredità ai nostri figli?se i vari governi ci Hanno sempre voltato le spalle la colpa è nostra…non siamo mai stati capaci di scegliere le persone giuste.credo..come si dice che non è mai troppo tardi!!!riacquistiamo la nostra dignità..rivendicando quello che ci è dovuto LAVORO!!!!E LIBERTà!!!!!!!!!!!!

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    1. Forse pensavamo che una volta conquistati diritti, dignità e rispetto, questi ci spettassero per sempre. Come una casa, una volta acquistata a prezzo di grandi sacrifici, questa resta.
      Non è così, col mondo che cambia, con la globalizzazione e con anche un’Europa unita solo con la moneta e non con la politica, i diritti acquisiti, come lavoratori e lavoratrici, ci sfuggono dalle mani.
      Trovo comunque grave che anzichè pensare al benessere della gente, a far sì che possa lavorare, avere un fururo, si sfrutti qualsiasi occasione per togliere diritti acquisiti e mortificare un lavoratore.
      Questo non è modernità, come ce la cantano, è un ritorno pericoloso al passato, quando, prima della guerra, i lavoratori non “davano noia” ai padroni.
      E’ colpa nostra? Non credo solo nostra, ma anche di chi, credendo di fare un buon servizio al lavoratori, li spacca, li divide, li mette l’uno contro l’altro.
      Che significa che Cisl e Uil firmano tutto quello che viene loro proposto da confindustria, dal governo e da Marchionne?
      Significa che difendono gli interessi dei più forti e che la loro funzione sociale è finita, oppure messa al servizio del padrone.
      Ma sanno cantarla bene e dividono i lavoratori, in modo che solo una parte, sia quella “cattiva”.
      Viene a mancare quella “colla” che ci teneva uniti e che costituiva la nostra forza.
      Inoltre manca totalmente in parlamento quella parte importantissima della sinistra che aveva ideali di giustizia e solidarietà.
      Il parlamento e quindi anche il paese cammina zoppo, gli manca una gamba, la migliore, la sinistra,
      In questo modo ci tolgono i diritti acquisiti, dividendoci, ci indeboliscono creando fra di noi dei conflitti, alimentando una lotta tra poveri.
      Noi non abbiamo più l’appoggio di una vera sinistra che tenga dalla nostra parte.
      Mi dispiace che si sia dinitegrata, ma quando c’era, forse, ha deluso molto, ha tradito idealità e aspettative e la gente l’ha punita severamente.
      Ciao raf. Grazie. Hai ragione cerchiamo di rivendicare quello che ci è dovuto, lavoro e libertà. Io ci credo e spero si avveri.

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  11. Solo grazie a Luca e a suo padre.

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    1. Davvero grazie a Luca e a suo padre. Se l’Italia ha gente con questa dignità, è un bel paese.
      Un saluto a te, Lara, ed un abbraccio a Luca e a suo padre
      Ciao.

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  12. […] This post was mentioned on Twitter by Rudy Bandiera, Andrea Pernici, Lara, Luca Romanello, willy and others. willy said: RT @RudyBandiera: Oh dio… pazzesco. Da leggere, assolutamente. RT @nicola_favero: Da Leggere … http://j.mp/Operaio […]

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  13. Senza parole, sono di Torino e ho rivisto anni di vita vissuta, ho le lacrime, vedo volti e sento voci di quegli operai. Grazie di cuore.

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    1. Sono le voci ed i volti dei nostri genitori. Le loro fatiche comunque non sono state vane, ci hanno lasciato molto ed un paese più ricco.
      Questo benessere che ci hanno dato col loro lavoro, vorrei che rimanesse e passasse ai nostri figli.
      Ciao Andrea, un saluto affettuoso.

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  14. @ per Nigosh. Avevo immaginato la tua preparazione e la tua capacità di analisi, ma mi ha sorpreso la tua bravura nell’esporla.
    Grazie di cuore.
    Ti sei spiegato bene.
    In fondo quando diciamo difendiamo il “lavoro” stiamo dicendo la stessa cosa. Difendere il posto di lavoro non vuol dire difendere la sedia dove ora sono seduto, ma difendere quello che sto facendo cioè il “lavoro”.
    Se le tecniche si perfezionano e le “cose” che facevo prima, come, per esempio, le scope, le fanno altri, a prezzi più comvenienti, mi va bene non farne più, ma io dovrei poter fare un “altro” lavoro per dire che continuo a lavorare. Non saranno scope, saranno armadi o altro, ma continuo a lavorare. Queste sono le opportunità di lavoro che ognuno di noi dovrebbe incontrare nella vita.
    Mi spaventa un po’ quello che il prof, chiama il “salario di cittadinanza” per stare sul mercato. Tu lo intendi come cambiare tipologia di lavoro, ma continuare a lavorare, (pastelli moderni al posto di quelli obsoleti), io invece penso che sia un modo di pagare gli operai a seconda di come va il mercato.
    Oggi va bene prendiamo 100, domani non va bene e prendiamo 50. Perchè così va il mercato. Ebbene un ragionamento del genere mi spaventa, il mercato non può essere padrone della mia vita, semmai l’inverso.
    Può darsi che abbia capito male, ma le parole sono “salario” e “mercato”. Se il mercato non offre pastelli nuovi a quelli vecchi non vengono più fabbricati, per l’operaio non c’è alcuna garanzia.
    E’ quanto avviene ora, se una ditta delocalizza, o chiude, io rimango in cassa integrazione per un po’ e se non esiste altra possibilità di lavoro, non mi viene “garatito” niente, che faccio?
    Il prof Deaglio parla bene, si spiega, ma perchè le sue teorie sul modo “nuovo” di lavorare possano svilupparsi in senso positivo, è necessario un passo avanti anche da parte di chi il lavoro lo offre e cioè dagli imprenditori.
    Ma l’impressione che se ne trae è che gli imprenditori facciano il loro tornaconto e gli operai si arrangiano con quello che rimane.
    E’ ovvio che anche il lavoratore dovrà cambiare mentalità, mettersi con lo spirito di dire “questo che sto facendo non sarà per sempre”, perchè le tecniche si rinnovano il mondo cambia, ma quel mondo che cambia dovrebbe garantirli un lavoro.
    La paura perciò che ci prende è di trovarci di fronte al vuoto, alla disoccupazione. E’ una paura viscerale che compromette la nostra vita e quella di chi ci vive accanto.
    Sono discorsi difficili per me, che modestamente cerco di comprendere un po’ il mondo che mi circonda. Non vorrei vedere ragazzi senza futuro, gente che si ammazza per la disperazione di non aver più un lavoro, e neppure imprenditori disperati che non trovano sostegno al loro lavoro.
    Grazie ancora di cuore Nigosh, e magari arrivederci in altre occasioni.
    Ciao.

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    1. I discorsi sono carini, però i loro presupposti non mi piacciono.
      Che il mercato sia una variabile indipendente, dotato di leggi sue perfette e immutabili nella sostanza, è un assioma creato dalle società mercantilistiche, non una legge di natura. Le società mercantilistiche sono composte da uomini, non da modelli teorici, e quegli uomini hanno voluto dare una sistemazione teorica ai loro interessi.
      Il mercato fa quello che la politica gli lascia fare.
      Dichiarare che il welfare europeo è fallito perché il mercato ne ha dimostrato l’incapacità di reggere la concorrenza di alcuni miliardi di quasi schiavi mi sembra una baggianata; tipica di una politica che ha abdicato alle sue prerogative, delegando alle imprese la gestione del sociale.
      Le imprese rispondono ai proprietari o agli azionisti che pretendono utili, molto raramente a lunga scadenza, tranne per quelle con strategie globali. La programmazione razionale è perciò una chimera e, nel nome del “valore per gli azionisti”, si commettono non poche porcherie; tipo accettare la sfida delle produzioni a bassa e media (e magari anche alta) tecnologia dei paesi emergenti che ancora utilizzano forme di sfruttamento bestiale che, per quelle popolazioni, è comunque meglio del passato.
      E’ aberrante comprimere economicamente e socialmente la massa dei lavoratori delle società evolute per poter controbattere sul piano dei prezzi l’assalto dei miseri che si stanno organizzando. Questo tipo di globalizzazione è folle e ripugnante. Le economie emergenti avrebbero avuto i loro mercati interni da rifornire, avviando un circolo virtuoso di produttori/consumatori. Che necessità avevamo di importare per anni prodotti di qualità scadente da Cina o India? Ma no, quei mercati ci facevano gola e non abbiamo voluto lasciarli ai loro abitanti; così ci siamo beccati una marea di prodotti di qualità inferiore a quella dei nostri per poter soddisfare la domanda dei nuovi ricchi asiatici con i nostri prodotti di lusso; poi per impiantare laggiù le nostre fabbriche togliendo lavoro ai nostri operai pur di partecipare alla manna del supersfruttamento della manodopera.
      Ai nostri imprenditori quel supersfruttamento non ha suscitato pena, disgusto o scandalo: ha fatto venire l’acquolina in bocca. Invece di esportare il nostro modello sociale nei paesi emergenti (con gli adattamenti del caso, è ovvio), stiamo – stanno – facendo il contrario per assicurare maggiori profitti ai soliti noti in tempi più brevi.
      Solo un imbecille può credere che il regresso economico e sociale della popolazione attiva sia sinonimo di modernità. E solo un delinquente può affermarlo. Si tratta invece di una scelta precisa compiuta dopo i calcoli del caso da chi impropriamente si trova a gestire gli aspetti sociali dei nostri paesi “avanzati”, grazie all’ignavia o alla complicità (spesso si tratta delle stesse persone) dei governi.
      Si tratta in definitiva di scelte politiche, non di necessità economiche assolute o di meccanismi automatici del mercato.
      Non solo ci stanno derubando di soldi, di futuro e di vita: ci stanno anche prendendo in giro.

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      1. Tu, Pino, hai detto molto meglio, quello che intendevo dire poco prima. In tutto questo reclamizzare la modernità, la globalizzazione, il mercantilismo, il capitalismo, quello che ci va di mezzo è l’anello debole, il lavoratore.
        Sembra agli imprenditori non debbano fare nulla per miglioare il momdo del lavoro.
        Chi deve cambiare è il lavoratore. Allora si cambiano i contratti, le condizioni di lavoro, i salari si abbassano in nome del pregresso e della modernità e si seppellisce la dignità di chi lavora.
        E’un pericoloso ritorno al vecchio.
        Capisco che un padrone debba guadagnarci, è ovvio, altrimenti non sta in piedi. Ma il suo guadagno dovrebbe essere reinvestito per offrire quelle nuove opportunità di cui parlava Deaglio, invece che fa, se ne va all’estero. I lavoratori restano a spasso.
        Se ho capito bene tu dici che il governo ha delegato agli industriali la gestione degli aspetti sociali dei nostri paese, credo sia verissimo, è una bella intuizione che sottolinea il fatto che il governo non ha la minima idea di come si possa fare a gestire questa situazione.
        Per questo quando siede a quei famosi tavoli, la ragione è sempre dalla parte dell’industriale.
        Mon è una bella sitazione, Pino, e condivido con te il pensiero che modernità non può significare regresso economico e sociale di una popolazione. Quello cha invece sta avvenendo adesso.
        Grazie infinite Pino.
        Questa sera ho scoperto persone eccezionali, che conoscono i problemi, ne parlano con cognizione di causa, e
        tutto questo è motivo di speranza e di un futuro verso il miglioramento.
        Ciao Pino.

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  15. Questa lettera ci ha fatto bene: vedo che in molti stanno ripensando al proprio padre e i nostri padri hanno qualcosa di simile (sarà un caso?).
    Anche il mio operaio fino a tarda età, andava sempre in officina in giacca e cravatta; poi lì indossava la tuta. Per lui il lavoro era un valore, oltre che mezzo di sussistenza per la famiglia e strumento per fare studiare i due figli. Siamo stati poveri ma non miserabili e non ci ha mai chiesto di lavorare per aiutarlo: non voleva che per guadagnarci la vita dovessimo sporcarci come lui ed è riuscito a mandarci all’università lavorando anche 14 ore al giorno.
    Non si è mai abbrutito, ha sempre letto il giornale e si è sempre scandalizzato per le porcherie pubbliche e private. Ha dovuto lavorare fino a 72 anni come operaio perché la pensione era insufficiente. Poi, ritiratosi, andava a fare il giardiniere (era nato contadino) perché non concepiva una vita oziosa.
    Era una persona mite e gentile ma, con l’esperienza di una vita sulle spalle, diceva che il miglior padrone andrebbe arrostito sulla graticola. Per il peggiore non aveva ancora deciso.
    Se lo è portato via un ictus, a 83 anni, ma fino agli ultimissimi giorni non ha perso il suo senso dell’umorismo. Non ha lasciato debiti o conti in sospeso ed eravamo tutti e tre, moglie e figli, intorno a lui quando è morto.
    Di questi padri giornali e TV non parlano mai, anche se a loro si deve la ricostruzione dell’Italia e se sono state persone davvero grandi, dignitose e oneste.
    Sarà per questo che quando vedo sui giornali articoli su Fabrizio Corona mi viene voglia di urlare dalla rabbia.

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    1. Il tuo commento, carissimo Pino, meriterebbe un post.
      Quello che dici è toccante. Se tuo padre potesse leggere quello che hai scritto penso che gli si inumidirebbero gli occhi per la gioia. Avere educato, fatto studiare e come si dice” tirato su” un figlio per bene è la più grande soddisfazione per un genitore.
      La tua storia assomiglia molto alla mia. Anche se mio padre è morto molto più giovane sfiaccato dalla fatica dei campi.
      Di questa gente onesta, laboriosa la tv non parla, non fa notizia, sembra che non interessi, mentre interessano i vari Corona (come dici tu) e tanti altri sfaccendati, pieni di soldi, che trasmettono una diseducazione infinita.
      Teniamoli, Pino, questi ricordi, trasmettiamoli ai nostri figli, e cerchiamo di imitarli con l’onestà.
      Grazie Pino, davvero bello quello che hai detto, e chissà posso riprendere il discorso, citando anche te,
      Un saluto carissimo. Ciao.

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  16. Da leggere con il fiato lungo, perchè più si va avanti più si accorcia, più si legge più avanza la spirale di troppi silenzi a cui si DEVE dire basta…le tue parole risvegliano gli ignari e fanno male ai consapevoli che tacciono…non siamo solo, pochi, addolorati, ma possiamo cambiare questa agonia

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    1. Cerchiamo di non essere soli in questa battaglia in difesa del “buon lavoro” e del lavoratore onesto.
      Sono i nostri genitori, giovani o vecchi, ma sono quelli che per noi stanno dando ed hanno dato la vita.
      Questa lettera del figlio di un operaio mette in luce quel sentimento delicato e fine che lega padre e figlio, che fa capire al figlio il valore del padre.
      A me è piaciuta molto e più la leggo, più mi viene il fiato corto. Come dici bene tu, Alessandra.
      Grazie per la tua testimonianza.
      Un saluto carissimo. Ciao.

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  17. La lettera è bella e poetica (e almeno in parte riporta argomenti condivisibili), ma io queste conclusioni nell’articolo del prof. Deaglio non le leggo.

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    1. Una lettera come quella del figlio dell’operaio, non è un programma per migliorare o riformare il mondo dell’industria, cosa che invece fa il prof. Deaglio.
      La lettera è un sentimento che il figlio prova per un padre che con dignità ha lavorato tutta una vita.
      Qualche cosa dal programma del prof. Deaglio, che possa in qualche modo togliere un po’ di dignità all’operaio c’è, soprattutto dove si dice che il lavoro non va difeso, ma solo garantito. Sono due parole dai significati assai diversi che possono portare a conseguenze diverse.
      Inoltre lascia intendere anche che il salario dell’operaio deve dipendere dall’andamento del mercato.
      E questo è una perdità di dignità del lavoratore in quale dovrebbe dominare il mercato, non lasciarsi dominare.
      Forse ho capito male quello che intendevi dire e la mia risposta può non avere un senso per te. Se è così ti chiedo scusa.
      In ogni modo grazie del commento e benvenuto nel blog.
      Ciao.

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  18. I prof universitari (economisti in particolare) prendono una barcata di soldi, non solo per lo stipendio già alto, ma per tutte le consulenze, inutili interviste a radio, TV, quotidiani ecc.. Cosa volete che capiscano di problemi del mondo operaio?
    Al massimo segnalano un problema quando chi lo vive sulla propria pelle lo ha già realizzato da un pezzo, ovvero chiudono la stalla a vacche già scappate.

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    1. Questi pontefici dell’economia, sembra che dicano cose sensate, ma del lavoro spiccio, quotidiano, faticoso, maleororante, per il quale si rischia anche la vita, non sanno niente. Credo non abbiamo mai messo piede in una fabbrica, se non forse negli uffici di direzione, dove i rumori e gli odori non arrivano.
      La loro attenzione è sempre fissa sul costo del lavoratore, non su quello che vale e che frutta, ma solo sul costo. Ci si aggiungono poi le parole di oggi: la globalizzazione, il mercato, la Grecia, l’Europa, la Cina, il profitto, la delocalizzazione, ma del lavoratore niente. Roba vecchia non conta, tanto ce n’è sempre a disposizione.
      Ho avuto modo di visitare alcune fabbriche. Una di queste è stata la Ducati. Alle donne toccavano il lavori di sgrassatura dei pezzi, dovevano tenere le mani nella trielina, avevano sì i guanti e la mascherina, ma proviamo a metterci nei loro panni per otto ore di fila. Le mani escono macerate dalla gomma dei guanti, gli occhi e le narici bruciano moltissimo. C’era il cambio è vero, ma era un lavoro pesante e difficle veramente. Ora probabilmente non è più così.
      Stiamo perdendo il valore “umano” del lavoro, per sottometterlo al valore “profitto”, che non ha niente di dignitoso.
      Grazie Francesca, il tuo intervento è stato prezioso.
      Un saluto. Ciao.

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  19. Lettere piena di umanità e dignità, come nessun esponente della nepotistica e rammollita classe dirigente italiana saprebbe scrivere. Noi siamo meglio di loro, e siamo di più. Perchè allora gli permettiamo di trattarci così? Un incazzato!!!

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    1. Prova a paragonare questo figlio, col figlio di Bossi, la trota.
      Un po’ di fabbrica gli farebbe bene. Ma se ne guarda bene, lui il piatto l’ha già pronto preparato dal padre legaiolo che ha trovato, nella roma ladrona, le sue slot machine, per ricavare gli sghei.
      Il Bossi va a roma come se andasse al casinò. A giocare alla Lega.
      E’ vero noi siamo in tanti, siamo meglio di loro, ma abbiamo un difetto, non sappiamo unirci e fare forza insieme.
      Quando sento e vedo che ci sono sindacati firmaioli di qualunque cazzata un padrone dica, beh! anch’io mi incazzo e vorrei prenderli a calci nel sedere.
      La divisione fra noi lavoratori fa vincere il padrone.
      A questa divisione la destra attuale ha sempre puntato fin da quando ce l’abbiamo tra le scatole, da 20 anni ormai.
      Ma mettiamocela tutta per buttarla via e dare spazio ai veri valori della vita.
      Ciao Ivan, grazie. Un saluto affettoso.

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  20. Lo chiamano progresso, la chiamano globalizzazione, a me pare solo dispezzo per la dignità e la vita dell’uomo. Sonio con te.

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    1. Ciao, carissimo Mulo Parlante, mi permetto di scherzare un attimo sul tuo nick. Mi fa venire in mente un vecchio film, che ogni tanto viene riproposto e che era davvero comico e simpatico.
      Per tornare a noi, credo che, con la scusa della globalizzazione, si voglia imprimere una sorta di “schiavitù” (parola forte, ma non ne trovo altre), ad una parte della popolazione, quella che non ha voce in capitolo.
      Si dovrebbe poter migliorare e progredire nel mercato sensa diminuire la dignità di tutti coloro che contribuiscono a mantenerlo quel mercato.
      Mentre si ha l’impressione che l’attenzione sia solo sugli industriali, sui loro profitti che debbono essere sempre più alti, e poco sui salari degli operai, salari che, invece, dovrebbero sottostare all’andamento del mercato (oggi si lavora, domani no). E’ umiliante per chi lavora.
      Ciao, Mulo Parlante, un saluto di benvenuto ed un abbraccio di simpatia.

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  21. Che c’e’ qualcosa d a dire? Piuttosto da fare e molto.

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    1. Non ho parole…
      Sono parte di tutto questo sistema marcio, sfruttato 12 ore al giorno 7 giorni su 7, senza potermi ribellare in quanto senza un contratto di lavoro, il tutto per 1200 euro al mese, è uno schifo, e fanno schifo pure i sindacati…..

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      1. Ciao Luigi. Credo che questa lettera ti colpisca molto, proprio perchè fai parte del sistema e non puoi ribellarti, perchè si sono perduti i tuoi punti di riferimento.
        Mancano i sindacati forti, mancano le personalità forti cui rivolgersi e il lavoratore vive la sua condizione nell’isolamento e nella paura.
        Quando è così il lavoro perde valore, ed è la condizione nella quale, coloro che parlano di “modernità”, hanno confinato il lavoratore.
        Non hai più voce perchè non hai un contratto e coloro che sostengono che i contratti si debbono fare fabbrica per fabbrica, azienda per azienda, negozio per negozio, sulla base delle bizzarrie del mercato, vogliono proprio questo, chiudere la bocca a chi lavora.
        Ci riescono perchè hanno il coltello per il manico e si avvalgono della possibilità di dividere le persone in buone e cattive, possibilità sostenuta alla grande da questo governo e dai sindacati collaborazionisti. pessimi sindacati. Concordo.
        Ciao Luigi. Un saluto ed un abbraccio di stima.

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    2. @ per Massimo. Hai ragione, ormai abbiamo detto tanto, sarebbe ora di fare qualcosa.
      Una cosa che ritengo importante è sentirsi uniti e unirci, perchè insieme abbiamo più forza.
      Anche la rete può unirci e può aiutarci a formarci un’idea più giusta del lavoratore, della sua dignità e dei suoi diritti, ma anche di chi questo lavoro ce lo può fare.
      Dovremmo ribellarci con chi se ne va in Serbia per scopo di lucro (come ha fatto la ditta Omsa di Faenza), fregandosene degli operai italiani che lascia a spasso, non comprando più i prodotti di quella ditta. Se la metà degli italiani (le donne) non comprassero più le calze Omsa, per esempio? Sarebbe una buona lezione. I supermercati italiani dovrebbero non metterle in vendita, e i commercanti non tenerle.
      Sono solo poche idee, ma siamo in tanti, perchè non provare?
      Io per esempio quelle calze non le compro più, e con me molte mie conoscenti e amiche. Sarà poco? forse, ma almeno è qualcosa.
      Grazie Massimo del tuo commento. E’ breve ma intenso.
      Un saluto di benvenuto. Ciao.

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    3. Sì Massimo, molto da fare, sempre che ce lo consentano.
      Ciao Massimo, un abbraccio.

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  22. semplicemente stupendo…

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    1. Sì, Caterina, semplicemente stupendo!
      Auguriamoci che i nostri figli abbiano gli stessi sentimenti nei nostri confronti.
      Avremmo vinto la battaglia della dignità di chi lavora.
      Grazie Caterina, gentile amica, un saluto.
      Ciao.

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  23. La dignità…”Oggi assistiamo rassegnati al fallimento della Politica, all’esautorazione del Logos, alla morte della Parola. È questo il tempo in cui la menzogna diventa verità proprio in virtù della perdita del senso originario della Parola e del dire. L’esautorazione della Parola coincide con la perdita della dimensione etica, e del rispetto che ogni uomo dovrebbe avere per se stesso e per l’altro. C’è una parola in particolare di cui non si ravvisa più il senso, e non se ne sente più il peso morale…Questa parola è dignità.Non conosciamo più il significato della parola dignità perché di fatto siamo stati espropriati di ogni sentimento dell’essere, del nostro sentirci individui. L’azione omologante della civiltà dei consumi ci ha negato ogni dignità, azzerati come persone, e contro di essa, come paventava Pasolini, “Non c’è più niente da fare.” (dalla mia presentazione al libro Anagrafica- Montefalcone nel Sannio, i volti, l’identità. Fotografie di Enrico Speranza)

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    1. Se ho capito bene, carissimo Paolo Dell’Elce, hai scritto una presentazione nel libro: Anagrafica-Montefalcone nel Sannio : “i volti, l’identita”. Credo si tratti della storia di persone del Sannio, corredate da fotografie.
      Se è così, penso che su quei volti ci sia impressa la “dignità” di cui stiamo parlando.
      Gente semplice, ma forte e identitaria, che porta avanti proprio un discorso di “dignità di vita”, qualunque sia la condizione in cui essa si trovi.
      Lo cercherò in libreria, perchè mi hai incuriosito.
      E’ verissimo quello che dici, se si perde la dimensione “etica” della vita, si perde in dignità e in credibilità. Anche la Parola in sè, perde valore.
      Un tempo, tra galantuomini, si diceva, ho dato la mia parola, debbo mantenere le promesse.
      Adesso c’è gente che parla con “parole” vuote, perchè a quello che dice non seguono i fatti ed i comportamenti corrispondenti.
      Un esempio per tutti, quando il Presidente del Consiglio, promette di fare una legge contro la “corruzione”, credo che per lui, che è un “corruttore”, questa parola non abbia lo stesso senso e lo stesso significato che intendiamo noi.

      Grazie davvero Paolo Dell’Elce, il tuo commento molto bello e profondo è un pezzo di letteratura.
      Arricchisce tutti noi.
      Un saluto sincero ed un rinnovato grazie.
      Ciao.

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  24. ma quando capiremo che dobbiamo combattere anche fisicamente se necessario. meglio perdere la vita che la dignita’. ricordate che il nostro corpo e’ un involucro. dietro l’angolo c’e’ n’e’ uno nuovo. diamoci appuntamento in milioni e poi vediamo

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    1. Convengo con te che viene voglia di “menar le mani” delle volte, a sentire certi discorsi.
      La violenza però, non ha mai portato pace e neppure dignità.
      Abbiamo mezzi democratici per far sì che questo tipo di atteggiamento “padronale” nel lavoro cambi:
      *unirci e stare uniti per vincere.
      *votare e scegliere persone degne di rappresentarci.
      Sono due cose che adesso non ci sono.
      Non siamo uniti perchè alcuni si sono lasciati incantare dalle promesse (senza etica morale dietro), non siamo rappresentati da persone che abbiano la schiena dritta, sappiano difendere i diritti dei propri cittadini, sappiano che cosa sia la giustizia per tutti, sappiano che cosa sia il lavoro (non solo profitto).
      Proviamoci alla prima occasione, potrebbe essere la nostra rivoluzione, pacifica.
      Paolo, speriamo di risentirci presto con parole diverse e con più speranza.
      Un saluto di cuore. Ciao.

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  25. Io penso a tutte quelle realtà industriali lontane dalla ribalta della politica e dall’interesse della carta stampata. A tutti quei lavoratori che vivono sotto il continuo ricatto del licenziamento e senza poter in nessun modo avere un diritto. Lasciati all’abbandono di un mondo del lavoro senza regole e senza pietà che diventa lustro nella bocca degli imprenditori quando devono parlare della piccola impresa cuore pulsante dell’Italia. Penso agli infortuni sul lavoro nascosti nei pronto soccorso, dove lo stesso titolare ti accompagna e ti raccomanda vivamente di non dire che ti sei fatto male al lavoro. Penso a queste realtà che respiro quotidianamente insieme ai fumi di saldatura e alle polveri dei capannoni di amianto. Penso a come l’operaio non sia mai stato considerato un uomo, una persona, ma solo un misero contrattempo del processo industriale. Penso alla retorica che farcisce il concetto di classe operaia o di democrazia in un paese come il nostro in cui le classi e la democrazia sono da sempre un amuleto scaramantico contro ogni volontà di cambiamento. Oggi si aprono gli occhi sulle grandi realtà industriali per salvare una parte troppo visibile e non più eludibile di un marcio che da anni scava il mondo del lavoro. Oggi si parla degli operai della Fiat e ci sembra di rendere giustizia al mondo operaio. Da troppo tempo, però, ci siamo dimenticati il profumo che ha la dignità e non so se sappiamo ancora riconoscerne l’odore che sprigiona.

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    1. Carissimo Alberto, sono contenta di aver letto le parole che hai scritto. Sono sentite, belle e sincere. Grazie.
      Un tentativo di dare un valore diverso al lavoratore, alla sua dignità ed anche alla sua necessità di esserci come lavoratore, lo si è fatto con lo “Statuto dei lavoratori”, nato nel 1970 (http://www.lomb.cgil.it/leggi/legge300.htm)proprio in virtù della necessità di proteggere il più possibile tutti, anche quelli meno visibili.
      Ma da tempo, da oltre vent’anni, si sta minando alla base questa libertà e “dignità” del lavoratore che viene tutelata nello statuto.
      Abbiamo visto il rosicchiamento, poco alla volta dell’art.18, complici alcuni sindacati, abbiamo visto che Marchionne adesso licenzia perchè uno fa attività sindacale. Assistiamo a contratti e contrattini locali che impongono sacrifici, silenzio e spesso lavoro in nero, senza sicurezza.
      Ci stiamo incamminando sulla strada dei paesi che sfruttano i lavoratori, considerano oggetti di valore solo il prodotto, ma non chi lo produce.
      E’ una introversione indegna di un paese civile come il nostro, introversione dettata dalla cattiveria che il libero mercato impone agli esseri umani più deboli, quelli che per vivere dipendono dal lavoro.
      Grazie Alberto, sono davvero contenta che tu abbia lasciato la tua testimonanza, sentita e sofferta.
      Un abbraccio di stima,
      Ciao.

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  26. io odio la gente come de aglio che fa’ i lavori
    categoria risiko seduto alla scrivania e manda
    i soldatini a invadere la kamchatka , quel beota
    non capisce che l’economia nasce da una teorizzazione del quanto che cerca di dare un prezzo a tutto ma tutto non ha un prezzo .
    il lavoro fisico , il lavoro mentale sono due cose distinte e separate che appunto sono distinte e separate anche nelle retribuzioni ,
    ma tutti e due sono importanti, con la differenza
    che il discorso dei diritti dei lavoratori oggi va’ a farsi fottere e la legittimazione di queste stronzate passano dalle IDIOZIE CHE GLI ammaestratori di questi pappagalli da cattedra indicano da piazza affari , wall street , e magari un caffe’ all’aperto durante un aperitivo.
    Io non ho mai legittimato la violenza nei confronti di chi detiene il potere economico e politico ma dagli oggi dagli domani con queste stupidaggini la gente si esaspera e allora non bastera’ un reality o la partita in pay tv per tenerli buoni , e quando questo succedera’ preparero’ i pop corn e mi godro’ lo spettacolo come sono stato abituato dai governanti seduto sul divano a godermela

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    1. Carissimo Marco, piace molto a certi personaggi dettare legge, pontificare, risolvere questioni, da lontano, magari seduti su una comoda sedia.
      Il lavoro della fabbrica, come tutto il lavoro che richiede fatica, è particolare e va “dignitosamente” capito e pagato per quanto vale.
      Io sono stata in fabbrica, ne conosco l’odore, sento la puzza anche del sudore della gente e posso dirti che è pesante.
      Anche se molte fabbriche hanno investito in sicurezza e adesso alcuni lavori sono più sicuri, resta comunque un lavoro pesante.
      Ed è quello che non viene riconosciuto.
      Viene visto come un costo, come se la persona che vi lavora dovesse farlo gratis.
      Non è così, e spero che anche i paesi più poveri, dove il lavoro si svolge in condizioni pessime, riescano a ribellarsi ad un certo sistema lavorativo che tiene conto solo di quanto produci e non di chi sei.
      Persino l’andare al gabinetto viene contingentato, non puoi neppure mangiare un pezzo di pane se ad un certo momento ti senti lo stomaco vuoto. Tutto quello che riguarda la persona, la sua dignità, passa in secondo ordine.
      Marco carissimo, temo che si stia tornando indietro, al tempo in cui per avere un lavoro dovevi chiederlo col cappello in mano.
      Questo non è un paese che va verso un futuro migliore, ma verso un futuro dei furbi, ed un pessimio futuro per i poveri.
      Grazie Marco, sei un amico che saluto con affetto. Ciao.

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  27. SONO INTERESSATA A TUTTO CIO’ CHE SIA UNA CRITICA SANA E COSTRUTTIVA DELLA AHIME’SOCIETA’ PIENA DI DISFUNZIONI SOCIO-ECONOMICHE ,IN CUI I PIU’ TARTASSATI SONO LE PERSONE COMUNI (ho letto la lettera di un operaio),.
    SIAMO IN UN PAESE CON UN PSEUDOGOVERNO E CON FIGUREISTITUZIONALI COMPLETAMENTE ASSENTI, TUTTE PRESE DALLA LOTTA PER IL POTERE……CONCLIENTELISMI E CORRUZIONI DI GONI TIPO.
    MA NONOSTANTE CIO’ FINCHE’ CI SARA’ ANCHE UNA SOLA VOCE COME LA VOSTRA CI SAR’ LA SPERANZA DI UNA PROSPETTIVA SOCIALE, ECONOMICA, ISTITUZIONALE ED ANCHE ETICA MIGLIORE.
    GRAZIE .
    ESPRIMO UN ULTIMO PENSIERO, VORREI CONDIVIDERE I VOSTRI PUNTI DI VISTA .SE POSSIBILE.

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    1. Innanzitutto benvenuta Paola. Ho visto che hai lasciato come riferimento facebook. Io per ora, non ne faccio parte, ma ho visto che questa “lettera” in particolare è stata ripresa da molti e discussa su facebook, perchè ne vedo i referenti. A me fa piacere, non sono gelosa, nè di quello che scrivo, nè di quello che pubblico.
      L’importante è che se una cosa piace, se ne possa fare uso.
      Se vuoi condividere i nostri punti di vista, miei e quelli di coloro che hanno la cortesia di intervenire nel blog, ti accogliamo a braccia aperte.
      Spesso ci sono argomenti che trattano del lavoro, perchè ci sta molto a cuore.
      Siamo un paese, come dici bene tu, che ha figure istituzionali assenti e prese da lotte di potere, ma anche di gente piena di dignità
      E noi vogliamo far parte di questa gente dignitosa, che ragiona, che critica ma che è soprattutto onesta e rispetta le regole.
      Grazie Paola del tuo commento, se vorrai tornare a condividere un pensiero sarà bellissimo e comunque se vorrai prelevare un post e discuterlo con i tuoi amici su fecebook, lo puoi fare tranquillamente.
      Ciao Carissima, un abbraccio ed un saluto.

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  28. Io non ho mai avuto tanto da dire quanto questo ragazzo al signor dell’aglio ,proprio perche’
    non considero ormai piu’ degna nemmeno di discussione la situazione della nostra gente tanto e’ compromessa senza rimedio .
    la nostra societa’ si e’ seduta e rassegnata
    in un dolce far niente per troppi anni pensando
    tutti me compreso che bastasse fare il proprio
    lavoro e badare ai fatti propri, pagare le tasse
    e non violare la legge perche’ tutto andasse bene
    ma non e’ cosi’.
    la societa’ civile da che mondo e’ mondo ogni tanto si interroga controlla il polso della situazione delle istituzioni dell’istruzione
    della famiglia dei legislatori delle industrie
    per vedere se ognuno fa’ il suo dovere o fa il furbo, se funziona tutto o meno , cosa che non facciamo da troppo tempo e non abbiamo mai fatto secondo me e forse ora mentre scrivo e’ troppo
    tardi per tornare a qualcosa di piu’ umano meno alienante piu giusto e meno basato sul denaro invece che su ideali e princìpi di onesta’ e pubblico interesse .
    buona fortuna a tutti

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    1. Non dobbiamo arrenderci, Maurizio, non dobbiamo lasciare che ci tolgano la dignità.
      Anche tu hai qualcosa da dire, lo dimostra il fatto che hai avuto voglia di partecipare ad una discussione.
      Fare il proprio lavoro bene, pagare le tasse e non violare la legge, sono cose dignitose, magari dobbiamo pensare un po’ di più anche agli altri.
      Non sentirci sicuri nel proprio orto, ma pensare che ci sono persone che stanno peggio.
      E soprattutto non tollerare i furbi, quelli che sfruttano gli altri.
      Non è troppo tardi,innanzitutto alla prima occasione cerchiamo di non dare più il voto a persone che non meritano il nostro sostegno, e poi cerchiamo di sostenere e dare forza ad un sindacato che faccia il nostro interesse e non quello del padrone.
      Sono convinta che le cose possono cambiare e i principi di onestà e del pubblico interesse vinceranno.
      Buona fortuna anche a te, Maurizio.
      Un saluto e grazie di aver partecipato e lasciato qui, sotto la lettera del figlio dell’operaio, la tua testimonianza.
      Ciao.

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  29. […] La lettera del figlio di un operaio Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera. Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica. L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo. L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie. L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università. L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro. L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze. Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro. Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26 luglio 2010,  su “ La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof . Mario Deaglio. Nell’esposizione  del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof.  Deaglio a Radio 24 tra le 17,30  e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010). Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis. Odorava di dignità. (Luca Mazzucco) https://speradisole.wordpress.com/2010/08/01/la-lettera-del-figlio-di-un-operaio/ […]

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  30. Io leggerei anche l’articolo originale, giusto per avere il quadro completo…

    http://goo.gl/1TfG

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    1. Credo che tu intenda tutto l’articolo del Prof Deaglio, che ha poi dato origine a questa lettera, scritta da Luca Mazzucco, figlio di un operaio.

      Faccio di meglio, lo copio tutto qui, così se qualcuno lo desidera leggere l’ha già sottomano.
      Ti ringrazio offender, e arrivederci. Ciao.

      “Purché non sia un tavolino”

      MARIO DEAGLIO

      I cosiddetti «tavoli» ai quali i sindacati, gli imprenditori e i rappresentanti del governo si incontrano e si confrontano sono una buona cosa in quanto l’alternativa è spesso uno sciopero «al buio», ossia senza che una parte abbia una chiara percezione delle posizioni e dei problemi delle altre. Il «tavolo» che si terrà mercoledì a Torino sul futuro degli stabilimenti italiani della Fiat rischia però di trasformarsi in un «tavolino», ossia di dare ai problemi sul tappeto un’interpretazione riduttiva e specifica, tesa soltanto a stabilire minuziosamente impegni reciproci sulla produzione di singoli impianti e singoli modelli in un arco di tempo necessariamente breve e in condizioni molto incerte, data la congiuntura europea e mondiale. Se così fosse, l’accordo raggiunto terrebbe fino alla prossima situazione di difficoltà, dopo di che si ricomincerebbe da capo con un altro «tavolino». Tra un «tavolino» e l’altro, la posizione competitiva dell’Italia continuerebbe a peggiorare.

      E’ stato così nel corso degli ultimi vent’anni. Il «tavolo» di mercoledì sarà un successo se, pur non rinunciando ad affrontare i problemi contingenti, porrà le basi per trattare, nell’ottica dell’economia globale, il problema della sostenibilità del modello sociale europeo – e specificamente della sua variante italiana – caratterizzato da forti componenti non monetarie della retribuzione. Fino a non molti anni fa si pensava che questo modello si sarebbe imposto al mondo: le norme sul lavoro minorile, sulla sicurezza sul lavoro e del posto di lavoro, il graduale e continuo aumento di salari e del tempo libero in cui spendere quei salari avrebbero dimostrato la superiorità di una civiltà europea attenta all’individuo e ai suoi legami con la società.

      Come ben sappiamo, le cose non sono andate così. I Paesi emergenti stanno muovendosi verso salari più elevati e forme rudimentali di sicurezza sociale non copiate dall’Europa, ma la produttività del lavoro vi cresce a velocità ben superiore e pertanto le loro esportazioni conquistano sempre nuovi mercati. I lavoratori sono sicuramente sottopagati ma i loro redditi sono fortemente aumentati e possono ragionevolmente sperare che i figli continuino nel miglioramento. I nostri obiettivi sono invece troppo spesso quelli di un decoroso accompagnamento alla pensione di lavoratori anziani senza dare spazio ai giovani mentre con redditi stagnanti il tempo libero rischia di trasformarsi in tempo vuoto. L’Europa, e l’Italia in particolare, più esposta di altri Paesi alla concorrenza diretta degli emergenti, si vede proporre (e forse domani imporre) un sistema in cui si deve lavorare di più e con mansioni più flessibili per retribuzioni pari a quelle di prima.

      Le vie percorribili sono sostanzialmente due. La prima via è quella di una sostanziale riscrittura del modello economico-sociale europeo con l’attenuazione della difesa del «posto» di lavoro, non più garantibile nell’attuale contesto mondiale, e l’aumento della difesa del «lavoro», ossia di un’attività mutevole e flessibile: si deve andare verso una garanzia della continuità delle occasioni di lavoro, magari con un salario di cittadinanza, nell’ottica di ottenere e mantenere la produttività necessaria per stare sul mercato globale.

      Modelli di questo tipo hanno consentito a diverse economie dell’Europa settentrionale di reggere assai bene all’urto dei Paesi emergenti e di riconvertirsi molto velocemente e con successo. Nessuna di queste esperienze è perfetta e tutte richiedono un supporto notevole di spesa pubblica; pertanto il meccanismo dovrebbe essere introdotto gradualmente e in via sperimentale, a cominciare dai giovani delle aree minacciate dalla crisi industriale. Torino, dove il numero di coloro che compiono diciotto anni è sensibilmente inferiore a coloro che ne compiono sessanta, sarebbe un luogo ideale per cercare di trasformare in «lavoro» – e quindi in prospettive di vita – mediante la garanzia di una continuità di fondo la miriade di «lavoretti» con cui i giovani sopravvivono.

      La seconda via è quella del protezionismo moderno, fondato su barriere non tariffarie in grado di impedire l’ingresso delle merci che competono con quelle nazionali. Il protezionismo salva i posti di lavoro minacciati ma il suo costo è molto elevato in quanto riduce o toglie dai mercati numerosi beni stranieri a basso prezzo. Le varie «clausole di salvaguardia» degli accordi commerciali internazionali consentono forme di protezione per un periodo limitato. Sono utili se, nel frattempo, il Paese o il gruppo di Paesi che cerca di proteggersi modifica qualcosa nel suo modello produttivo. Nel caso dell’Italia, a esempio, occorrerebbe semplificare davvero la politica, la burocrazia, la tassazione riducendone il costo – che è spesso un reddito per categorie professionali privilegiate assai più numerose che in altri Paesi – senza far ricadere il peso della ristrutturazione soltanto sui normali lavoratori dipendenti.

      Perché il «tavolo» di Torino sia un successo, argomenti di questi tipo dovranno essere affrontati – accanto a quelli più specifici dell’occupazione dei singoli stabilimenti e dei modelli che saranno prodotti, situazione economica permettendo – per essere sviluppati in seguito. La speranza è che ci sia almeno un pizzico di novità, non il solito stanco rituale che ha scandito il nostro declino.

      mario.deaglio@unito.it

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  31. Temo che Deaglio sia stato un po’ frainteso ma… se scrivesse come mangia? O forse mangia un po’ troppo elaborato, non i paninazzi colla mortadella come noialtri…

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    1. Ti dirò Marco, che mangio volentieri e con piacece i paninazzi con la mortadella.
      Pe me,sono legati anche a bei ricordi infantili. In casa nostra vigeva “uccidere il maiale” e quindi avevamo i salami, i prosciutti, i cotechini, la coppa, tutta roba buonissima, ma un mio zio, in occasione di una bella gita al Lago di Garda, ebbe l’idea di comprare, per tutti i nipoti, un panino con la mortadella. Ebbene quel gusto mi piacque moltissimo e non ho mai dimenticato quella gita.

      A parte le spiritosaggini che ho detto sopra, condivido quello che hai detto, Marco, probabilmente il professore parla troppo “da cattedratico”, si mette a fare filosofia su problemi forti, difficili e fondamentali come il lavoro.

      Quel figlio di operaio che ha scritto questa lettera forse ha toccato proprio i punti più deboli della filosofia del professore, “declassare” il valore della persona, dicendo che quando l’operaio non lavora, il suo tempo libero non è componente monetaria.
      Se si pensa veramente a cosa può essere il tempo libero che una persona trascorre col proprio figlio, ecco che quel figlio rivendica la presenza di suo padre accanto a sè. Quel tempo libero è prezioso per un figlio e per il suo futuro e deve essere considerato anche come componente lavorativa.
      E’ il fututo di tutti noi.

      Grazie Marco del tuo commento, e un consiglio, mangiamo i paninazzi con la mortadella, ma cerchiamo di dare tutto il tempo libero che abbiamo ai nostri figli.
      Un giorno forse diranno che anche noi “odoravano” di dignità.
      Un saluto. Ciao.

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  32. vorrei anch’io, di punto in in bianco ricordare mio padre emigrato.Si svegliava alle quattro e metteva la sveglia su di un piatto con dei cucchiaini perchè facesse più rumore.ci aveva raccontato di essere il capo reparto,ma lui si sentiva così perchè distribuiva il materiale alle varie macchine.detestava la sicilia perchè non gli aveva dato possibilità di lavoro.ma è morto con il biglietto di ritorno nel cassetto.sognava di mangiare un bel po’ di pesce.credeva fermamente nel capitalismo come formula per i vincenti.ma qualcuno ha vinto sui suoi sogni spezzati,è stato illuso….e il cortisone non lo ha potuto aiutare nella sua silicosi….dopo più di 30 anni di fabbrica….ora è sepolto in un luogo che si chiama “sulla neve” lui che sognava il mare….ricordiamo i nostri padri, ma cerchiamo di riflettere sulle loro scelte e su quello che li ha portati a farle, sulle loro illusioni, che non diventino le nostre

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    1. Il tuo racconto appassionato, carissima Ester, ci mostra la grande sofferenza di chi lasciava il paese che amava, costretto dall’indigenza e partiva in cerca di lavoro.
      Il lavoro senza sicurezza e senza protezione, ha portato via per sempre tuo padre, che è rimasto dove “faceva freddo”, lui che amava il mare ed il caldo.
      C’è comunque in quello che hai scritto una grande speranza, cerchiamo di fare in modo che le loro illusioni e le loro scelte non diventino le nostre.
      Il loro sacrificio in ogni modo ci ha consegnato un paese diverso, speriamo migliore.
      Forse nella tua Sicilia c’è ancora difficoltà di lavoro, io mi auguro di no, che quei tempi siano dimenticati.
      Ho avuto occasione di visitare la tua terra, ne sono rimasta incantata.
      Grazie infinite Ester, della tua testimonianza e se vorrai farci sapere qualcosa di più su tuo padre, ci farà piacere, perchè, come figlia, ce l’hai nel cuore.
      Un abbraccio. Ciao.

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  33. Perché non scriviamo tutti al prof. Deaglio? E gli diciamo come la pensiamo e ci facciamo dare spiegazioni? Non è difficile trovare il suo indirizzo email online. Cerchiamo di mantenere dei toni educati ma facciamogli capire che questi suoi pensieri sono a dir poco disumani.

    Io sto cercando l’originale dell’editoriale su internet ma non lo trovo. Appeno l’ho letto gli scrivo un’email.

    Grazie del bellissimo post.

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    1. http://goo.gl/1TfG
      Ciao Valentina, questo è l’articolo scritto dal prof Deaglio, apparso sulla “Stampa” e che ha dato vita alla lettera del figlio dell’operaio.
      C’è anche l’email, nel caso tu voglia scrivere.
      E’ molto bello questo gesto da parte tua e credo che anch’io gli scriverò, magari ricopiando anche molti commenti interessanti che sono apparsi sul post.
      Se anche tu vuoi ricopiarne alcuni, almeno quelli che ti appaiono più significativi, puoi farlo liberamente e farglieli avere, forse ti darà anche una risposta.
      Grazie a te Valentina.
      Ciao.

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  34. […] “Fonte” AKPC_IDS += "3228,"; Persone, Società, Ultimissime […]

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  35. Sono autore, insieme ai miei colleghi, del blog Lavoratori Electrolux. Potrei avere il permesso per pubblicare questa lettera sul nostro blog?

    Saluti
    Lavoratori Electrolux

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    1. Certamente, con immenso piacere. La lettera non è frutto del mio lavoro, l’ho trovata su giornali che parlavano di lavoratori. Una lettera spendida, anche perchè, io stessa sono figlia di operai e so cosa significa avere un padre che odora di dignità.
      Nel caso che troviate interessante qualche altro post del blog, vi autorizzo a pubblicare tutto quello che volete, anche senza chiedere permessi.
      Auguri a tutti voi ed un abbraccio.

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  36. Speradisole, grazie di cuore per la tua affettuosa disponibilità. Domani la lettera comparirà sul nostro blog.

    Un’abbraccio da tutti noi.
    Lavoratori Electrolux

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  37. la storia non insegna si ripete , sono praticamente analfabeta,la lettera di quel figlio potrebbe essere di mio figlio,Ora alcuni sindacalisti hanno accettato di abbassare la linea dei diritti,che con sacrifici erano raggiunti,questi imbelli con la paura di perdere il loro orticello si sono svenduti e hanno svenduto il loro onore,sono come ho detto un semmpliciotto,ma mai come ora non doveva essere mandata in malora una unità dei sindacati.riuscirà un giorno la giustizia raggiungere chi ha portato questi operai all’inizio 900,dove dovevi leccare l’osso che il padrone ti dava e ringraziarlo pure, un addio hai sogni ora viene gli incubi.

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    1. Avrai sicuramente visto, in questi giorni, le scene dei lavoratori davanti al cancelli della Fiat a Torino. C’erano operai, anziani in pensione, che hanno lasciato in quella fabbrica anche la salute, che piangevano.
      Piangevano perchè i loro sacrifici e le loro battaglie sono state inutili.
      I diritti conquistati vengono calpestati in nome di una modernità che è un ritorno al passato, un ritorno all’operaio che chiede il lavoro per carità.
      Quel lavoro adesso viene concesso come un omaggio, un favore, non come un diritto, sancito dalla Costituzione.
      Quel che è peggio è che anche il governo sta con i padroni, addirittura, se non si accettano i dictat imposti dai padroni, questi “hanno tutto il diritto di andare altrove”, queste sono state le parole dell’attuale presidente del consiglio.
      Parole che un Donat Cattin, per esempio, non avrebbe mai detto.
      In tutto questo sfasciame hanno una grande colpa anche i sindacati consenzienti, che non hanno la schiena dritta, ma si curvano in omaggio al padrone.
      Le conseguenze le vedremo anche molto avanti negli anni, perchè ciò che sta facendo Marchionne alla Fiat, sarà fatto da qualsiasi altro imprenditore in un prossimo futuro.
      Non avremo più un contratto nazionale, ma saremo in balia degli umori del padroncino del momento.
      Sono figlia di operai, poveri, ma che con le lotte sindacali e con la solidarietà hanno consentito a me di studiare, di cambiare vita ed anche di dare a loro una vecchiaia più serena.
      Per i miei figli non sarà così e ciò mi addolora.
      Sono orgogliosa di conoscerti e di sapere che anche tu, come mio padre, odori di dignità.
      Un grande abbraccio Grandpier. Ciao

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  38. torno ora a casa da una riunione del circolo di Rfondazione Comunista di cui sono il segretario. apro il computer e vedo questi due ultimi commenti legati alla lotta degli operai della Fiat e penso: ma ci dobbiamo proprio arrendere? ho 63 anni sono in pensione, riesco ancora a difendermi economicamente ma posso lasciar andare le cose così, e non ribellarmi al liberismo selvaggio che ci pervade anche l’anima oltre che il corpo? Che mondo lascerò alle mie amate nipotine? la risposta è no!!!!! non posso starmente con le mani in mano, e allora alla lotta compagni tutti comunisti socialisti viola o quant’altro… finchè avrò energia starò fra la gente, la povera gente, gli operai, gli extracomunitari, i rifugiati politici, ecc ecc a combattere, perchè solo con la lotta si possono ottenere dei risultati sia pur parziali: Chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso!

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    1. Quello che sta succedendo oggi a Mirafiori, è una tappa dolorosa di sopravvivenza operaia. C’è stato Pomigliano, poi ci sarà Cassino, Melfi, Avellino.
      Termini Imerese no, perchè Marchionne ha già deciso di chiudere.
      Mirafiori rapresenta che cosa è diventato questo paese, dove l’arroganza di un manager da 200 milioni di stock options, viene scambiata per modernità, dove si ricattano migliaia di famiglie, offrendo un pezzo di pane in cambio di diritti, regole e contratti.
      Lo scandalo di quello che sta succedendo a Mirafiori, forse non sta nell’ultimatum di Marchionne, e nemmeno nel silenzio complice ed inetto degli eredi Agnelli, e nella subalternità di questa politica di governo agli interessi dell’impresa, ma che il governo, i partiti, i sindacati, le istituzioni scarichino sui 5400 lavoratori le responsabilità di decidere su qualche cosa che va ben oltre il confine della loro fabbrica, il loro lavoro ed il loro salario.
      Si gioca il fututo delle realazioni tra capitale e lavoro, tra impresa e dipendenti, si altera completamente il tessuto costruito faticosamente e difeso per tenere insieme le ragioni delle imprese assieme alle aspirazioni dei lavoratori. Tutti aspettano che siano i lavoratori, attraverso un referendum ricattatorio, proposto in fretta e furia da Marchionne, a decidere la “svolta”, che prevede un solo esito: il successo del sì, altrimenti il manager dei due mondi se ne va.
      Uno scarica barile spaventoso, dove sulla tavola dei contratti, o c’è il pane e la supravvivenza senza diritti, o non c’è nulla.
      Dieci ore di lavoro continuative, con uno sforzo prolungato del corpo tenuto in posizioni innaturali, portano in breve al logoramento fisico dei muscoli e alla semi-invalidità. E’ già successo oltre al fatto che la stanchezza fisica porta anche ad una maggiore disattenzione nel lavoro stesso.
      Io condivido quello che dici, Marco, che bisogna lottare e soprattutto non rassegnerci e non chiuderla qui.
      Ci vuole una costante ribellione che non può essere solo singola o legata a pochi, ma che deve coinvolgere tutte le categorie messe al muro in questi momenti, dagli studenti ai ricercatori, dagli extracomunitari sfruttati in nero, fino al più debole pastore senza soldi e reddito.
      Grazie Marco del commento.
      Siamo tutti operai, torniamo a formare quello spirito di classe di appartenenza, a difendere quello che abbiamo avuto in questi anni e perchè no, anche il diritto di portare un maglione di cachemire e buttare via i pantaloni di fustagno.
      Un abbraccio grande. Ciao.

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  39. sarebbe bello ke quei cervelloni, si rendano conto ke se possono fare un cazzo e sparare cazzate non è certo merito del loro lavoro ma è merito delle persone oneste ke lavorano duro alla catena corta

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    1. La catena corta rende bene l’idea Franco.
      La fabbrica è una cosa bellissima se vi si lavora con onestà ed anche con sicurezza. Essere operai “fissi” era un merito. In casa mia ci sono persone che hanno lavorato alle fonderie e tornavano a casa stanchi sì, ma soddisfatti di quanto avevano fatto.
      Ora non è più così, chi lavora deve solo fare profitto per il padrone, all’onesto lavoratore tocca la catena corta.
      Ciao carissimo Franco, un abbraccio grande grande.

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  40. Non ho parole…ma le tue sono fantasticamente belle e drammatiche nello stesso tempo. Purtroppo ľ operaio non resta che lo schiavo del passato nel presente. Abolita la schiavitù con il diritto umano , la classe dirigente ha raggirato il problema instituendo Ľ OPERAIO…che raramente è considerato, rispettato…ma tuo padre può comunque girare a testa alta, perché da come e da ciò che scrivi ha cresciuto con amore te …un forte abbraccio solidale a te e a tuo padre.

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    1. Ciao Giovanni, anch’io non ho parole, almeno non trovo le parole giuste per questo figlio di operai.
      Sì proprio gli operai che oggi vengono considerati merce, qualcosa che costa, anzichè un valore.
      Ma noi siamo figli di quegli operai, e dobbiamo esserne fieri.
      La dignità prima di tutto e la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere ed anche di meritare un giusto salario.
      Grazie Giovanni del tuo commento, molto gradito perchè davvero bello e sincero.
      Ciao, un abbraccio.

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  41. Γράμμα του γιου ενός εργάτη.La lettera del figlio di un operaio

    Γράμμα του γιου ενός εργάτη.
    La lettera del figlio di un operaio
    Είχα γεννηθεί λίγες ώρες πριν, τον είδα για πρώτη φορά, ήταν ψηλός, όμορφος, δυνατός και μοσχοβολούσε λάδια και μέταλλο.
    Για χρόνια τον έβλεπα να σηκώνεται στις 4 το πρωί, να ανεβαίνει στο ποδήλατό του και να εξαφανίζεται μέσα στην ομίχλη του Τορίνο, με κατεύθυνση το Εργοστάσιο.
    Τον είδα να αποκοιμιέται στον καναπέ, κατεστραμμένο από τις ώρες δουλειάς και από την παραγωγή χιλιάδων κομματιών, όλων ίδιων, όπως επέβαλε η δουλειά του.
    Τον είδα χαρούμενο να περνά τον ελεύθερο του χρόνο με τα παιδιά και τη γυναίκα του.
    Τον είδα να υποφέρει, όταν μου είπε ότι ο μισθός του δεν του επέτρεπε να με στείλει στο πανεπιστήμιο.
    Τον είδα ταπεινωμένο, όταν του έδωσαν αύξηση 100 λιρών (5 λεπτά) για κάθε ώρα δουλειάς.
    Τον είδα κατεστραμμένο, όταν στα 53 του χρόνια, ένας μάνατζερ του Εργοστασίου του είπε ότι ήταν πολύ μεγάλος για τις ανάγκες τους.
    Είδα μάνατζερ και βιομήχανους να ζητάνε να ανέβει ακόμη περισσότερο η ηλικία συνταξιοδότησης, είδα οικονομολόγους να παροτρύνουν την παγκοσμιοποίηση του χρήματος, αλλά να ξεχνάνε την παγκοσμιοποίηση των δικαιωμάτων, είδα διευθυντές εφημερίδων να επιβεβαιώνουν ότι οι εργάτες δεν υπήρχαν πια, είδα πολιτικούς να ζητάνε από τους εργάτες να κάνουν θυσίες, για το καλό της χώρας, είδα συνδικαλιστές να λένε ότι το «μοντέρνο» μας ζητάει να γυρίσουμε πίσω.
    Μου κόπηκε η ανάσα, όταν τη Δευτέρα 26 Ιουλίου 2010, στην εφημερίδα «La Stampa” του Τορίνο διάβασα το άρθρο του καθηγητή Mario Deaglio. Μέσα στην έκθεση του καθηγητή, «τα δικαιώματα των εργαζόμενων» γίνονται «κομμάτια, όχι οικονομικά, των αποδοχών», η «υπεράσπιση της θέσης εργασίας» έπρεπε να αντικατασταθεί με μια γενική «εγγύηση της συνέχισης των ευκαιριών εργασίας», αλλά κυρίως ο εργαζόμενος, του οποίου ο μισθός έχει μειωθεί στο ελάχιστο, δε χρειαζόταν πλέον «ελεύθερο χρόνο ώστε να ξοδεύει αυτό το μισθό», αλλά έπρεπε μόνο να σκέφτεται πώς θα ικανοποιήσει τις σημαντικές απαιτήσεις της άλλης πλευράς (εργοδότη). (επανέλαβε αυτή τη θεωρία και στο Radio 24 από τις 17:30 μέχρι τις 18:00 την Τρίτη 27 Ιουλίου 2010).
    Σκεπτόμενος ότι ένας άνθρωπος των γραμμάτων, που είναι ικανός να εκφράσει κάθε επιχειρηματολογία, φτάνει στο σημείο να υποστηρίζει ότι ο ελεύθερος χρόνος του εργάτη δεν έχει καμιά αξία γιατί δεν είναι συνδεδεμένος με το χρήμα, μου έκοψε την ανάσα…
    Μπήκα στο αυτοκίνητο που κατασκεύασαν οι εργάτες της Mirafiori στο Τορίνο (fiat). Έτρεξα στο σπίτι των γονιών μου. Tον είδα για χιλιοστή φορά. Έγερνε, ο λαβύρινθος, που προκάλεσαν τα εκατομμύρια χτυπήματα της πρέσας, τον έκαναν να χάνει την ισορροπία του, ήταν αδύναμος από την καρδιοπάθεια. ‘Hταν ο πατέρας μου, εργάτης στον τομέα συμπίεσης (πρέσες) για 35 χρόνια, όπου θυσίασε τα πάντα, ανάμεσα στα οποία και τον ελεύθερό του χρόνο, αλλά αυτός ήταν δωρεάν.
    Μοσχοβολούσε αξιοπρέπεια.
    (Luca Mazzucco)
    Πηγή: https://speradisole.wordpress.com/2010/08/01/la-lettera-del-figlio-di-un-operaio/

    Γράμμα του γιου ενός εργάτη.La lettera del figlio di un operaio

    Questo sito l’ha tradotta in greco. Grazie.

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  42. THEODOROU DIMITRIS -GRECIA |Rispondi

    Caro LUCA
    La nostra lotta quotidiana ,qui in Grecia ,e’ a punto la tua ultima frase :di Conservare L’ ODORE DELLA NOSTRA DIGNITA .

    TANTI BACCI A TUTTI CARI AMICI ITALIANI
    MI SENTO MOLTO FELICE CHE VI HO TROVATO QUI

    DIMITRIS THEODOROU
    (SCUOLA DI MEDICINA 1977-1987 UNIVERSITA DI PISA

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    1. Grazie Theo, non sono Luca, ma una ragazza che ha ammirato molto questo figlio di operaio e che ha trascritto questa letterea. Sono solo una portavoce.
      Grazie comunque per averla trascitta in greco e per farla leggere anche lì, nella tua terra.
      Ti abbraccio ciao.

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    1. Condivido in pieno. Bastano poche parole per capire. Ma tutti noi, figli di operai, ne condividiamo con orgoglio la dignità, quella dignità che Sacconi, ed altri stanno calpestando, distruggendo l’art. 18, lo statuto dei lavoratori, la garanzia di potersi affidare ad un giudice e la stabilità del posto di lavoro.
      Ciao Sergio, un abbraccio.

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    1. E’ così, chissà forse anche noi riusciamo a vedere i nostri genitori con occhi diversi.
      Ciao Beppe, un abbraccio.

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  43. Anch’io avevo un padre così…. e ne sono orgoglioso!

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    1. Ciao Pietro, un abbraccio anche per me ad un padre così.
      La dignità la si conquista ed i nostri padri l’hanno conquistata a suon di fatica.
      Un abbraccio a te..

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  44. Non ci sono parole oltre a quelle lette, ma cosa fanno i sindacati? Sono al soldo del capitale o al lavoratore, ho cominciato a non capire più, e questo mi sta demolindo.
    Ragazzi/e non lasciatevi tentare da illusioni assurde che vi comunicano che l’impegno è quello di cambiare per essere sempre all’altezza della conoscenza e di poter cambiare lavoro sempre per imparare di più. La conoscenza ha un limite e poi vi distrugge.

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    1. C’è stato chi sulle minime differenze che distinguono i nostri sindacati c’ha abbondantemente giocato, fino a dividerli.
      E’ stato il peggior ministro del lavoro che l’Italia abbia mai avuto, Sacconi,. Auguriamoci che gente del genere non compaia mai più tra le persone che “pretendono” di fare leggi.
      Ciao Fabio, grazie del commento.

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  45. Sono sempre più convinto che dio non esiste, è una ignobile invenzione dei preti e del potere.

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    1. Forse in questo Dio non c’entra è tutta opera dell’uomo e della sua sete di potere.
      Piace a molti decidere sul destino degli altri. ma quello che non riescono a fare è togliere dignità a persone oneste come questo padre e come i nostri padri.
      Ciao Bribri, un abbraccio.

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  46. CARO AMICO, TUTTI GLI OPERAI ODORANO DI DIGNITà, ANCHE MIO PADRE, CHE PUR DI RIPORTARE IL PANE, SOLO PANE, APPENA SUFFICIENTE PER LE CINQUE BOCCHE DOVEVA SOPPORTARE LE BLEFFAGGINI DELLA GENTE CHE SERVIVA ED OGNI GIORNO SEMPRE PIù CONSUMATO TORNAVA A RIDERE CON NOI NELLA NOSTRA PICCOLA CASETTA. L’ODORE DELLA DIGNITà ANCORA OGGI, CHE HO CINQUANT’ANNI, ANCORA OGGI LA SENTO ANCHE SE QUESTA TUTTI, LA CASTA CHE VIVE DI VILTà E LADROCINIO, STANNO CERCANDO DI TOGLIERLA A LUI MA ANCHE A TUTTI I PADRI DEL MONDO ED ANCHE AI LORO FIGLI.

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    1. Se hai respirato quella dignità, anche tu sei un padre ricco di questo prezioso dono.
      La casta ci sta derubando, si arricchisce a nostre spese, ed allora cerchiamo di reagire, di cambiare questa gente e di non consentire più che ci comandi.
      Mandiamola a casa alla prima occasione.
      Auguri cari di buon anno e che l’esempio di tuo padre ti sia sempre da guida, come tu lo sei per i tuoi figli.
      Ciao Tarilas, un abbraccio.

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  47. e’ vero il mondo e’ cambiato i diritti di chi lavora onestamente sono calpestati comanda solo di chi ha piu’ soldi che scifo

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    1. Un tempo gli ideali erano diversi: l’onestà, la dignità, la fedeltà alla parola data, il rispetto degli altri erano doti che si tramandavano. Ora tutto è sottosopra quello che comanda è il denaro, con quello si fa tutto, anche calpestare la dignità di chi lavora onestamente.
      Pensa a questa gente che sta trasformando i lavoratori in una merce senza valore, tanto che si può licenziare togliere diritti, tempo e vita.
      Hai ragione così com’è messa la situazione è uno schifo.
      Ciao Massimo, un abbraccio.

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  48. La lettera è veramente commovente!.IO SONO STATO OPERAIO LAVORANDO NEI CANTIERI EDILI FACENDO L’INSTALLATORE TERMICO”CIOE’ IMPIANTI DI RISCALDAMENTO CENTRALIZZATI”PER LAVORO O GIRATO L’ITALIA PER LUNGO E LARGO,UN LAVORO MOLTO PESANTE TUTTO DI BRACCIA E MENTE CON DISEGNI DELLA TUBAZIONE FINO IN CENTRALE TERMICA.CAPISCO IL DOLORE DI LUCA E DA AMMIRARLO.LUCA UN FORTE ABBRACCIO A TE E TUO PADRE LUCIO

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    1. Grazie Lucio per la tua testimonianza. Si sente che sei fiero del lavoro fatto e che hai conservato tanta dignità.
      Il lavoro di braccia è stancante, alla sera non le senti più, anzi dolgono, ma puntulamente si è pronti a ricominciare.
      Solo il lavoro nobilita l’uomo, è un vecchio detto, ma sempre attuale.
      Ciao Lucio, un abbraccio.

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  49. Caro MARCHIONNE.Se gli operai che ti pagano non arrivano a soddisfare le esigenze quotidiane della famiglia. Se hanno Problemi di vita,di lavoro,di sicurezza, come pretendi di vendere auto? a chi li vendi se un tuo operaio guadagna in un mese 1.200 euro se va bene.Pensala alla FORD. Se i miei operai possono acquistare le macchine che produciamo allora avremo fatto una Grande Fabbrica.Pensaci.

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    1. Ma il caro Marchionne ha messo le ali e se n’è volato in America. pare che lì abbia trovato il suo jolly e faccia faville, mentre non gli interessa niente di quello che succede ai lavoratori italiani che lascia a spasso.
      Per lui contano gli incassi, la salute e la vita degli operai non lo sfiorano nemmeno.
      Sono i padroni di oggi, egoisti ed insensibili.
      Ciao Egeo, un abbraccio.

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    1. Che dire Lorella se non grazie a questo figlio, anche lui pieno di dignità.
      Ciao Lorella. Un abbraccio.

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  50. ho la pelle d’oca per la partecipazione attiva a questo blog! un segnale forte di risveglio delle coscienze? un paese ha nei cittadini onesti e laboriosi un capitale umano, una ricchezza sociale, una forza incredibile, quella della nostra vita, fatta di sacrifici, realta’ senza illusione, usiamo il nostro talento ogni giorno per riuscire a fare umane magie! un eredita’ di coloro che hanno i piedi per terra e che si nutrono di dignita’! un valore sconosciuto a molti che siedono su scranni del potere? pretendiamo rispetto per il nostro talento, superiamo il difficile compito di vivere la realta’ di questo brutto periodo, difendendo i nostri diritti? saluti da franco al vecio!

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    1. Grazie infinite Franco per questo tuo bellissimo commento. E’ un onore per Luca che ha scritto la lettera e per il blog.
      La partecipazione alla discussione arricchisce tutti, consente di mettere per iscritto il nostro parfere e di esprimere consenso o dissenso per certe situazioni.
      Ora abbiamo la questione del lavoro da affrontare, una questione difficile e lasciata colpevolmente marcire per anni.
      Non ci aspettiamo miracoli, ma almeno che i lavoratori non vengano trattati come merce senza valore.
      Ciao Franco, un abbraccio e grazie ancora..

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  51. “Domani mi licenziano. In tutta Italia eravamo 12000 lavoratori di Eutelia, Agile, Phonemedia…. 2 anni fa ci hanno fatto il contratto a tempo indeterminato e dopo 1 mese non ci hanno più pagato lo stipendio, nel call center dove lavoravo in subappalto per conto di Pagine Gialle abbiamo fatto 6mesi di sciopero e 20 giorni di occupazione…. non è servito a niente. Intanto le società che ci davano il lavoro come Seat Pagine Gialle, Telecom, Tim, Vodafone, Wind, Sky e i loro amministratori delegati guadagnavano 5-6 milioni di euro all’anno ma l’importante ormai è pagare poco i lavoratori per ridurli schiavi, quindi un bel giorno con la scusa della crisi si decide di far fallire tutte le società che esternalizzavano il lavoro facendole acquisire per 1 euro ad una società dal nome Omega. Di queste cose non gliene frega niente a nessuno (noi eravamo più numerosi della Fiat) fino a quando non ti capita in prima persona. Oggi al posto mio c’è un poveraccio che guadagna circa la metà di quello che guadagnavo io e che ha perso il diritto allo sciopero, alle ferie, alla malattia, alla maternità …. tutti i diritti conquistati in 40 anni di lotte spazzati via dal vento. Lo stato italiano invece di impedire tutto ci ha pagato la cassa integrazione per 2 anni e domani siamo tutti disoccupati….. che vergogna. L’inps che ti dovrebbe pagare il sussidio di cassa integrazione e disoccupazione ormai non paga da 3 mesi.A me è andata bene, non avevo soldi e mi sono messo per strada a suonare il banjo, suonare mi ha salvato e ancora sono pacifista. Purtroppo però ho il presentimento che se questo verrà fatto su larga scala non saranno tutti pacifici…. ma chi è che ha dichiarato guerra?”

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    1. Ciao Joiyce. La tua testimonianza lascia senza parole. hai toccato con mano la freddezza dei mercanti di denaro. A loro non interessa chi e come lavora per loro, basta arricchire.
      Un vero schifo.
      Mi commuiove il fatto che tu sia comunque in grado di reagire, di allontanare da te gli spettri di quei milionari.
      Anche se per strada a suonare il banjo, sei sempre pieno di dignità.
      Un grande abbraccio e tanta fortuna. Ciao.

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  52. Ok … Tutti rispondono con grande solidarietà a questa lettera struggente di ammirazione pr il padre che pienamente condivido…. ma … le parole oramai con quello che stà stravolgendo il mondo del lavoro sono obsolete noi io tutti cosa facciamo per quello che ci stanno propinando per verità assoluta? ……Il NULLLAAAAAAAAAAAAA stiamo assistendo con apatia più bieca senza fare nullaaaaaaaaaa . Le generazioni che ci hanno preceduto si ribellavano non si piangevano addosso reagivano per cambiare le situazioni si riunivano , discutevano per trovarne la soluzione , agivano…. non stavano ad apettare di essere portati al patibolo senza agire , le chiacchere non portano a nulla !!!!!!!!

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    1. E’ vero le generazioni che ci hanno preceduto non accettavano tutto, avevano più coraggio e si ribellavano.
      Hanno ottenuto molto, per esempio lo Statuto del lavoratori, l’articolo 18 che rispetta la dignità del lavoratore proprio perchè lo difende dal padrone e dalle sue isterie, in quanto più debole.
      Ora ce lo vogliono rubare incantandoci con parole diverse, che vogliono dire meno diritti per tutti.
      Ma come fare se anche alcuni sindacati si sono lasciati convincere? Se il padrone dice o fai come ti dico o ti mando a casa senza tanti complimenti?
      Dove chi comanda è il mercato e non le persone?
      E’ cambiato tutto da quando il dio mercato ha preso il sopravvento, da quando la finanza senza lavoro ci travolge.
      Che fare? E’ difficlie Carionte reagire quando si è così deboli e soprattutto così disuniti.
      Ciao carissimo, grazie del bel commento ed un abbraccio.

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  53. Poche parole …..grande , anche io operaio di fabbrica dopo anni di contratto a tempo senza mai ferie, permessi o mutua mai mai un giorno di assenza o un minuto di ritardo. sentirmi dire che a causa della crisi non potevano rinnovarmi il contratto. Poi ho visto fare contratti fissi a gente che rubava che per ogni minimo raffreddore faceva settimane di mutua etc etc . cosa devo dire ai miei figli ? devi essere corretto o fai il bastardo ? Non ci dormo la notte .

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    1. Non hai molta scelta Rino carissimo, devi essere di esempio ai tuoi figli e lasciare trasparire la stessa dignità del padre di Luca.
      Sul lavoro le ingiustizie si moltiplicano, ma non bisogna lasciarsi travolgere,
      Anche a me è capitato di trovarmi fianco a fianco con dei “lavativi” che al minimo colpo di tosse si mettevano in mutua, mi toccava lavorare il doppio, ma non volevo abbassarmi al loro livello, a costo di essere presa in giro.
      Mi consolava il fatto che sapevo di fare il mio dovere fino in fondo.
      Ciao Rino, dormi tranquillo la notte, cercando di fare il meglio possibile per te e per i tuoi figli. Sarai amato e rispettato sempre..
      Un abbraccio.

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  54. è bella perché oltre agli operai, i padri sono un’altra categoria molto bistrattata in questo momento.

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    1. Molto spesso come figli non riconosciamo i sacrifici dei nostri padri, anzi pretendiamo da loro l’impossibile.
      Ma se riusciamo a guardarli come ha fatto Luca, riscoprendo i nostri padri, saremo anche noi, più felici e più ricchi di dignità.
      Bellissimo questo tuo pensiero rivolto ai padri.
      Ciao Arminio, un abbraccio..

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  55. senza parole…

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    1. Non c’è molto da aggiungere, Peppe, se non che coloro che ora stanno ripensando al problema del lavoro, dovrebbero leggere lettere come questa, prima di decidere..
      Ciao Peppe, un abbraccio

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  56. Noi “troppo giovani per la pensione” ma “troppo vecchi per lavorare” qualcosa stiamo provando a fare. Raggiungeteci nel gruppo che abbiamo creato su facebook e che trovate al seguente indirizzo: http://www.facebook.com/groups/241653349199398/
    Abbiamo bisogno di tutto il vostro sostegno, per lottare anche per il vostro futuro. Vi aspetto, non tardate.
    Lorella

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    1. Carissima, grazie della segnalazione. Sono sicura che molti dei lettori di questo blog seguiranno il tuo consiglio.
      Una battaglia simile l’abbiamo fatta con le operaie dell’Omsa, di Faenza. L’importante è non tacere.
      Grazie Lorella, un abbraccio.

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  57. una canzone incideva fiumi di parole, e mi pare vinse un sanremo, quante parole al vento, quando con due parole si puo definire lasituazione, l’italia è al collasso, punto,i potenti comandano e fanno cio che vogliono il popolo subisce. corsi e ricorsi storici, ad un certo punto il popolo vessato arriverà alla frutta ed esploderà, è inutile fare i poeti gli economisti, questi signori vogliono star bene solo loro e del popolo se ne sbattono, le parole non sevono piu occorre dire basta. italiani svegliatevi.

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    1. Una verità, a forza di subissare il popolo anche il Re di Francia e la sua regina persero la testa, nel senso che letteralmente gliela ghigliottinarono.
      A forza di subissare non solo un popolo, ma popoli interi, il mercato subirà una sconfitta feroce ed i mercanti scompariranno.
      La storia ci dice così che prima o poi una rivoluzione scoppierà, come dici tu sono i corsi e ricorsi storici.
      Ma c’è un fatto che ora siamo nell’epoca in cui il lavoro ed i lavoratori non contanto più niente e i padroni anziché avere cura di coloro che li rendono ricchi, vengono sbeffeggiati e schiavizzati, privati dei loro diritti.
      Preferirei vivere l’epoca delle rivoluzioni per togliermi qualche soddisfazione.
      Per esempio vedere gli evasori fiscali andare all’elemosina.
      Ciao Stella, un abbraccio.

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  58. Il prof Mario Deaglio è il marito del ministro FORNERO!!!!!!!
    non c’è bisogno d’altro

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    1. Già, se tanto mi dà tanto non c’è da aspettarci molto da questa riforma del lavoro.
      Cambiano le parole per confonderci, per dire che ci tolgono i diritti, con parole quasi gentili.
      Come quelle che nel tempo libero anziché spendere quello che si è guadagnato, il lavoratore dovrebbe “soddisfare le maggiori richieste della controparte”, come dire, non bisogna riposarsi neanche un’ora, bisogna fare straordinari, magari gratis, così come vuole la controparte.
      Davvero incredibile, e sapere che chi dice quete cavolate è il marito dell’attuale ministro del lavoro, non è certo consolante.
      Ciao Carlo, un abbraccio.

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  59. Grazie Sig. Luca per la Sua testimonianza piena di dignità e amore che il suo papà ha saputo trasmetterle nonostante la durezza della vita vissuta in fabbrica. E’ una testimonianza molto toccante da prendere ad esempio.

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    1. Davvero un grazie a Luca da parte di tutti noi.
      Vorremmo che chi sta predisponendo una riforma del lavoro, in questi giorni, leggesse lettere di questo tipo, forse mediterebbe un po’ di più.
      Ciao Fabrizio, un abbraccio.

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  60. Quel Prof. Mario DeAglio esiste, ho contollato. Gli sto scrivendo una mail in cui gli chiedo di prendere posizione, di giustificare le sue parole. E invito altri a fare come me, a scrivergli e a chiedergli perché.

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    1. Sì esiste ed in precedenza ho riportato anche l’articolo in cui De Aglio esprimeva queste idee. Eccolo

      “Purché non sia un tavolino”

      MARIO DEAGLIO

      I cosiddetti «tavoli» ai quali i sindacati, gli imprenditori e i rappresentanti del governo si incontrano e si confrontano sono una buona cosa in quanto l’alternativa è spesso uno sciopero «al buio», ossia senza che una parte abbia una chiara percezione delle posizioni e dei problemi delle altre. Il «tavolo» che si terrà mercoledì a Torino sul futuro degli stabilimenti italiani della Fiat rischia però di trasformarsi in un «tavolino», ossia di dare ai problemi sul tappeto un’interpretazione riduttiva e specifica, tesa soltanto a stabilire minuziosamente impegni reciproci sulla produzione di singoli impianti e singoli modelli in un arco di tempo necessariamente breve e in condizioni molto incerte, data la congiuntura europea e mondiale. Se così fosse, l’accordo raggiunto terrebbe fino alla prossima situazione di difficoltà, dopo di che si ricomincerebbe da capo con un altro «tavolino». Tra un «tavolino» e l’altro, la posizione competitiva dell’Italia continuerebbe a peggiorare.

      E’ stato così nel corso degli ultimi vent’anni. Il «tavolo» di mercoledì sarà un successo se, pur non rinunciando ad affrontare i problemi contingenti, porrà le basi per trattare, nell’ottica dell’economia globale, il problema della sostenibilità del modello sociale europeo – e specificamente della sua variante italiana – caratterizzato da forti componenti non monetarie della retribuzione. Fino a non molti anni fa si pensava che questo modello si sarebbe imposto al mondo: le norme sul lavoro minorile, sulla sicurezza sul lavoro e del posto di lavoro, il graduale e continuo aumento di salari e del tempo libero in cui spendere quei salari avrebbero dimostrato la superiorità di una civiltà europea attenta all’individuo e ai suoi legami con la società.

      Come ben sappiamo, le cose non sono andate così. I Paesi emergenti stanno muovendosi verso salari più elevati e forme rudimentali di sicurezza sociale non copiate dall’Europa, ma la produttività del lavoro vi cresce a velocità ben superiore e pertanto le loro esportazioni conquistano sempre nuovi mercati. I lavoratori sono sicuramente sottopagati ma i loro redditi sono fortemente aumentati e possono ragionevolmente sperare che i figli continuino nel miglioramento. I nostri obiettivi sono invece troppo spesso quelli di un decoroso accompagnamento alla pensione di lavoratori anziani senza dare spazio ai giovani mentre con redditi stagnanti il tempo libero rischia di trasformarsi in tempo vuoto. L’Europa, e l’Italia in particolare, più esposta di altri Paesi alla concorrenza diretta degli emergenti, si vede proporre (e forse domani imporre) un sistema in cui si deve lavorare di più e con mansioni più flessibili per retribuzioni pari a quelle di prima.

      Le vie percorribili sono sostanzialmente due. La prima via è quella di una sostanziale riscrittura del modello economico-sociale europeo con l’attenuazione della difesa del «posto» di lavoro, non più garantibile nell’attuale contesto mondiale, e l’aumento della difesa del «lavoro», ossia di un’attività mutevole e flessibile: si deve andare verso una garanzia della continuità delle occasioni di lavoro, magari con un salario di cittadinanza, nell’ottica di ottenere e mantenere la produttività necessaria per stare sul mercato globale.

      Modelli di questo tipo hanno consentito a diverse economie dell’Europa settentrionale di reggere assai bene all’urto dei Paesi emergenti e di riconvertirsi molto velocemente e con successo. Nessuna di queste esperienze è perfetta e tutte richiedono un supporto notevole di spesa pubblica; pertanto il meccanismo dovrebbe essere introdotto gradualmente e in via sperimentale, a cominciare dai giovani delle aree minacciate dalla crisi industriale. Torino, dove il numero di coloro che compiono diciotto anni è sensibilmente inferiore a coloro che ne compiono sessanta, sarebbe un luogo ideale per cercare di trasformare in «lavoro» – e quindi in prospettive di vita – mediante la garanzia di una continuità di fondo la miriade di «lavoretti» con cui i giovani sopravvivono.

      La seconda via è quella del protezionismo moderno, fondato su barriere non tariffarie in grado di impedire l’ingresso delle merci che competono con quelle nazionali. Il protezionismo salva i posti di lavoro minacciati ma il suo costo è molto elevato in quanto riduce o toglie dai mercati numerosi beni stranieri a basso prezzo. Le varie «clausole di salvaguardia» degli accordi commerciali internazionali consentono forme di protezione per un periodo limitato. Sono utili se, nel frattempo, il Paese o il gruppo di Paesi che cerca di proteggersi modifica qualcosa nel suo modello produttivo. Nel caso dell’Italia, a esempio, occorrerebbe semplificare davvero la politica, la burocrazia, la tassazione riducendone il costo – che è spesso un reddito per categorie professionali privilegiate assai più numerose che in altri Paesi – senza far ricadere il peso della ristrutturazione soltanto sui normali lavoratori dipendenti.

      Perché il «tavolo» di Torino sia un successo, argomenti di questi tipo dovranno essere affrontati – accanto a quelli più specifici dell’occupazione dei singoli stabilimenti e dei modelli che saranno prodotti, situazione economica permettendo – per essere sviluppati in seguito. La speranza è che ci sia almeno un pizzico di novità, non il solito stanco rituale che ha scandito il nostro declino.

      mario.deaglio@unito.it

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  61. Per questi cialtroni pseudo economisti dell’ultima ora, non meritano alcun commento, se non il nostro più profondo disprezzo, auguro che i pecoroni che sopportano queste angherie si ribellino ma non con la violenza, che non paga, anzi ci mette al di fuori della legge, ma con il rifiuto di andare a votare, siano esse votazioni nazionali che sindacali, perchè come diceva il mio vecchio, il sindacato è un altro padrone sulle spalle dell’operaio

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    1. Il sindacato può anche essere davvero un altro padrone che il lavoratore deve sopportare quando fa o tiene la parte del padrone. E’ successo di recente con la Cisl e la Uil che hanno appoggiato in pieno la politica di Marchionne e messo all’angolo chi difendeva i diritti dei lavoratori.
      Ma quando fa i suo dovere è un aiuto non indifferente per il lavoratore, altrimenti come farebbe a contrastare lo strapotere dei padroni?
      Ciò che ci vuole è l’unione dei lavoratori, il coraggio di combattere ed impedire che la persona umana diventi una merce senza valore.
      Gli economisti non ne hanno mai indovinata una, speriamo che sbaglino anche questa volta.
      Grazie Piero del commento ed un abbraccio.

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  62. Anch’io come Luca, sono figlia di un operaio condivido e riconosco nella lettera, l’operaio che c’ era dentro in mio padre che lavorava in fonderia i turni lo sfiancavano ma anche lui era fiero ed orgoglioso di appartenere alla classe operaia, ha difeso e lottato per portare dentro le fabbriche, diritti e dignità: Ricordo mi diceva che la forza dei lavoratori stava nell’unione, dentro la fabbrica il problema di uno , diventava il problema di tutti. Onore a tutti i lavoratori che hanno contribuito a costruire l’italia.

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    1. Possiamo darci la mano, carisssima Dani, mio padre era operaio e molti mei zii (la mia famiglia è numerosa) hanno lavorato chi in fonderia, chi in fabbrica (la Ducati), chi la terra. I calli alle mani non si contavano, ma non avrei mai scambiato mio padre con uno dalle mani lisce.
      Grazie Dani, un abbraccio grandissimo.

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  63. caro marco come si vuole dire tanto lavoro per nulla ciao e forza che noi lavoratori siamo più forti della casta dei padroni e dei professori

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    1. I lavoratori sono più forti della casta, solo che sono più dignitosi, meno sfacciati e meno arroganti.
      Reclamano solo il giusto salario ed il diritto al lavoro per mantenere la famiglia.
      Sono pieni di dignità, come il padre di Luca.
      Ciao Antonio, un abbraccio.

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  64. OGGI PIU CHE MAI .: LAVORATORI DEL MONDO UNITEVI E LOTTATE PER NON RITORNARE NEL MEDIOEVO COME SCHIAVI

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    1. E’ vero bisogna lottare per non tornare indietro, ma i padroni ce la mettono tutta per vincere. E’ difficile lottare contro coloro che hanno tutto, soprattutto il denaro che condiziona anche le nostre vite.
      Ciao Caronte.

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  65. Anche a me è capitata la stessa cosa. Ho 51 anni, elterromeccanico- elettricista da due in cassa. Mi hanno detto che ero troppo vecchio, le apparecchiature che cablavo non erano più richieste e prendevo troppo di stipendio.

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    1. Ecco, sentire queste testimonianze, come la tua Cesare, fa tanta rabbia. Non solo mettono in cassa integrazione perchè non servi più, ma ti fanno sentire anche inutile.
      Come una merce senza valore. Il lavoratore ha una sua dignità, merita rispetto e merita soprattutto di lavorare per mantenersi e mantenerte la propia famiglia. Non può essere buttato da parte perchè non serve più. Occorre una riforma straordinaria per evitare situazioni come la tua.
      Io ti faccio tanti auguri Cesare, spero che tu possa trovare un altro lavoro, che ti dia soddisfazione.
      Ciao Cesare, un abbraccio.

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  66. a leggere questa lettera ho pianto e non me ne vergogno….Un lavoro usurante deve dare diritto alla pensione massimo dopo 25 ani di lavoro -e forse sono troppi- abbiamo perso il senso dell'”UMANITA'” per seguire il credo del Dio Denaro.. si deve invertire la ruota di questi meccanismi imperfetti, prima che sia troppo tardi!

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    1. Purtroppo il senso di rispetto verso chi lavora è venuto meno.
      Ha preso il sopravvento la ricchezza così com’è, anche immeritata.
      Sono anni che assistiamo a spettacoli orrendi in cui chi fa denaro anche a scapito di altri, viene considerato un vincente, così chi i evade le tasse viene considerato un furbo e non un ladro.
      Ma è ora di finirla con queste storie, è ora di cambiare registro e magari di cambiare anche tutta la classe dirigente, compresi i menager, i politici e gli economisti di grido.
      Ciao Guglielmo, un abbraccio.

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  67. E’ un EQUIVOCO !!!!!!! Mario Deaglio, ex direttore de “Il Sole 24 Ore” è il FRATELLO di Enrico Deaglio, A metà degli anni settanta ha iniziato l’attività giornalistica a Roma, presso il quotidiano “Lotta Continua”, di cui è stato direttore dal 1977 al 1982. Successivamente ha lavorato in numerose testate (tra cui “La Stampa”, “il Manifesto”, “Epoca”, “Panorama”, “l’Unità”) ed è stato direttore del quotidiano “Reporter” tra l’85 e l’86, ed in seguito collaboratore del quotidiano “La Stampa” di Torino. http://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Deaglio

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    1. Il marito del ministro Elsa Fornero è Mario Deaglio che è sì fratello di Enrico, ma è un economista, (Professore ordinario di Politica economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Torino, è marito dell’economista e attuale Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero e fratello maggiore del giornalista Enrico Deaglio. http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Deaglio)
      Resta comunque il fatto che da economista ha detto il suo parere, poco condivisibile, sul lavoro dipendente.
      In sostanza il lavoratore può perdere anche il diritto di avere un po’ di tempo per se stesso, per dedicarlo sempre alla controparte, cioè al padrone. E’ questa una grande assurdità.
      Speriamo che la moglie Elsa Fornero non lo ascolti.
      Ciao Tommy, un abbraccio

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  68. […] operai di Mario Deaglio, marito del ministro del Welfare Elsa Fornero. Davvero da leggere dal blog Spera di Sole:Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di […]

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  69. Bellissima. Quoto assolutamente.

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    1. Ciao Giovanni. Grazie. E puirtoppo il problema del lavoro operaio si sta riproponendo con una possibilità concreta di “gioco” al ribasso, per quanto riguarda la qualità e l’apprezzamento del lavoro.
      Ciao Giovanni, un abbraccio.

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  70. Ogni commento, a questa straziante lettera sminuisce la sua denuncia ferma e forte e, significa, altresì, non voler ascoltare/ capire, le grida che si elevano ormai da più parti. Solo togliendoci da questa piazza ” Virtuale ” e, ritornando ad occupare le piazze fisiche, forse, e dico forse, qualcosa se anche minima riusciremo a cambiare.

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    1. E’ vero Petro Paolo, non è sufficiente ritrovarci in questa piazxza “virtuale” dovremmo trovarci nelle piazze delle città e gridare forte il nostro dissenso per tentare di cambiare le cose che non vanno.
      Grazie carissimo, un abbraccio.

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  71. Mi sono commossa…
    Sono anche io figlia di bracciante….
    mio padre ha sempre odorato di dignità…
    peccato che nel nostro paese la dignità non si riesce a condaggiare alle alte sfere….

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    1. Grazie per la tua testimonianza Annamaria.
      I nostri padri hanno sempre odorato di dignità e soprattutto di intelligenza. Ci hanno trasmesso sensibilità, rispetto per gli altri, onorabilità
      Sono regali che vorremmo noi trasmettere ai nostri figli e non la volgarità e l’arrivismo che vediamo di questi tempi…
      Ciao carissima, un abbraccio.

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  72. Commovente e un pò triste, ma esaltante nel sentimento che sprigiona anzi che esplode. Ci descrive il valore del lavoro, inteso come senso di utilità, di contributo seppur faticoso e dilaniante fisicamente alla collettività, ci descrive il valore della famiglia che alla fine come vediamo è l’ancora alla quale aggrapparsi, ci descrive l’amore e il rispetto di un figlio per il proprio padre e con lui per una generazione.
    Riportata leggo nel 2010, ma oggi ancor più attuale se si assiste al dibattito politico in corso, all’accaduto recente.
    Ci mettono in discussione non tanto e solo il lavoro, il tempo libero, i diritti. Di più, ci mettono in discussione una filosofia di vita.
    Prima dividendoci tra giovani e anziani, poi attaccando il senso di appartenenza al proprio lavoro, infine incentivando e sollecitando l’allontanamento dalle proprie radici, dai propri cari, magari addirittura dal proprio paese.
    Nella ricerca del trionfo di un nuovo Dio, anzi di un super Dio, l’economia di mercato, vogliono insegnarci che dobbiamo sacrificare tutto, perfino gli affetti più cari e più intimi. Senza più valori se non l’individualismo esasperato e la crescita dell’ego, senza più sensi di appartenenza, senza più radici.
    E allora non mi vergogno di dire che si ho lavorato da sempre nella mia città anche rinunciando a possibili maggiori gratificazioni professionali ed economiche, si ho assistito i miei genitori fino alla morte di uno e tutt’ora sto assistendo l’altro, si corro appena posso nella famiglia che mi son creato per godermela e mi lamento di non potermela godere di più di quanto non faccia, si provo senso di appartenenza nei confronti dell’azienda che giovane diplomato mi ha cercato e dato un lavoro e con esso dignità e futuro ed alla quale ho dato le energie migliori dei miei migliori anni di vita. Si ho contribuito a pagare le pensioni alle generazioni dei babbi e dei nonni e l’ho fatto volentieri per quel senso di solidarietà e di continuità tra generazioni che è l’ossigeno di una società; si un lavoratore anziano o più mi hanno insegnato il lavoro ed oggi sarei pronto a farlo io con un giovane con tutta la passione possibile, senza invidia o paura che mi possa prendere il posto, ma con la gioia di ammirarlo possibilmente diventare più bravo di me.
    Questi professori tecnocrati, impersonali, imbevuti di dottrine acquisite in riunioni fiume in stanze asettiche nelle quali si proiettano numeri e percentuali, li conosco. Ne ho conosciuti tanti. Li ho seguiti alcuni nel loro divenire, con le loro sicurezze che man mano ho visto sgretolarsi davanti al dipanarsi della vita vera. Li ho uditi con i loro rimorsi per aver compreso infine quale possa essere il vero senso della vita, rammaricarsi per non esser riusciti a gustarsi appieno i valori veri, le persone importanti veramente.
    Li ho visti smarriti e colmi di nostalgie e rimpianti.
    Così vogliono trasformarci forse per ignoranza spirituale o vacuità di sentimenti, forse per bigotta ambizione o chissà forse per invidia.

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    1. Di fronte a questo tuo commento, Valter, mi sono commossa. Si sente che viene dal profondo del cuore. Grazie e se il nostro paese è pieno di persone come te, c’è una grande speranza per un futuro migliore.
      Un abbraccio.

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  73. non ho parole questa lettera dovrebbe essere messa nelle bacheche nei luoghi di lavoro c’e’ ne sarebbero tante da raccontare e mettere esposte io lavoro all’iveco di Brescia e x 15anni al reparto presse x questo mi tocca ancora di più…. cosa ci manca la LIBERTÀ.By feno

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    1. Grazie Dario. Per 15 anni alle presse! E ci credo che questa lettera ti abbia colpito!
      La tua idea di metterla nelle bacheche non è male, servirebbe da insegnamento, più di tante parole.
      Ciao carissimo, un abbraccio e grazie ancora per la tua testimonianza.

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  74. se tutti noi ritrovassimo la diognità contenuta in questa lettera,forse.potremmo sperare di ritrovare la democrazìa ormai perduta.

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    1. Sì è vero, e credo anche che molti lavoratori, che faticano per pochi soldi al mese, abbiano la stessa dignità di questo operaio. In questi anni c’hannp portato via tante cose, persino la sucurezza sul lavoro è stata considerata un lusso, figuriamoci il tempo da dedicare alla famiglia.
      Ciao Mirella, un abbraccio.

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